Siamo pronti a ripartire con il nostro tour tra le dimore del calcio e, dopo tre tappe nella Penisola, ci spostiamo per la prima volta oltre confine. Volo oltreoceano con destinazione Rio De Janeiro. Faremo tappa al mausoleo del calcio brasiliano, il Maracana.
Rio de Janeiro: cidade maravilhosa
Quando la cordata portoghese capitanata Gabriel Coelho e comprensiva anche del nostro Amerigo Vespucci approdò per la prima volta sulle coste di quella oggi conosciuta come la baia di Guanabara, questi rimasero con ogni probabilità esterrefatti. Uno scenario paesaggistico semplicemente paradisiaco, che mai avrebbero potuto ammirare nel Vecchio Mondo, e di cui mai avrebbero potuto immaginare l’infinita bellezza.
Il tutto nonostante ormai bazzicassero da diversi anni quelle coste, che proprio durante questo viaggio, il terzo per lui, Amerigo Vespucci ebbe finalmente sicurezza non fossero quelle dell’Asia, come molti pensavano. Bensì quelle di una nuova terra, sconosciuta all’uomo europeo fino a quel momento, e che l’esploratore fiorentino definì appunto il Nuovo Mondo, prima che al continente venisse dedicato proprio il nome del suo scopritore.
Come spesso storicamente accaduto all’interno dell’universo geografico, il nome della città è dovuto a quella che in realtà fu un’ipotesi erronea. Da quanto risulta, la spedizione partita nel 1501 arrivò sulle coste di quella che sarebbe diventata Rio de Janeiro all’alba del 1502, nel primo giorno del nuovo anno. Ipotizzando che la baia consistesse nella foce di un fiume, decise di darle il nome che appunto tutti conosciamo oggigiorno. Rio de Janeiro, che in portoghese significa “fiume di gennaio“.
La storia di Rio rispecchia quella del Brasile. Un paese non privo di controversie, ma che nonostante ciò conserva un fascino ammaliante. Una descrizione che calza a pennello la stessa Rio. Chiunque di noi ha sognato almeno una volta di godersi il sole sulle spiagge di Copacabana e Ipanema, di visitare il Cristo Redentore e godere dall’alto della visione di uno degli scenari più incredibili che possano esistere. O ancora di lasciarsi andare e perdersi tra i mille colori del Carnevale di Rio, trasportati dal ritmo incessante della samba.
Allo stesso modo, siamo tutti a conoscenza dell’altra faccia della città brasiliana, quella triste, colma di cicatrici, lontana dall’euforie e dagli sfarzi della vita mondana. Quella delle favelas, del crimine, della povertà. Quella di chi non è stato altrettanto fortunato da vincere al lancio della moneta ch’è la vita. Due facce della stessa medaglia così vicine, ma allo stesso tempo infinitamente distanti. Due realtà che però trovano il loro punto di incontro in un’unica grande fede che non fa distinzioni di classe, quella per il calcio.
Rio, del resto, fa parte delle città del calcio. Un appellativo che diversi agglomerati urbani si contendono, ma che probabilmente non vedrà mai nessuna prevalere sul resto. Ma di fatto Rio non può non avere un posto di rilievo in questa speciale categoria. Qui hanno la propria residenza quattro delle squadre più importanti dello scenario calcistico brasiliano, ovvero Flamengo, Fluminense, Botafogo e Vasco da Gama. Qui sono nati alcuni dei maggiori talenti del calcio globale, basti pensare solo ad alcuni nomi: Zico, Ronaldo, Jairzinho, Adriano, Romario, Carlos Alberto. Solo per citarne qualcuno.
Ma, soprattutto, è la casa della nazionale brasiliana, il luogo dove sono state scritte alcune delle pagine più memorabili della storia del calcio carioca, sia in positivo che in negativo. È la città che ospita uno degli stadi più importanti ed irresistibilmente seducenti del panorama calcistico. Un edificio a cui, in maniera scaramantica, come se non volesse vedere cosa vi succede all’interno, come se avesse paura di non resistere a quanto vede, quasi volta le spalle anche il Cristo Redentore: il Maracana.
Maracana, costruire la storia
Come molti altri stadi, la storia del Maracana inizia grazie all’avvento di un Mondiale di calcio. Il mondo è alle prese con gli enormi strascichi lasciati dalla Seconda Guerra Mondiale, ma la popolazione ha bisogno di ripartire e con essa anche il calcio. Il Brasile si appresta ad ospitare i primi mondiali di calcio da dodici anni a questa parte, ma ha bisogno di implementare il numero di strutture per ospitare le partite del torneo. Vengono presentati diversi progetti da affiancare ad alcuni stadi già presenti sul territorio. Tra questi ce n’è uno decisamente più imponente rispetto agli altri: si tratta di un progetto che prevede la costruzione di un gigantesco stadio nella zona di Maracana, a Rio de Janeiro.
L’idea per lo stadio è un qualcosa di straordinario per l’epoca. Una struttura di circa 304.000 metri quadrati divisa su due anelli, che avrebbe dovuto accogliere tra le 140.000 e le 160.000 mila persone. Un progetto titanico, ma a detta di molti doveroso. Il Brasile sta per ospitare il primo Mondiale dopo il conflitto, un Mondiale che probabilmente li vedrà vincitori, dunque c’è bisogno di un luogo adatto per celebrare l’evento. Le cose poi andranno in maniera differente, ma sta di fatto che il progetto convince tutti, lo stadio si farà.
Resta da trovare il giusto modo per finanziare la struttura. A quell’epoca i Mondiali non portavano ancora in dote quella stessa concentrazione economica che poi si avrà nella seconda metà del secolo, e soprattutto verso la fine di esso. C’è bisogno anche di creatività per racimolare il denaro necessario. E chi meglio di un italiano è in grado di trovare metodi alternativi per far soldi? L’idea più singolare arriva dall’allora presidente della FIGC, nonché vicepresidente FIFA Ottorino Barassi, il quale suggerisce la vendita anticipata dei 20.000 posti coperti presenti al primo anello. Voi direte, cosa c’è di tanto creativo?
C’è che quella, piuttosto che una vendita, è una sorta di abbonamento centenario allo stadio, tant’è che ancora oggi chi acquistò all’epoca è tutt’ora detentore dello stesso posto da ormai settant’anni, e può assistere a tutte le partire che si disputano all’interno della struttura “gratuitamente“. Motivo per cui la vendita dei biglietti è sempre ridotta di ventimila posti rispetto alla capienza completa dello stadio. Un qualcosa di unico e probabilmente irripetibile.
Il problema pecuniario viene risolto e i lavori possono finalmente iniziare. Siamo nel 1948, e la costruzione per il monumentale stadio che dovrà ospitare la finale dei prossimi mondiali dura circa due anni, per poi terminare qualche mese prima dell’inizio della competizione. Il 16 giugno del 1950 va in scena la prima partita di quello che all’epoca era il Municipal, Rio de Janeiro-Sao Paulo 3-1. A firmare la prima rete nel nuovo impianto Didi.
Ancora oggi l’impianto è tra i più maestosi dell’intero globo, pur avendo subito diverse ristrutturazioni che nell’arco del tempo ne hanno ridotto la capacità. Nel 1964 intanto cambia il proprio nome in Estadio Mario Filho, così intitolato in nome di uno dei giornalisti sportivi più importanti del Brasile, nonché uno dei maggiori supporter della costruzione. Lo stadio rimane sostanzialmente lo stesso fino all’arrivo del nuovo millennio, che segna un vero e proprio periodo architettonicamente movimentato per il Maracana. Il tempo aveva lasciato il segno sulla struttura, che anche dopo i primi lavori di ristrutturazione terminati nel 2006 continuava a versare in pessime condizioni, con gli enti pubblici impossibilitati a rimettere in sesto la struttura a causa dell’ammontare dei debiti.
A risollevare le sorti del Maracana arriva un nuovo Mondiale, quello del 2014. Il Brasile si prepara ad ospitare, oltre ai Mondiali, anche le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2016, ed ha bisogno di un centro in grado di ospitare i maggiori eventi delle suddette manifestazioni. Questa volta lo stadio cambia davvero volto. L’originale impianto su due anelli viene modificato per creare una struttura più moderna e con nuove gradinate, oltre ad nuovo tetto. Lavori che hanno dato nuova vita ad uno stadio che rischiava di sgretolarsi definitivamente negli anni a venire, e che ci hanno regalato un palcoscenico storico, ma allo stesso tempo moderno.
Cartoline dal Maracana
La prima cartolina della nostra collezione non può non coincidere con quello che è l’eroe di giornata. Un evento che ha segnato la definitiva consacrazione alla storia di quello che, secondo l’opinione di molti, è stato il giocatore più forte della storia del calcio. Edson Arantes do Nascimento, meglio noto a tutti come Pelé.
È il 19 novembre del 1969, Pelé ha già scritto indiscutibilmente la storia di questo sport. Alla soglia dei trent’anni è già riconosciuto globalmente come l’essere più incredibile ad aver mai calcato un campo di calcio (sì, perché di umano aveva ben poco, chiedere a Tarcisio Burgnich), ha vinto già due Coppe del Mondo consecutivamente con la Nazionale brasiliana (cui si aggiungerà una terza nel ’70), e vive tutto sommato un’esistenza tranquilla.
Tuttavia, nel resto del mondo si sta scrivendo, seppur non calcisticamente parlando, la storia. Il mondo sta cercando di assimilare le prime conseguenze di quel cataclisma culturale ch’è stato il ’68 e Pelé sente di dover partecipare a questa storia, seppur a modo suo. Al Maracana va in scena un Santos-Vasco da Gama come ce ne son stati tanti, salvo per un particolare. In quella partita Pelé segna su calcio di rigore, e fin qui nulla di strano, se non fosse che quello messo a referto sia il gol numero 1000 della carriera del diez brasiliano. Un numero che al solo pensiero mette i brividi. Tralasciando tutte le questioni sulla veridicità o meno, di cui onestamente ci infischiamo.
La seconda istantanea ci trasporta di circa vent’anni in avanti rispetto al gol di Pelé. È il 1989 e il mondo del calcio si prepara a quelli che saranno i Mondiali di Italia ’90. La sempre attuale baraonda dei gironi di qualificazione sudamericani stavolta coinvolge anche la nazionale verdeoro. Brasile e Cile si trovano a giocarsi la qualificazioni con uno spareggio all’ultima giornata. Le due nazionali si trovano a pari punti, ma la differenza reti tra le due squadre decreta che alla Roja serva un solo risultato, vincere. Ci vuole un vero e proprio miracolo, dato che la partita si disputerà al Maracana.
È il 3 settembre e a Rio de Janeiro sta per andare in scena quella che alla storia passerà come la notte del Condorazo, sorta di cugino meno famoso del Maracanazo. Lo stadio, tanto per cambiare, è stracolmo, pronto a spingere la propria Nazionale ad una qualificazione tutt’altro che impossibile. La formazione brasiliana è decisamente di livello superiore a quella cilena, e nonostante l’avversario sia piuttosto spigoloso, la qualificazione non dovrebbe essere in dubbio.
Il primo tempo passa abbastanza in sordina, e al 58′ della ripresa a sbloccare la gara ci pensa Careca con una delle sue solite percussioni disarmanti, tanto care ai tifosi del Napoli. 1-0, al Cile adesso serve un vero e proprio miracolo. I minuti passano, ma dalle parti della retroguardia brasiliana non capitano pericoli, con Taffarel decisamente tranquillo. Ad un certo punto, però, sul Maracana si riversa il pandemonio. Dagli spalti arriva un bengala che si staglia a pochi passi dalla porta del cileno Rojas, è l’inizio della fine. Il portiere finisce giù, ma nessuno ha capito bene cosa sia successo; attorno al portiere cileno si crea una di quelle corride che tanto contribuiscono a rendere il calcio sudamericano maledettamente affascinante.
Il caos regna sovrano, non si capisce cosa stia succedendo, fino a che un Rojas dal volto insanguinato non viene portato fuori dai suoi compagni di squadra. I cileni protestano e finiscono con lasciare il campo senza alcun permesso. Al Maracana sono tutti sbigottiti, giocatori compresi, convinti che quell’episodio farà perdere la partita a tavolino, e dunque la qualificazione alla nazionale brasiliana. E così sarebbe stato, se non fosse che qualcuno ha visto, oltre ad aver immortalato la scena. Una scena che mostra una realtà diversa da quella percepita, dove il bengala atterra in realtà lontano dalla figura di Rojas.
Da lì inizia un parapiglia mediatico di quelli che oggi non se ne vedono più. Alla fine si scoprirà che Rojas avesse premeditato uno scenario del genere, per poi ferirsi da solo con un bisturi nascosto nei guanti, una trama da Oscar. La vittoria a tavolino va al Brasile. Un evento che solo il calcio sudamericano di un tempo poteva regalare, e che meriterebbe maggiore attenzione, se non dovessimo concentrarci su quello che abbiamo definito il cugino famoso, il Maracanazo.
Antologia: Il Maracanazo, Uruguay-Brasile 2-1
In precedenza abbiamo parlato di come il Brasile si stesse preparando ai Mondiali da ospitare nel 1950, e di come si aspettasse di trionfare in quell’edizione. Il percorso dei padroni di casa non tradisce le aspettative, e tutto sembra portare a quanto pronosticato. L’ultima giornata del girone finale del torneo va in scena proprio al Maracana. Tutto sta andando secondo i piani, i brasiliani possono permettersi anche di pareggiare, dopodiché inizieranno i festeggiamenti. L’ultimo ostacolo sul cammino dei carioca è l’Uruguay, ormai contrassegnata come la vittima da sacrificare all’apoteosi brasiliana.
Il Brasile intero è fiducioso di conquistare la prima vittoria iridata della propria storia, forte – oltre che del giocare in casa – di una formazione di indiscusso livello. Il percorso mondiale aveva subito qualche intoppo, ma nulla preoccupava il popolo brasiliano, certo che la vittoria fosse stata solo posticipata di qualche giorno.
Dall’altro lato, l’Uruguay era arrivato alla competizione senza grosse aspettative, oltretutto reduce da un periodo di netto calo rispetto ai successi del passato, che l’avevano visto trionfare in occasione della prima edizione dei Mondiali calcistici. Nonostante ciò, grazie anche ad un po’ di fortuna nel sorteggio, la Celeste è riuscita a qualificarsi al girone finale e ad arrivare all’ultima giornata del torneo ancora in corsa per la vittoria.
Alla vigilia del match, il 16 luglio del 1950, le strade di Rio de Janeiro sono già colme di tifosi, i giornali titolano con festeggiamenti, e i piani alti sono già pronti a godersi la vittoria. Tutti sono intenti a festeggiare un successo non ancora arrivato. D’altronde nulla sembra poter andare storto.
Arriva il giorno della partita, e tutto quanto visto il giorno precedente si ripete in forma ancor più ampia. È solo questione di ore. Perfino il discorso prepartita del generale Angelo Mendes de Morais va nella stessa direzione. Sembra che nessuno abbia tenuto in conto la presenza dell’Uruguay, considerato allo strenuo di uno spettatore non pagante.
Voi, brasiliani, che io considero vincitori del Campionato del Mondo. Voi, giocatori, che tra poche ore sarete acclamati da milioni di compatrioti.
Voi, che non avete rivali in tutto l’emisfero. Voi che superate qualsiasi rivale. Siete voi che io saluto come vincitori!
Le formazioni si dispongono sul rettangolo di gioco, Il Brasile si schiera con il solito undici super offensivo. Dall’altra parte, l’Uruguay ha un assetto più conservativo, consapevole di essere una squadra solida. Il primo tempo, nonostante i tentativi di affondo dei padroni di casa, finisce 0-0, senza che la Celeste abbia sofferto più di tanto. Nessuno allo stadio sembra però preoccupato. Questione di tempo. Ed in effetti, dopo neanche due minuti dall’inizio della ripresa, il Brasile trova la rete del vantaggio con Friaca. 1-0, è fatta, campioni del mondo.
Ma l’Uruguay reagisce ancor prima di riprendere il gioco. Il capitano Varela inizia a discutere con l’arbitro invocando un fuorigioco che sembra aver visto solo lui. Il direttore di gara non vuol sentire ragioni, ma le proteste si prolungano, ritardando la ripresa del gioco con i brasiliani che iniziano ad innervosirsi, spezzando così l’euforia del pubblico.
La partita non cambia canovaccio, l’Uruguay non si scompone e continua la sua gara in attesa di un episodio che possa cambiare le sorti della sfida, e che non tarda ad arrivare. Al 66′ Ghiggia si fa spazio sulla fascia mettendo in mezzo un pallone per Schiaffino che si trova a tu per tu con il portiere, infilandolo all’angolino alto. È il gol che regala l’1-1 alla Celeste gelando il Maracana.
Il gioco riprende, ma qualcosa nel Brasile sembra essersi rotto, mentre invece l’Uruguay sembra avere un’altra marcia. Poco più di dieci minuti dopo, Ghiggia crea di nuovo il panico nella difesa brasiliana, e da posizione defilata punisce sul primo palo una disattenzione del portiere Barbosa. È appena successo l’impensabile, il Brasile è sotto 1-2 quando siamo al 79′.
Il Maracana piomba in un silenzio tombale, il Brasile carica alla ricerca disperata del gol del pareggio, ma la difesa uruguaiana regge l’urto fino al fischio finale. L’Uruguay è campione del mondo per la seconda volta, e contro ogni pronostico, nella maniera più impensabile possibile. Sugli spalti invece accade qualcosa di ancor più assurdo. Una nazione intera cade nello sconforto. C’è chi narra che allo stadio molti abbiano avuto un attacco d’infarto, addirittura due tifosi avrebbero finito per decidere di suicidarsi buttandosi dalle tribune.
La situazione è talmente surreale che non c’è spazio per i festeggiamenti. A seguito della sconfitta si calcola che nel Paese 34 persone si siano tolte la vita. Il Brasile ha letteralmente la bandiera a mezz’asta, tant’è che vengono indetti tre giorni di lutto nazionale. Il caos non si fermerà neanche nei mesi successivi, con le polemiche che si protrarranno per decenni, tutti alla ricerca di un colpevole.
Sul nemico, nessun dubbio invece. Il Brasile che fino a quel momento aveva indossato una divisa bianca con il colletto blu, decide di cambiare maglia, considerando quei colori poco patriottici, adottando la divisa verdeoro che tutti conosciamo. Un episodio che testimonia ancora una volta quanto il calcio giochi un ruolo fondamentale nella vita del popolo brasiliano.