Dopo il Gol dell’Anno, la Matricola dell’Anno e il Giocatore più Migliorato dell’Anno, arriva la quarta categoria nella settimana degli RdL Awards, i nostri premi per la stagione di Serie A 2020/2021 appena conclusa. Proseguiamo con l’Allenatore dell’Anno: chi è stato il miglior tecnico del campionato?
Come abbiamo stabilito questi ed i restanti premi? La nostra redazione ha espresso tre preferenze per categoria: 1 punto per il bronzo, 3 punti per l’argento e 5 per l’oro. Dopodiché, abbiamo calcolato chi fossero il terzo, il secondo ed il primo classificato per punti raccolti. Ed eccoli qui.
3º posto: Gian Piero Gasperini, Atalanta (51 punti)
di Gianluca Losito
Per la prima volta nella storia della Serie A, una squadra si è piazzata per 3 stagioni consecutive al 3° posto: la terza piazza tra gli allenatori non poteva andare che al suo allenatore, Gian Piero Gasperini, per una sorta di regolamento dantesco. Il tecnico di scuola Juventus ha raggiunto la terza Champions League della sua carriera con un percorso più lineare del solito: la differenza di 6 punti tra il girone d’andata (36) e quello di ritorno (42) è la più stretta degli ultimi quattro anni per la banda nerazzurra, nonché il miglior risultato al giro di boa del quinquennio gasperiniano.
Alcuni contestano alla Dea qualche pareggio di troppo a cavallo del nuovo anno, ma va tenuto in conto che in quel periodo l’Atalanta stesse vivendo una fase di transizione tattica e carismatica, quella che ha visto il fulcro del suo gioco, Gomez, trasferirsi al Siviglia. Non solo lui: anche Ilicic, seppur rimanendo in Lombardia, ha visto il suo peso (e i suoi minuti sul terreno di gioco) crollare drasticamente. Un’Atalanta rinnovata, grazie agli innesti di Pessina e Romero in primis, ma anche la lenta ma progressiva integrazione di giocatori che promettono di essere fondamentali per gli anni a venire, come Mæhle e Miranchuk, senza dimenticare i diversi elementi potenzialmente validi in prestito in tutta Italia.
Se, come cantava Caparezza, “il secondo album è sempre il più difficile nella carriera di un’artista”, allo stesso modo il secondo anno in Champions è stato il più difficile per una squadra che vuole cambiare definitivamente pelle: non più intrusa di lusso, ma stabile contendente al tavolo dei grandi. Col progressivo addio dei giocatori che hanno regalato all’Atalanta questi anni da favola, la sfida, accettata e vinta, dal coach di Grugliasco è stata quella di variare sempre di più il gioco, inserire nuove variabili nel software di gioco atalantino, rimuoverne di altre, bilanciare tutto al punto giusto per offrire un prodotto puro al 99,1%. Nella seconda parte di stagione il Gasp ha provato in diverse occasioni un nuovo abito tattico, il 4-2-3-1: un fantasista in più, un marcatore in meno. Riuscirà a trovare la giusta chimica? Lo scopriremo nella prossima stagione di Breaking Gasp.
2º posto: Stefano Pioli, Milan (53 punti)
di Tommaso Berra
“D’ora in poi sono tutte finali”. Immaginiamo per un momento un mondo nel quale la frase più noiosa e ripetuta dei finali di stagione abbia un senso oltre che un’originalità comunicativa. Immaginiamo che per ogni partita ci sia veramente un trofeo e il destino delle squadre dipenda solamente da quel poi, non da ciò che è stato fatto magari nelle precedenti trenta partite. Ecco. In questo mondo Stefano Pioli merita il podio della classifica dei migliori allenatori della Serie A 2020/2021, se non altro per il fatto di essersi trovato in uno dei finali di campionato più belli degli ultimi anni con il calendario peggiore e due scontri diretti (vinti entrambi) da giocare, compreso quello con la Juventus in trasferta.
Se poi facessimo lo sforzo di partire dalla prima giornata, allora Pioli è l’allenatore che per un intero girone è stato primo in classifica, valorizzando giocatori scelti e funzionali prima che forti per valore assoluto. Ha ottenuto il massimo da un mercato invernale limitato (Tomori e Meite), prendendo decisioni importanti come quella di togliere la titolarità al capitano della sua squadra (Romagnoli) e all’acquisto più atteso dell’estate (Tonali).
Stefano Pioli con 16 vittorie in 18 partite ha battuto il record italiano di vittorie in trasferta, quelle che vinci con competenza e preparazione senza sostegno di fattori ambientali, eguagliando un record raggiunto solo da Manchester City e Real Madrid. Era da anni che il Milan non sembrava così competitivo, soprattutto con le prime squadre della classifica. Quest’anno i rossoneri hanno strappato almeno una vittoria contro ogni squadra delle prime sette posizioni in classifica e non a caso è arrivato l’obiettivo atteso sette anni. La Champions League ampiamente meritata è il motivo per cui Pioli è in questa classifica, perché è stato il fattore cerebrale di un gruppo talentuoso, giovane, inesperto e fresco come l’acqua di montagna.
1º posto: Antonio Conte, Inter (84 punti)
di Giovanni Fasano
Da poche ore l’Inter ha ufficializzato l’addio di Antonio Conte, con il tecnico leccese che dopo soli due anni al timone dei nerazzurri percepirà una buonuscita per la risoluzione consensuale del contratto. Dunque, come spesso gli è capitato in carriera, Conte lascia subito dopo aver conquistato un trofeo.
Oltre ad aver raggiunto l’obiettivo per cui era stato ingaggiato riportando lo scudetto nella Milano nerazzurra dopo più di un decennio di astinenza, Conte con un plebiscito (o quasi) di voti conquista anche il nostro premio come Allenatore dell’Anno. Nonostante le ottime stagioni di chi salirà assieme a lui sul podio, era impossibile non assegnare a colui che ha interrotto un’egemonia che durava da 9 anni questo riconoscimento.
Seppur lo Scudetto sia stato vinto con relativa serenità, per Conte quella appena terminata è stata una stagione logorante in cui è stato ripetutamente messo in discussione. Di momenti delicati ce ne sono stati diversi, soprattutto ad inizio stagione, ma quello in cui si è avuta la nitida sensazione che tra lui e l’Inter il rapporto si potesse chiudere anzitempo è stato dopo la gara contro lo Shakhtar Donetsk che ha sancito l’eliminazione dalla Champions League.
Dopo quell’anonimo 0-0, che idealmente possiamo contrassegnare come il punto più basso dell’avventura in nerazzurro di Conte, la squadra ha iniziato ad ingranare. La mano del tecnico in questo cambio di passo c’è stata ed è stata evidente: alla squadra che ad inizio stagione provava ad aggredire alto concedendo tanto agli avversari nelle transizioni negative ha fatto seguito una in grado di leggere i momenti delle gare nel modo più razionale possibile. Come detto da lui stesso all’inizio del suo trascorso a Milano, Conte si è posto come obiettivo quello di plasmare la mentalità dell’Inter: quella che storicamente veniva definita una squadra pazza si è trasformata in una glaciale nella gestione della partita. Abbiamo conosciuto un’Inter in grado di togliere il fiato agli avversari con un pressing ultraoffensivo e una in grado di rintanarsi in area di rigore e rispedire al mittente qualsiasi cosa si avvicinasse alla porta di Handanovic; abbiamo ammirato un’Inter in grado di aprirsi il campo manipolando lo schieramento avversario costruendo dal basso e una più pratica e diretta che si affidava allo strapotere fisico di Lukaku per risalire il campo.
Oltre ad aver dato un’identità chiara ma mutevole alla squadra, Conte ha tirato fuori il meglio da tutti i singoli, anche dai più insospettabili. Eriksen, stando a quanto detto più e più volte dall’amministratore delegato Marotta, a gennaio era con un piede e mezzo fuori dall’Inter, ma la successiva e obbligata permanenza non l’ha vissuta da separato in casa, bensì da valore aggiunto per la squadra. Il tentativo di reinventarlo vertice basso di riserva poi tramutatosi nel ruolo di doppio play al fianco di Brozovic è stato una delle chiavi della crescita dell’Inter. Anche Perisic, le cui caratteristiche erano stato bollate come inadatte al suo stile di gioco dallo stesso Conte, nella seconda parte di stagione ha dato il suo contributo in svariate partite.
Per non parlare della crescita di ragazzi lanciati l’anno scorso come Bastoni o giocatori le cui qualità andavano incanalate verso i binari giusti come Lautaro Martinez e, soprattutto, Barella. Infine, la Monnalisa di Antonio Conte è il lavoro fatto con e su Romelu Lukaku, certificato dalle parole al miele spese dall’attaccante belga nel messaggio d’addio all’allenatore. Quello che arrivava all’Inter come un attaccante con pregi e difetti marcati, è cresciuto sensibilmente trasformandosi in un corazziere incontenibile.
Il lavoro fatto da Antonio Conte è stato, anche in questa avventura, impeccabile, soprattutto se si calcola il tempo avuto a disposizione. Per intenderci, l’Inter ereditata da Conte aveva concluso il campionato precedente distante 21 punti dalla Juventus, quella che lascia 24 mesi dopo ha vinto il campionato con 13 punti in più dei bianconeri.
Al suo fianco la proprietà, almeno fino alla scorsa estate, ha fatto il possibile per assecondare le sue esigenti richieste, operando il più delle volte in maniera intelligente nei reparti in cui vi era necessità. Su chi, ai nastri di partenza della stagione 2020/2021, fosse la squadra con l’organico più forte si può continuare a discutere all’infinito, ma su quale sia stata la squadra migliore del campionato non c’è argomentazione contraria alla candidatura dell’Inter che tenga. E il merito è di Antonio Conte.
I voti di RdL per l’Allenatore dell’Anno e la classifica completa
Di seguito, tutti i voti della redazione di Riserva di Lusso per l’Allenatore dell’Anno:
Ecco, infine, la classifica completa:
- Antonio Conte, Inter (84 punti);
- Stefano Pioli, Milan (53 punti);
- Gian Piero Gasperini, Atalanta (51 punti);
- Vincenzo Italiano, Spezia (31 punti);
- Roberto De Zerbi, Sassuolo (14 punti);
- Gennaro Gattuso, Napoli (13 punti);
- Leonardo Semplici, Cagliari (5 punti); Davide Ballardini, Genoa (5 punti);
- Luca Gotti, Udinese (3 punti);
- Ivan Juric, Verona (2 punti).
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