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CALCIO ITALIANO

Alexis Sanchez è stato l’emblema del modello Udinese

L’abbiamo visto girovagare in lungo ed in largo per il Vecchio Continente, dalla Catalogna alle grandi metropoli inglesi. Ora, però, sembra tornato in pianta stabile in Italia, dove la sua avventura calcistica ha spiccato il volo qualche anno fa: rispolveriamo dai cassetti della memoria l’Alexis Sanchez in maglia Udinese.

Ma siete anche qui?

Pare che ogni volta che gli osservatori dell’Udinese si sistemano sugli spalti di questo o quello stadio in questa o quella nazione, trovino colleghi che gli pongono questa domanda, increduli della loro presenza. Che si bubboli di freddo in Finlandia, che si soffochi di caldo ad Accra, che si respiri aria di eterna primavera a Medellín, gli occhi dei friulani arrivano, analizzano, valutano.

Il “modello Udinese”

La capillarità dell’organizzazione nell’attività di scouting ha permesso negli anni di parlare di un vero e proprio “modello Udinese“. Una storia che parte negli anni ’90 con la leggendaria “Stanza delle TV” – ora smantellata – situata nella pancia dello stadio, dove 50 schermi – roba da CNN – proiettavano filmati della promessa di turno, pescata in campionati più o meno esotici. “Con quella sala avevamo anticipato tutti, seguivamo i campionati di ogni nazione, anche quelli giovanili” afferma Carnevale, storico DS dei friulani. 

“Per noi era più facile arrivare per primi sui calciatori. Oggi grazie a piattaforme come Wyscout tutti i professionisti hanno accesso ai filmati che all’epoca vedevamo solo noi. È stato un po’ copiato il modello, ora lo usano tutti”. Strumenti al servizio di una rete di osservazione sì estesa, ma che si è dimostrata, soprattutto, competente nella delicata e complessa attività di valutazione del talento.

Perno di questa strategia è la tempistica. Non potendo competere finanziariamente, l’Udinese si è sempre orientata al battere sul tempo la concorrenza, comprando – velocemente – a poco per poi tentare di vendere a molto. Una politica che ha generato cicli sportivi e finanziari virtuosi, ma che da qualche anno vive uno stallo, anche a causa di una “democratizzazione” dello scouting. Piattaforme come Wyscout, infatti, permettono a pressoché tutti i club di avere accesso agli stessi dati. Il campo riflette questa perdita di vantaggio competitivo: è dalla stagione 2012/2013 che i friulani non finiscono il campionato nella prima metà della classifica.

Alexis Sanchez rappresenta con tutta probabilità l’esempio ideale e più cristallino del “modello Udinese“. Dalla sua scoperta fino alla sua cessione, passando per la sua gloria, tutto racconta di come in Friuli intendono scoprire e – passatemi il termine – sfruttare il talento.

Camminare con Alexis e la sua storia a Tocopilla (Foto: Martin Bernetti/Getty Images – OneFootball)

Nasce, corre, calcia

Alexis Sanchez nasce a Tocopilla, Cile, nel 1989. A Tocopilla c’è sempre rumore, anzi ci sono sempre più rumori, di fondo. C’è l’acqua del Pacifico, c’è il ronzio dell’immensa centrale termoelettrica, c’è lo sferragliare del porto industriale. Vanno pazzi per il béisbol. Sembra che i primi colpi di mazza nel paese si siano tirati qua, e che la squadra della città abbia vinto più della metà dei campionati nazionali.

A qualcuno però, sulle spiagge e sui campini di cemento, piace più prendere a calci un pallone, forse stimolato dal torneo che si tiene sin dal ’63, il Minimundial. 12 squadre delle Ligas locales (che onestamente non so se associare ai nostri amatori o alle nostre “categorie”) che indossano la maglia di una Nazionale “X” e, appunto, si sfidano a calcio in uno stadio bello pieno. L’edizione 2020, se vi interessasse, l’ha vinta il Paraguay, in una sofferta finale contro El Salvador. Gli osservatori cileni vanno sempre a buttarci un occhio, chissà non venga fuori qualcosa.

Tra quelli che preferiscono il calcio al baseball ce n’è anche uno che è più bravo degli altri, e di parecchio. Alexis Sanchez ha già il suo apodo, il suo soprannome, come tutti i bipedi che calciano un pallone nati dal Messico in giù. In paese lo chiamano la Dilla – lo scoiattolo – perché pare sia il più lesto di tutti ad arrampicarsi sugli alberi per recuperare i palloni che piedi maleducati incastrano tra le fronde. Spicca nel gioco, è evidente, e qualche scout del Cobreloa se ne accorge, e se lo assicura.

Lo lasciano un po’ in riva all’Oceano, poi decidono di portarselo “a casa”, a Calama. Siamo nel bel mezzo del Deserto di Atacama, il più arido del globo. A 10 minuti da lì c’è Chuquicamata, Chuqui per gli intimi, ovvero la miniera di rame a cielo aperto più grande del mondo. Sembra che nel 1952 la vista delle infernali condizioni lavorative del luogo abbia ispirato in maniera decisiva un 24enne studente di medicina, Ernesto Guevara, a battersi contro l’ingiustizia dello sfruttamento.

Sanchez, un fiore nel deserto

Al Cobreloa Alexis Sanchez fa presto a scombinare le carte, trasformandosi nel giro di 2 anni da volto nuovo delle giovanili a punto fermo della prima squadra. Esordisce sedicenne in campionato, comincia altrettanto presto a segnare e a far parlare di sé. Si vocifera che, vestito d’arancione, uno sbarbatello stia facendo impazzire più d’un avversario, mostrando colpi importanti e distribuendoli senza grossi timori lungo tutto il Cile. 12 gol in 47 presenze lo catapultano in un’altra dimensione: non può più essere la Dilla che si arrampica sugli alberi, ma diventa un giocatore dal potenziale visto in pochi altri a quelle latitudini. Per tutti sarà, e tuttora – a 32 anni compiuti – per me lo è, Niño Maravilla.

Figuriamoci se i falchi pellegrini dell’Udinese non hanno già avvistato la preda, messo gli occhi su questa maravilla pescata nel deserto. E Gino Pozzo, vertice della piramide decisionale friulana, si è innamorato. Un colpo di fulmine che lo porta a sborsare 2 milioni di euro per accaparrarselo, battendo tutti sul tempo. A Udine la scintilla è già scattata, ma per il fuoco si decide di aspettare.

Sanchez Colo Colo
Un pischello al Colo Colo (Foto: Mauricio Duenas/Getty Images – OneFootball)

Viene lasciato in prestito in Cile, ma facendogli vestire il bianconero del Colo Colo che – oltre ad avere uno dei nomi più belli di sempre – è la squadra più importante del paese. Ci arriva a 17 anni, ovviamente “bassino” ma già fisicamente piazzato, spoiler del torello che verrà. L’anno successivo è di nuovo prestito, con un ulteriore scatto in avanti: River Plate. A Buenos Aires, allenato da Simeone, si rompe la caviglia sinistra e vince il campionato Clausura 2008, cose che capitano se giochi a calcio.

Sanchez River
In un Clásico si beve mezzo Boca e prende rigore, affossato da Cáceres (Foto: Alejandro Pagni/Getty Images – OneFootball)

Tastare il terreno

In estate arriva il momento di portarlo a Udine. È pronto per giocare, smania per farlo. L’impatto è discreto, ma non clamoroso. È la classica – comprensibilissima – stagione di adattamento. Alexis mostra pregi notevoli, ma anche difetti evidenti, pur imputabili alla gioventù. Ad esempio: la ricerca in maniera ossessiva dell’uomo da saltare, senza che il suo dribbling si sia ripulito da un certo vizio per l’orpello, dal dribblare per il gusto di dribblare. Che abbia tanto da dire è palese al mondo intero ma – come si suol dire – pecca un po’ di sostanza. Regala sprazzi di luce solo a intermittenza e, incaricato di rifornire Di Natale e Quagliarella più che di finalizzare, sbaglia molto in termini di scelte. Due conclusioni da fuori area contro Bologna e Catania e un tap-in contro il Lecce: queste saranno le tre gioie realizzative dell’annata.

La stagione successiva, la 2009/2010, è piuttosto strana per i friulani. In Coppa Italia si spingono fino alla semifinale, ma in campionato arriva un fallimentare 15° posto. Alla voce “note liete” troviamo un giocatore fuori controllo come Totò di Natalepichichi con 29 gol. A fargli compagnia i compari nel tridente, Simone Pepe e, appunto il Niño Maravilla, che vedono il loro amalgama crescere e farsi più efficace con l’avanzare del campionato, a dispetto dei risultati.

Sembra un giallo ben speso (Foto: Anteprima/Getty Images – OneFootball)

Alexis Sanchez compie passi da gigante sotto il profilo tattico – tra i più indigesti per i calciatori stranieri -, cerca con più raziocinio la superiorità numerica, è più coinvolto nel gioco di una squadra che ha il settimo attacco del campionato. Sa cosa manca per rendere il suo piccolo angolo di mondo migliore: segnare di più. Lo chiede Guidolin, suo nuovo allenatore, ma anzitutto se lo chiede lui stesso. Gli si legge negli occhi vispi e scuri la fame di fare, di stupire, di eccellere.

La partenza della squadra però è un mezzo disastro, con quattro sconfitte a battezzare il torneo. La classifica però rimane piuttosto corta, e – dopo un tris di vittorie – la squadra galleggia in posizione dignitosa. Fino alla nona giornata, Alexis Sanchez non trova il gol. Dopo tanti e vari esperimenti Guidolin imbastisce un 3-5-1-1 col Niño alle spalle di Totò. Quest’ultimo seguita a segnare una domenica sì e l’altra pure, mentre il cileno carburerà più in là, verso dicembre. Ecco, da lì in poi fa il botto. Un botto enorme, che mi ricorda quel video di un fuoco d’artificio che pare una bomba vera e propria. Ci impazziscono tutti, dietro a quei due.

Catch Me If You Can

Alexis sembra viaggiare per il campo come fosse sulla Nuvola Speedy di Dragonball, e quando ha tanto campo da attaccare crea il panico. La nuova posizione lo libera dai compiti difensivi della fascia e lo accentra nella strategia offensiva, permettendogli di trovare la porta con più continuità. Personalmente, quando sono andato a rileggere i numeri dei suoi tre anni in bianconero, mi ha fatto abbastanza strano vedere che abbia segnato “solo” 20 reti.  Ad un certo punto, probabilmente, il suo talento è emerso in maniera così aggressiva e straripante da aver generato una distorsione nel mio ricordo.

Sanchez e Di Natale
Gente che porta in Champions altra gente (Foto: Alberto Lingria/Getty Images – OneFootball)

E allora – dato che la (mia) memoria è così fallace e che le parole potrebbero seguirne l’esempio – per ricordare di che giocatore si era innamorato il mondo del calcio, forse è meglio far parlare le immagini. Vi propongo un cocktail di suoi gol in quella stagione, che in Italia è LA stagione di Sanchez. Trovate il link al video cliccando sul titolo di ognuno.

vs Bari

Che succede – Una situazione di attacco che potremmo definire “statica“, in cui Sanchez viene coinvolto nell’azione dopo un break a centrocampo di Asamoah, quell’anno in versione splendida mezzala. Quando riceve palla, decentrato nella trequarti avversaria, è il più avanzato dei suoi. La difesa avversaria è tutta schierata, la linea mediana si sta ricomponendo: fra lui e la porta ci sono 8 avversari. Col controllo orientato riesce a girarsi, trottando al largo di Almirón e costringendosi così ad affrontare quello che – dato che è rosso di capelli – credo sia Gazzi. Il barese riesce a tenere contatto col Niño e a fargli cambiare direzione di corsa. Lo porta in una situazione classicamente innocua, in cui gli allenatori ti urlano di appoggiarti su un compagno, magari di premiare la corsa di qualcun altro, o ancora di cercare un fallo. Ma mai di tirare. Lui che fa? Un gol della Madonna.

Me lo ricordo perché – Il pallone entra in porta e, invece di cadere a terra, viene cullato per un attimo da una cucitura della rete, zona erogena esterna al corpo che solo i calciofili hanno. O almeno spero, altrimenti devo andare a farmi vedere.

vs Juventus

Che succede – I friulani sono in forma smagliante e affrontano una gelida trasferta torinese di fine gennaio. Marchisio porta in vantaggio i suoi con una semi-rovesciata, poi Zapata pareggia provocando uno dei celebri sfoghi di Buffon. All’84’ Sanchez addomestica un pallone vagante al limite dell’area, gioca al torero con Felipe Melo e si getta in area quando il pallone arriva a Isla, che l’ha ricevuto a sua volta da Abdi. Palla dentro, piatto destro, Juve battuta in casa.

Me lo ricordo perché – Perché con questo gol ci persi la prima schedina della mia vita. Grazie Alexis.

Sanchez e Di Natale
Scomodi da affrontare (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

vs Milan

Che succede – Sanchez e l’Udinese non lo sanno, ma la settimana precedente hanno messo il primo mattoncino del blocco di 13 partite senza sconfitte che la proietteranno nelle zone altissime della graduatoria. Per l’ultimo turno del girone di andata c’è la trasferta di San Siro, contro il Milan campione d’inverno. Chi è allo stadio ringrazia di aver speso bene i propri soldi: il Milan va sotto ma pareggia, poi sembra crollare, e a meno di mezz’ora dal termine è 1-3.
L’1-2 lo segna Sanchez nella maniera meno pronosticabile, parlando del cileno. Il connazionale Isla riesce a mettere in mezzo un cross un po’ raffazzonato, su cui si avventa di testa in tuffo il Niño Maravilla, che sbrana un piantato Bonera. È una rete “normale”, senza particolare coefficiente di difficoltà, ma che ben racconta dei compiti da attaccante richiesti da Guidolin nel suo ruolo di supporto a di Natale, intuizione che fece le fortune di quell’Udinese. Finisce che i diavoli riescono a pareggiare 3-3, per poi andare sotto all’89’ ma anche a fare, in pieno recupero, 4-4.

Me lo ricordo perché – La differenza nella frequenza di passo tra Sanchez e Bonera mi fece provare imbarazzo per il rossonero.

vs Palermo

Che succede – Beh, succede che al “Barbera” finisce 0-7 per l’Udinese: tre li segna di Natale, gli altri quattro Alexis, nei 53 minuti che gioca. Il mio parrucchiere palermitano, che era allo stadio, mi dice che fu “una partita strana“. In altre parole, è la peggiore sconfitta interna di sempre per il Palermo e la vittoria esterna più larga di sempre per i friulani. Dopo aver segnato lo 0-2 al 20′ su sviluppi di corner, Sanchez sigla la temporanea doppietta nemmeno dieci minuti dopo, mangiandosi il campo sul disastro difensivo del Palermo. Farà il pieno ad inizio ripresa.

Me lo ricordo perché – Il doppiopasso di fronte a Sirigu ha in sé qualcosa di primordiale, di animalesco, tanto è violento e plateale è il movimento. In più, onestamente, il Palermo mi stava simpatico, e perciò quasi quasi ci rimasi male. E poi beh, 0-7…

vs Cagliari

Che succede – Ventinovesima giornata: al Sant’Elia va in scena il manifesto programmatico dell’Udinese di Guidolin. Dopo aver sbloccato il match con Benatia al 43′, Sanchez raddoppia giusto un minuto dopo. Il Niño Maravilla conduce palla per tutto il campo, partendo dalla propria trequarti e superando pure Agazzi, che non sembra nemmeno esserci. Finirà 0-4; Sanchez sigillerà l’intesa con Di Natale fornendo entrambi gli assist per la doppietta di Totò.

Me lo ricordo perché – Sanchez fa sembrare il difensore (Astori? Canini?) che l’affronta sui 25 metri un qualsiasi imbranato che infila i pattini da ghiaccio e si mette sulla pista per la prima volta. A vedere gli highlights, l’Udinese mi sembrò così serena e divertita nel giocare il proprio calcio che, per la prima e forse ultima volta, una squadra bianconera mi fece sorridere.

È Barranquilla o Udine? (Foto: Dino Panato/Getty Images – OneFootball)

Mai dire mai, parola di Sanchez

Al termine della stagione 2010/2011 Alexis non è più un talento da sgrezzare, ma il giocatore più conteso sul mercato. Fuori dalla porta dei Pozzo e di Felicevich, il suo agente, c’è la fila di top club. La volontà del Niño Maravilla si paleserà forte, permettendo al Barcelona di spuntarla sulle inglesi e di affiancarlo ai vari Pedro, Villa, Messi. Lo pagheranno, bonus compresi, quasi 40 milioni di euro. Un trasferimento certo doloroso ma inevitabile – scritto, se vogliamo – nel contesto del “modello Udinese“.

Forse il rimanere affezionati all’idea che l’Udinese sia ancora al top nel talent scouting è immotivato. Ma dentro gli uffici del club – e, se ci scaviamo un pochino dentro, ce lo sentiamo anche tutti noi – sanno che, prima o poi, succederà di nuovo. Un osservatore, inviato a chissà quali latitudini, scriverà prima degli altri in Friuli, dicendo che quel ragazzo lì dev’essere nostro, che non lo si può lasciar perdere.

Che magari ci scappa un altro Alexis Sanchez.

Sanchez
Alexis: sguardi da duro (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images – OneFootball)

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