Trentuno anni fa la cessione di Roberto Baggio alla Juventus provocava una rivolta cittadina, in una Firenze innamorata del suo gioiello. Ripercorriamo una delle vicende più eclatanti del calcio italiano.
L’architetto Giuseppe Poggi fissa le mappe di Firenze stese sul suo tavolo di lavoro, indugiando con le dita nella barba folta. Giocherella nervosamente con la matita pensando dove tracciare le linee, ne abbozza alcune, poi le cancella. È il novembre 1864, e ha appena accettato un incarico piuttosto serio. Deve immaginare e disegnare Firenze, una piccola città cinta da antiche mura con dintorno colline e campagne, come la nuova Capitale del Regno d’Italia.
Significa stravolgere una realtà centenaria, progettando un luogo capace di accogliere un’immigrazione massiccia e improvvisa, quella dovuta dallo spostamento di tutto l’apparato governativo da Torino. La guerra con gli austriaci è vicina, e spostare la Capitale più all’interno della penisola è una decisione strategica che permette di prevenire spiacevoli eventualità tipo la sua occupazione.
Il Poggi fa un respiro profondo e si decide. Passa con dei ghirigori sopra il tracciato delle mura a nord, aprendo in modo drastico la città. Così facendo, genera spazio per vialoni alberati d’ispirazione parigina e a scenografici spazi di raccordo nella zona immediatamente fuori dal centro città. Tra le n piazze realizzate in questo periodo, passato alla storia come Risanamento, c’è Piazza Fra’ Girolamo Savonarola, un enorme rettangolo col nucleo “giardinato”.
Circondata di siepi e aiuole, la statua del frate ferrarese sorveglia severa l’attività della “sua” piazza, mentre tutt’attorno volano canne e palloni. L’unica altra presenza fissa del luogo – e ormai autentica istituzione – è la cubana Rosy, o meglio il suo chiosco. Da anni sforna bevute voluminose al punto da meritarsi l’appellativo – adorabilmente didascalico – di secchielli, e non credo abbia mai conosciuto crisi. La piazza, al contrario, sì.
Firenze in rivolta
Sono passati più di trent’anni dal 18 maggio 1990, ovvero da quando Savonarola dovette assistere dall’alto del suo basamento ad un’intifada cittadina. Tra pietre scagliate, bottiglie sfasciate e cassonetti in fiamme, Firenze si rivoltava alla cessione di Roberto Baggio alla Juventus.
È subito evidente che si sta parlando di un’altra società, di un altro calcio, di un altro sentimento verso il calcio. Come descrive – e in qualche modo profetizza – Emanuela Audisio sulle pagine de La Repubblica all’indomani degli avvenimenti:
Baggio non è più della Fiorentina. Ma Baggio più che della squadra è sempre stato della città. Forse nel 2000 i vincoli di sangue saranno più pallidi, ma oggi funzionano ancora con ferocia.
Ecco, la ferocia. Ai fiorentini piace prendersi in giro, ma non il sentircisi presi. E per l’appunto tutto l’affaire Baggio è un inseguirsi di rumors, di non-detto, di dichiarazioni e controdichiarazioni condite a piacere da dosi variabili di verità. Il teatrino dura mesi, e anche per questo i tifosi viola arrivano esausti e – appunto – feroci alla resa dei conti.
Persino l’atto finale, ovvero la conferenza stampa con cui viene annunciata la cessione, ha il sapore deciso del farsesco. L’ha organizzata il procuratore di Baggio, Antonio Caliendo, nella sala riunioni della Fiorentina, ma l’unico alfiere dei gigliati a presentarsi è il DS Faustino Previdi, accolto al suo arrivo dal lancio di due bottiglie che gli si fracassano vicino. Recita la parte che probabilmente gli è stata assegnata, quella dello gnorri:
Non ho niente da dire, è Caliendo che mi ha convocato qui, non mi risulta che sia cambiato nulla.
Cinque minuti di orologio dopo lo raggiunge, anzi lo sostituisce, proprio Caliendo. Ai microfoni delle radio, sigaretta in bocca, inizia a parlare mentre il DS s’è messo in un angolo, ascolta muto quel discorso torbido ma dal nocciolo più che chiaro. “La Fiorentina ha firmato ufficialmente la cessione di Baggio alla Juventus. Credo che Pontello abbia agito anche dal punto di vista imprenditoriale. Non c’è nessuno qui della società? E che ci posso fare io?”. E ha ragione. Aggiunge che Baggio non ha ancora firmato, ma che ora non ha scelta.
Baggio alla Juve: un evento sociale
Questa sciagurata conferenza fa detonare la rabbia e l’indignazione dei tifosi viola. Tra le dinamiche più interessanti – passatemi il termine – c’è quella che vede questa vicenda trasformarsi da un fatto sostanzialmente di calcio e di tifo a un fatto dai risvolti sociali. Fulvio Bianchi, il 18 maggio, scriveva
Baggio qui è tutto: difficile capire l’amore che lo lega a questa gente, anche a chi allo stadio non mette mai piede. Per questo impossibile è prevedere le reazioni.
Si riversano per strada ragazzi, signore con il golfino sulle spalle, uomini della porta accanto, hippies. Estranei al calcio, ma non alla città, interessata ad una vicenda che pare proprio la tocchi nella sua interezza, non solo nella sua emanazione calcistica.
Più o meno le stesse conclusioni a cui arriva il questore di Firenze al momento di preparare il processo per i fermati negli scontri. Viene infatti affermato che gli ultras sono stati appoggiati da buona parte della città, allargando così di molto la platea delle responsabilità morale degli avvenimenti. I tifosi e la città, quel 18 maggio, esplosero di sdegno verso l’ambiguità delle parti protagoniste della vicenda, nonché della vicenda stessa, tra le più importanti di sempre, per portata simbolica, nel calcio italiano.
Il fatto che, più di trent’anni dopo, si tratti la cessione di Baggio alla Juventus senza essere giunti a tutte le verità, che lo si narri come un caso (e, se si vuole, il fatto stesso che ancora se ne parli) fa intuire la complessità della vicenda. Sembra la sceneggiatura di un film a cui abbiano lavorato troppe mani e troppe teste, in cui non si capisce più nemmeno chi è il protagonista principale. Quando questo, invece, dovrebbe essere lampante.
Da predestinato a Baggio: Firenze innamorata
Roberto Baggio ha l’unica colpa di diventare troppo grande, in un contenitore che si fa via via sempre più piccolo. Arriva in Toscana dal Vicenza nel 1985, con un ginocchio destro in briciole. La Fiorentina decide comunque di scommettere sul proprio occhio per il talento e contro i 220 punti di sutura occorsi al prof. Bousquet per rimettergli a posto l’articolazione. In quel momento i viola hanno in mano uno scricciolo coi riccioli rampanti, molto prima che un giocatore. Basti pensare che nei postumi dell’operazione arriverà a pesare 56 kg, con la gamba ridotta – parole sue – alle dimensioni di un braccio.
#AccaddeOggi nel 1986: il debutto di Roberto Baggio in Serie A con la maglia Viola 🙌#ForzaViola 💜 #Fiorentina pic.twitter.com/dRYRwROMZC
— ACF Fiorentina (@acffiorentina) September 21, 2020
Eccettuati pochi scampoli di partite, l’appuntamento col campo è rimandato al settembre 1986, quando debutta in campionato in maglia viola. Ma, tempo una settimana, il menisco si sfascia di nuovo e addio a tutta la stagione. Anzi a dire il vero a quasi tutta, perché alla penultima giornata, in casa del Napoli, riesce a siglare il suo primo gol col giglio sul petto, tra lo sguardo protettivo di Antognoni e quello incuriosito di Maradona.
A partire dalla stagione seguente – la 1987/1988 -, comincia finalmente un periodo di stabilità e integrità fisica che gli permette di mostrare a Firenze, al calcio, le ragioni per cui era valsa la pena aspettarlo tanto a lungo. Cresce ulteriormente e si conferma l’anno seguente quando, assieme a Stefano Borgonovo, trascina i viola alla qualificazione alla Coppa UEFA. Si arriva così alla stagione 1989/1990, dove Baggio fa presto a confermarsi tra i migliori del campionato più ricco – di soldi e di talento – del mondo.
Nel mentre, per Roberto, Firenze è diventata casa. È un ragazzo, un timido, ma con idee decise e cristalline. Nel capoluogo toscano ha deciso di unirsi in matrimonio, facendo di una villetta a Sesto Fiorentino il suo nido. Viceversa, Firenze ha accolto Baggino col calore dell’animo, si è abbandonata completamente alla promessa del suo talento aspettandolo, poi proteggendolo e coccolandolo. La scena reggae della città se ne esce con un motivetto le cui note imprigioneranno i fiorentini per mesi: Non è un miraggio, Roberto Baggio!
Con Antognoni a chiudere la carriera in Svizzera, l’avvento e il boom di Baggio permettevano di – e inducevano a – pensare al pischello di Codogno come la nuova pietra angolare del futuro. Si assisteva ad una simbiosi giocatore-città che si sviluppava tenera e incondizionata, spontanea e romantica. Una sorta di evoluzione, se si vuole, persino rispetto al “ragazzo che giocava guardando le stelle” che, fascia di capitano al braccio, ha legato il suo nome a squadra e città. Se ancora oggi si gira per Firenze chiedendo chi sia l’Unico 10, non si avrà altra risposta che Giancarlo Antognoni. Se Pupo in “Firenze S.Maria Novella“, che è nell’ABC della cultura cittadina, ammonisce Guai a chi parla male di Antognoni, ci sarà un motivo.
Chi sceglie Firenze, se ricambiato, trova sostegno e protezione. Trova, nel bene e nel male, visceralità.
Tanto Baggio, troppo Baggio
Così, nella stagione 1989/1990, Baggio è la superstar indiscussa della Fiorentina e di Firenze. In una squadra che fatica in campionato fa il bello e il cattivo tempo, finendo inevitabilmente per attirare attenzioni importanti. Già ben prima di metà stagione, con la famiglia Pontello intenzionata a cedere – e quindi capitalizzare – la società, i rumors si fanno insistenti. Le bocche da fuoco pronte a scannarsi per averlo sono quelle a cui è difficile dire “no”: Agnelli, Berlusconi e rispettivi emissari assediano i Pontello con offerte sempre più convincenti.
La bomba vera e propria la lancia Cesare Castellotti a 90° Minuto, in un altrimenti tranquillo pomeriggio domenicale: nonostante la replica immediata e contraria del collega Giannini, Baggio sarebbe già promesso alla Juve. D’altronde, è sin da dicembre che Agnelli afferma – anzi, promette – di volerlo portare a Torino. Ma tra dichiarazioni e risposte, incontri e smentite di incontri, Baggio un giorno è della Juve, l’altro è del Milan, destinazione per cui sembra invece propendere Caliendo.
A sentire il protagonista, però, il suo unico desiderio è quello di rimanere a Firenze, a casa. Dopo mesi di silenzi, a marzo alza la voce. Il suo gran rifiuto – Lo scriverò anche sui muri: rimango a Firenze – guadagna la prima pagina della Gazzetta, delineando pubblicamente una situazione già chiara in più ristretti circoli. In un angolo del ring c’è infatti chi vuole Baggio lontano dalla città del giglio – Agnelli, Berlusconi, Caliendo, i Pontello -, nell’altro il giocatore e una città che sta iniziando forse a capire e sicuramente a temere, ma che continua a non sapere.
Chi conosce la verità, in quei giorni se la tiene ben stretta consapevole che, coinvolte, ci sono altre sfere oltre a quella del puro pallone. I più informati dicono che Berlusconi e il Milan si siano tirati fuori dalla corsa a Baggio. Una riunione con Agnelli e Montezemolo avrebbe chiarito al Cavaliere le idee sul fatto che farsi nemici di quel calibro, in un periodo già ricco di conflittualità per via della scalata al gruppo Mondadori, non sarebbe stata una mossa felice.
E dire che Caliendo – come avrà modo di affermare egli stesso – l’intesa totale l’aveva trovata proprio col Milan, che da quel momento lascia campo libero all’artiglieria bianconera. Oltre a moneta sonante, sembra che a rappresentare la chiave di volta dell’offerta juventina siano affari legati ad altri business, promessi dal gruppo FIAT ai Pontello. Per Baggio significa dover iniziare a vedere il profilo della Mole a sovrapporsi a quello della Cupola del Brunelleschi, l’arco alpino alle colline di Fiesole e Careggi.
La beffa più grande che il diavolo abbia mai fatto è convincere il mondo che lui non esiste
In questo clima saturo di ambiguità e indeterminatezza, Firenze e la Fiorentina vivono un campionato contraddittorio. Un Baggio secondo solo a van Basten tra i marcatori non basta per evitare alla squadra un campionato triste, con la salvezza agguantata solo in extremis. Nel mentre, in Europa, va impronosticabilmente bene. Atletico Madrid, Sochaux, Dinamo Kiev, Auxerre, Werder Brema: questi cinque doppi confronti, con mai più di un gol segnato o subito a partita, portano la Fiorentina alla (anch’essa doppia) finale di Coppa UEFA.
L’indomani i viola conoscono la propria avversaria, ovvero la Juventus. È questo il “dettaglio” che rende l’intera storia ancor più vicina alla cinematografia che al calcio e che contribuirà sia alla frustrazione dei tifosi in quei caldi giorni di metà maggio 1990, sia all’impennata nel sentimento anti-juventino, in un abbinamento ormai classico per Firenze.
Non che la rivalità – sebbene la parola suggerisca una bilateralità non sempre presente – sia nata in seguito agli avvenimenti del ‘90, come spesso si è portati a pensare. Qualcuno la fa risalire persino al 1928 quando, dopo un 11-0 a favore della Juventus, il Giornale di Torino esce con un titolo-sfottò onestamente spassoso: Firenze, un… dici nulla?
Certo è che per molti anni l’antipatia si mantiene su binari sportivi, legati alla competizione, senza che essa riesca a travalicare i confini semantici del pallone e del tifo. Fatto che, invece, comincia ad accadere nel 1982. Appaiate in testa alla classifica all’ultima giornata, per entrambe l’imperativo è vincere. Ma a Cagliari ai viola annullano un gol di Graziani, mentre a Catanzaro la Juve gode della mancata assegnazione di un rigore ai calabresi. Brady, invece, segna quello assegnato ai suoi, regalando la seconda stella ai bianconeri. La copertina Meglio secondi che ladri, ad opera del “Brivido Sportivo”, rimane uno dei titoli e degli slogan più riconoscibili e riciclati – la dico grossa? – di sempre in questo paese.
Insomma, si capisce che tra la sempre più spinosa questione-Baggio e il divampare del sentimento verso il club a strisce, a Firenze il clima è piuttosto lontano dal disteso. Il sorteggio vede giocare la finale d’andata a Torino e, dopo la gara, apriti cielo. La Fiorentina è furiosa per la sconfitta – 3-1 – maturata anche per via di un gol viziato da un’evidente irregolarità ai danni di Pin, il quale approfitterà dei microfoni RAI per urlare un Ladri! che non c’è bisogno vi dica a chi venne indirizzato.
Pochi giorni dopo arriva la notizia che la Fiorentina, sanzionata con la squalifica del campo casalingo del “Curi” (il “Franchi” inagibile causa lavori per i Mondiali), giocherà la finale di ritorno in quel d’Avellino, storica exclave bianconera. Checché se ne sia detto nel tempo, Avellino fu comunque una scelta della società viola, che scartò le ipotesi Bari e Lecce. Matura così un tremendo 0-0 in uno stadio praticamente juventino, festante da principio a fine. E magari finisse lì.
#AccaddeOggi nel 1990: la Juventus supera la Fiorentina in finale e alza al cielo la Coppa UEFA 🏆🖤🤍#UEL pic.twitter.com/aPbw1vfiLt
— La UEFA (@UEFAcom_it) May 16, 2020
La teoria del piano inclinato
Tornato sfatto, magari anche contuso, certamente triste dal pullman, dal treno, dalla macchinata in quel d’Avellino, il tifoso fiorentino non aspetta altro che sonno lo colga. Quello dopo la sconfitta è un giorno tremendo, ma almeno è un giorno nuovo. Quindi bestemmiando torna e bestemmiando si addormenta, così come ancora bestemmiando, probabilmente, la mattina s’alza.
Va al bar, ordina un caffè. Zucchero? chiede il barista. No no, sie: amaro, come la vita, risponde ancora sdegnato, mugolando qualcosa sui gobbi e di come sarebbe felice se da un giorno all’altro sparissero tutti. Aperto su uno dei tavolini c’è il giornale, quello sportivo, i granelli di zucchero dei bomboloni intorno. Solitamente tocca sempre aspettare il proprio turno, ma oggi, 17 maggio, nessuno ha voglia di leggere di come la Coppa abbia preso la direzione di Torino e bla bla bla, accidentalloro.
Ma l’abitudine la fa da padrona, si avvicina al giornale e lo chiude da sinistra, perché figurati, si comincia sempre dalla prima pagina. E lì, nuovamente, bestemmia. Sulla carta rosa campeggia, inequivocabile, Oggi Baggio va alla Juve; il caffè sembra il peggiore di sempre, la crema del cornetto acida come mai.
Per tutta la giornata si inseguono conferme, spiegazioni, le parole di Caliendo che dice che Baggio vuol pensare in solitudine quando, in realtà, la firma è già stata apposta. Negli anni a venire il procuratore avrà modo di dichiarare la sua versione:
Non volevo che Roberto rimanesse a Firenze, e quindi dovevo psicologicamente entrare dentro di lui. So di aver fatto una violenza in quel momento. Dal punto di vista umano me ne pento amaramente, lui era molto legato a Firenze.
È nella separazione che si capisce la forza con cui si ama
Caliendo improvvisa quindi la conferenza stampa nella sede della Fiorentina, i Pontello assenti, Previdi a cui sembra abbiano tagliato la lingua. I tifosi si assembrano sotto il palazzo dei Pontello e sotto la sede, vengono allontanati dalle forze dell’ordine. Il giorno dopo è il 18 maggio, e andrà persino peggio. Mentre Baggio butta a terra la sciarpa della Juventus nella sua prima conferenza da bianconero, Piazza Savonarola è a ferro e fuoco sin dalle 10 di mattina. Sotto la sede viola divampano scontri violenti e rabbiosi, mai visti per la cessione di un giocatore.
È un giorno che, comunque la si pensi, fa la storia del calcio italiano, pur lontano dal campo. Un giorno che pone ufficialmente fine all’idea di un calcio di bandiere, un giorno che celebra la morte della sensazione che i soldi e il potere possano non soverchiare il sentimento. E invece i miliardi tinti di bianco e di nero portano Baggio via da Firenze, Firenze via da Baggio.
L’agitazione, da Piazza Savonarola, si dilata presto negli spazi, nei tempi e negli obiettivi. Finiscono nel mirino cantieri della famiglia Pontello, poi il Centro Tecnico di Coverciano, dove agli ordini di Azeglio Vicini la Nazionale sta preparando il raduno pre-Mondiale. Baggio ci arriva ammascato dentro una camionetta della Polizia, che sta tentando di presidiare la zona stante la brillante idea di tenere le porte di Coverciano aperte. Firenze urla in faccia al suo bambino prediletto la sua nausea, gli dà di puttana. Scoppia di risentimento per chi si è piegato, ma anche per chi non ha saputo dire di no.
Si sdegna perché la vicenda ha mostrato che la Fiorentina e Firenze possono valere “meno”, e l’inferiorità non è un sentire molto frequente, da queste parti. I quadri federali capiscono che tira una brutta aria e fanno trasferire gli Azzurri; Firenze rimane senza sfoghi, la situazione si placa. La bile verrà riversata nel tifare contro la nazionale, simbolo di un sistema che secondo i tifosi viola ha assecondato le maniere di chi ha voluto togliere Baggio da Firenze. In un Mondiale ovunque ricordato per le Notti magiche, per la sua capacità generatrice di sogni ed esperienze collettive, a Firenze la Nannini e Bennato lasciano spazio all’iconico coro
Una città “contro”.
6 aprile 1991, Fiorentina-Juventus: Roberto Baggio torna per la prima volta a Firenze da avversario.
Gesto storico al 64': mentre viene sostituito, dagli spalti piove una sciarpa viola.
Il Divin Codino si china e la raccoglie con estrema naturalezza.#TBT #JuveFiorentina #DAZN pic.twitter.com/TkxVcFtoed— DAZN Italia (@DAZN_IT) April 18, 2019
Potevi esserci anche tu
L’episodio che simbolicamente si pone come epilogo alla storia lo conoscono anche i bambini. Baggio torna a Firenze quasi un anno dopo, nell’aprile 1991. Indossa la maglia bianconera, che a quel punto per Firenze è marchio d’infamia, e infatti lo stadio è tutto un rifiuto. Conquista un rigore che poi non batterà e che verrà sbagliato poi, alla sua uscita dal campo, in un mare di bottigliette, raccoglierà la sciarpa viola lanciata da un tifoso, tenendosela stretta al ritorno negli spogliatoi. Si congederà dal Franchi tra gli applausi per quel gesto istintivo, tenero nella sua genuinità, capace di far virare gli umori di decine di migliaia di persone qual piume al vento.
Prima del fischio d’inizio la Curva Fiesole riesce a mettere in piedi una coreografia che – sarò scemo io – fa venire le lacrime tanto è bella. Con una semplice alternanza di bandierine bianche e viola, la Curva disegna lo skyline degli elementi architettonici più rappresentativi della città, di quello che rende Firenze unica agli occhi del mondo ma, anche e soprattutto, agli occhi dei fiorentini.
E quella coreografia della Curva Fiesole sembrava volesse dire proprio a lui, al di là dei fischi:
Vedi, questi sono i nostri gioielli. Potevi esserci anche tu.