La nostra carovana di lusso è pronta a ripartire, da To ci spostiamo in direzione di Mi, alla scoperta del Mi-To, la scala del calcio, lo stadio Giuseppe Meazza di San Siro.
Essere San Siro
Descrivere cos’è San Siro per Milano e i milanesi è difficile. Descrivere cos’è San Siro per il tifoso e per l’appassionato di calcio è quasi impossibile. San Siro è lo stadio. San Siro è il calcio. È tutto ciò che da piccoli sogniamo, tutto ciò che da grandi viviamo, tutto ciò che da vecchi ricordiamo. Come quella ragazzina per cui prendi la prima cotta e ti continua a piacere per tutta la vita. San Siro è estasi, gioia, felicità, dolore, tristezza, delusione. San Siro è il centro di tutte le nostre emozioni. È qualcosa d’intenso, inspiegabile, inafferrabile. Nonostante sia sempre lì, non cambi posto, sempre pronto ad accoglierci.
Chi non è mai entrato a San Siro non può comprendere cosa si prova. Chi c’è stato non potrà mai dimenticare le sensazioni che regala. San Siro ti stordisce già dall’esterno. Le torri, le luci, l’imponente figura della struttura, la folla che raggiunge lo stadio. Ma all’interno ti fa letteralmente perdere la cognizione dello spazio e del tempo. Ti fa sentire piccolo e indifeso, ma allo stesso tempo se vuole sa come coccolarti, facendoti sentire a casa tua.
Simbolo
Quando si parla di città, Milano è sempre il primo pensiero comune. Per molti simbolo di quell’ideale di città moderna poco presente nel nostro Bel Paese. In realtà, il perfetto connubio tra quello ch’è il futuro, la modernità, lo sviluppo e quella che invece è la storia, le tradizioni, l’importanza del passato. Milano rappresenta la città del cambiamento. Non a caso è la città delle nuove opportunità, la città ideale per chi, appunto è alla ricerca di una svolta nella propria vita. Di anno in anno lo scenario meneghino cambia costantemente, aggiungendo sempre nuovi pezzi al proprio puzzle.
Ma Milano è anche una città che non dimentica il proprio passato, anzi lo espone in vetrina. I simboli del capoluogo nel mondo non sono per caso il Duomo, la Triennale, la Madonnina, il Castello… I monumenti che fanno e raccontano la storia della città. A questi si può aggiungere tranquillamente lo stadio di San Siro, ormai facente parte dello scenario cittadino da quasi un secolo, e cambiato nel corso dei decenni proprio come la città. Correggendo i difetti, rinnovandosi, ampliandosi, ma senza mai perdere mai la propria identità, proprio come la città che lo ospita.
San Siro a sua volta è simbolo e custode di una delle rivalità più infuocate del calcio italiano e mondiale. Stiamo ovviamente parlando di quella tra nerazzurri e rossoneri, tra Milan e Inter. Una rivalità che divide in due tronconi la città. O sei con uno con l’altro. Due modi diversi di intendere la vita e il calcio ma che in fondo hanno le stesse radici. Una rivalità nata proprio da una voglia di cambiamento. Quella che avevano i 44 soci dissidenti del Milan che decisero di fondare una società diversa. In rotta con la politica nazionalista della federazione e desiderosa appunto, che le cose cambiassero. Una rivalità le cui sfide, ma anche i propri percorsi singoli, hanno dato vita ad alcuni dei momenti più iconici della storia del calcio, iscrivendone di diritto il proprio nome all’interno. Ma di questo ne parleremo in seguito.
Giusto un (bel) po’ di storia
L’Italia degli anni venti era un paese in subbuglio. Le scorie lasciate dal disastro della prima guerra mondiale si facevano sentire in tutti gli ambiti della vita quotidiana e non. Dalla politica all’economia, dal mondo del lavoro quotidiano fino a quello dello sport. A regnare era l’incertezza, nessuno sapeva cosa sarebbe potuto succedere da un anno a quella parte. L’arrivo della guerra aveva fermato il mondo intero, la fine di essa l’aveva rimesso in moto. Ma quello del dopoguerra era un mondo che faceva fatica a ripartire, eppure bisognava trovare il modo…
Il mondo dello sport, e in particolare quello milanese, non facevano certo eccezione. Un primo tentativo di ravvivare le cose venne dall’allora presidente del Milan Carlo Pirelli (guarda il caso che scherzi che tira!) sollecita la costruzione di un campo da calcio per la squadra nelle vicinanze dell’ippodromo del Trotto. Fino a quel momento le due società principi della città avevano giocato in campi di “fortuna”, cambiando spesso residenza.
Il Milan era partito dallo storico campo del Trotter, simbolo delle radici rudi e semplici del calcio. Pochi elementi ma essenziali. Un campo, le linee a delimitarlo, due porte, un pallone e 22 giocatori. Giusto qualche gradone per i curiosi di turno. L’abbandono del Trotter per la costruzione dell’odierna stazione centrale diede inizio ad un girovagare che portò i rossoneri dal campo di Acquabella a quello di Porta Monforte (dove per la prima volta vennero situate le reti nelle porte), dal campo del Velodromo Sempione fino a quello di Viale Lombardia senza trovar pace.
La sponda nerazzurra della città capitolina non se la passava poi tanto meglio. Il primo campo ad ospitare le partite dell’Internazionale Milano fu l’alquanto iconico terreno situato al 115 di Ripa Ticinese. Vi starete chiedendo cosa avesse di tanto ionico… Beh, uno dei lati del campo affacciava direttamente sul naviglio grande, cosa che richiedeva la presenza di qualcuno che recuperasse i palloni che abitualmente andavano a finire in acqua durante le partite. Ecco perché ad ogni partita dei nerazzurri, un incaricato stanziava con la barca nel corso del naviglio in attesa di recuperare i palloni che fossero finiti fuori dallo stadio. L’abbandono della prima casa portò i nerazzurri prima al campo di Via Goldoni e poi alla ancora oggi presente Arena Civica di Milano.
Sta di fatto che più passavano gli anni più gli spettatori, incuriositi da questo sport chiamato calcio, aumentavano. Un motivo dei quali spinse il già citato Carlo Pirelli a voler costruire un nuovo stadio per il suo Milan. L’inaugurazione del campo avviene il 19 settembre del 1926. Un amichevole che vede da un lato i padroni di casa i “casciavit” contro i cugini “bauscia”, storici appellativi ispirati dalle differenti classi di origine delle due tifoserie. Il primo derby della madonnina giocato a San Siro. 6-3 per i nerazzurri.
Lo stadio è costruito sul modello inglese, completamente diverso da quello odierno. Quattro tribune ai lati del campo non collegate tra di loro, niente di più niente di meno, semplicità ed efficienza al servizio del gioco calcio. Poco più di un anno per la costruzione e una capienza di 35000 spettatori. Il Milan ha la sua nuova casa.
Passano 9 anni dalla costruzione e il comune di Milano decide di acquistarlo per renderlo lo stadio comunale. Al contempo avvia la costruzione delle quattro curve che collegheranno le tribune e daranno la forma base di quel primo anello simile a come lo vediamo oggi. Capienza che arriva a 55000 spettatori.
Ci sono momenti che cambiano per sempre la vita di uno stadio di calcio. Il dopoguerra segna il passo anche per San Siro. Durante il conflitto bellico, il Milan si era trasferito all’Arena Civica, già a casa dell’Inter, a causa delle difficoltà dei propri tifosi a raggiungere la propria di casa. Al termine della guerra saranno i cugini nerazzurri invece a trasferirsi. San Siro continua ad essere appannaggio solo della sponda rossonera fino al 1947, quando al San Siro arriva anche l’altra sponda del calcio milanese, quella nerazzurra. È l’inizio di una nuova storia. Ora “casciavit” e “bauscia”, strano ma vero, condividono la stessa casa, troppo bella per rimanere nelle mani di una sola delle due.
Una nuova tappa fondamentale nella longeva vita di San Siro arriva agli albori del boom economico italiano, nel 1955. L’Italia è un paese che sente che qualcosa sta cambiando, e in meglio. Il motore funziona a pieni giri, e Milano e San Siro non fanno sicuramente eccezione. In quell’anno viene realizzata la costruzione del secondo anello, e di quella struttura portante che ancora oggi è l’ossatura dello stadio. I posti aumentano a 85000, di cui buona parte a sedere, con una serie di rampe che facilitano l’ingresso allo stadio e che ancora oggi contribuiscono a creare lo scenario esterno di San Siro. Milano sta evolvendo, e con essa la culla del proprio calcio, che si rifà il look, si mette al passo con i tempi, e inizia ad assumere un aspetto d’imponenza, uno dei simboli di un paese che sta cambiando marcia.
Dagli anni sessanta fino ai novanta a segnare il passo del cambiamento non è più la struttura dello stadio, ma piuttosto quello che vi accade all’interno. San Siro rimane apparentemente lo stesso, salvo qualche piccola miglioria. A cambiare è solo il nome, che nel 1980, diventerà “Stadio Giuseppe Meazza di San Siro”. Ma torniamo al campo. A segnare il cambiamento, dicevamo, è il campo. In quell’arco di tempo lungo un trentennio San Siro vede scendere in campo e vincere due delle formazioni più iconiche di tutti i tempi.
Gli anni sessanta passano nel segno dell’Inter di Helenio Herrera. La prima squadra italiana a salire sul tetto del mondo e a dar una parvenza di domino sulla scena europea. Sono i successi della “Grande Inter” e l’apice del primo ciclo della famiglia Moratti ai vertici del club nerazzurro. Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarnieri, Picchi, Jair, Mazzola, Domenghini, Suarez, Corso. Qualsiasi tifoso interista e appassionato di calcio di ogni generazione conosce questa formazione.
Gli anni settanta passano piuttosto velocemente. La nuova rivoluzione arriva a metà anni 80’. Sulla panchina del Milan arriva Niels Liedholm. Il tecnico svedese metterà le basi di quell’idea di gioco che poi evolverà in un’idea di calcio (quasi) totale Arrigo Sacchi. Nel triennio 1987-90, gioco e stadio cambiano insieme. È il Milan degli immortali di Sacchi. Il primo Milan di Silvio Berlusconi. Una squadra che domina in entrambe le fasi e con un coefficiente di talento quasi imbarazzante tant’è alto. Con il trio degli olandesi ad inventare davanti, e alla retroguardia italiana a sorreggere la squadra. Maldini, Baresi, Costacurta, Tassotti dietro. Rijkaard, Van Basten, Gullit nell’altra metà campo. senza dimenticare pedine fondamentali come Donadoni e Ancelotti. Come per la Grande Inter, anche il Milan di sacchi è una di quelle formazioni che l’appassionato di calcio non può non conoscere.
Ma ora torniamo al protagonista di giornata. Il triennio 1987-90 è anche quello che segna definitivamente la storia e l’aspetto di San Siro. L’Italia si appresta ad ospitare i mondiali del ’90. Il mondo degli stadi italiani cambia di nuovo volto. La maggior parte degli impianti vengono rinnovati, ma ne nascono anche dei nuovi, come il San Nicola di Bari e lo sfortunato Delle Alpi di Torino. Non fa eccezione San Siro.
Quello per lo stadio meneghino è uno dei progetti architettonici più incredibili di quel periodo in ambito sportivo. Ai due anelli se ne aggiunge un terzo, e con esso prende il via la costruzione di quell’impianto che oggi costituisce la fantastica cornice che circonda lo stadio. Nascono le torri e con loro quel fantastico effetto ipnotico che crea l’ascesa dei tifosi verso il patio. Nasce la copertura completa dello stadio. E quell’iconica serie di impianti architettonici che fanno di San Siro la scala del calcio, uno stadio semplicemente unico nel suo genere.
Cartoline da San Siro
Quella di San Siro è la storia di uno stadio che ha scritto non solo la storia del calcio. D’altronde, come già detto, in passato uno stadio si giudica soprattutto da quello che vi accade al proprio interno. Di momenti ed episodi da raccontare ce ne sarebbero un’infinità, altrettante immagini con cui rivestire intere pareti. Naturalmente ce ne sono alcune che hanno un significato ancor più importante rispetto ad altre.
Bisogna partire da colui a cui oggi quello stadio è intitolato, Giuseppe Meazza. Meazza che in quello stadio ci ha giocato meno di quanto probabilmente sarebbe stato giusto e spesso da avversario. Perché Meazza era l’idolo dei nerazzurri (nonostante in seguito vestirà anche la maglia del Milan per due anni), che al tempo ancora giocavano all’Arena Civica. Ma Meazza è stato il primo grande campione del calcio italiano e milanese, e non può non far parte di questa bellissima storia.
Le istantanee che raccontano San Siro hanno tutte al proprio centro le miriadi di campioni ad aver calcato quel campo, e ai successi raggiunti con i rispettivi colori. La già citata Grande Inter di Helenio Herrera, una squadra che ha scritto la storia e segnato il proprio tempo. Simbolo di un calcio diverso, di uomini diversi ancor prima che calciatori. Figure imponenti, dal portamento fiero ed elegante, orgogliosi di vestire quei colori più di ogni altra cosa.
Allo stesso modo abbiamo già parlato anche del terzo scatto di questa collezione, ma alcune volte ripetersi è d’obbligo. È il Milan di Berlusconi, il Milan di Sacchi e degli olandesi. È il Milan che avrebbe scritto la storia del calcio italiano ed europeo, dando via a quella tradizione di vittorie in europea protrattasi fino ad un quindicennio fa e che ad oggi rende i rossoneri tra le squadre più vittoriose di sempre.
Fino ad arrivare ai successi più recenti delle due compagini milanesi. Il Milan di Maldini e Inzaghi, di Gattuso, Pirlo e poi del pallone d’oro Kakà. Quel Milan che Ancelotti guidò a 3 finali di Champions nel giro di quattro anni, dal 2003 al 2007, due delle quali portate a casa. Quella Champions ce sarebbe stata alzata poi anche dall’Inter nella stagione 2009/10, quella dello storico Triplete. L’Inter del condottiero Jose Mourinho e dei suoi fedeli uomini. Dal capitano Zanetti al muro Julio Cesar, Da Maicon a Milito, passando per Sneijder ed Eto’o. Due squadre che sono entrate fin da subito nella leggenda.
Le ultime due istantanee hanno al centro i veri protagonisti che rendono San Siro tanto speciale. Il tifo è qualcosa che spesso va contro qualsiasi senso logico. Come da detto, nella vita puoi cambiare tutto, ma non squadra del cuore. Un tifo insensato che scaturisce nell’apoteosi della violenza e dell’ignoranza, come nel famoso “lancio del motorino” di San Siro. Un gesto che oggi viene ricordato come una malandrinata e a cui si guarda spesso con un sorriso, pensando all’assurdità della situazione. Ma che avrebbe potuto avere esiti ben più spiacevoli.
L’altra faccia è invece quella bella del tifo. Quella passionale, quella degli sfottò, delle attese, delle gioie e dei dolori ma che non trascendono mai da quello ch’è il campo. È il tifo che da sempre anima una delle rivalità capace di creare alcune delle atmosfere più spettacolari del mondo, quella del derby di Milano. Qualcosa ch’è riduttivo descrivere a parole, ma a cui cercheremo di dare un minimo di senso a breve. Nel frattempo lasciamo che a parlare siano le immagini.
Derby
Non vi è alcun dubbio al riguardo, San Siro dà il meglio di sé in occasione del derby della Madonnina. La sera in cui due forze opposte ma aventi la stessa origine finiscono per ricongiungersi e scontrarsi. È la serata in cui il rosso e il nero, l’azzurro e il nero si sfidano. Quella che una città aspetta per annate intere. È la sera che chiude settimane di sfottò e prese in giro. La sera in cui piangere o gioire. In cui ottenere rivalsa, o un ulteriore disfatta. La sera in cui tutti sentono la pressione, nessuno escluso. La sera in cui le tribune ruggiscono come non mai.
È la sera in cui alla scala del calcio va in scena lo spettacolo di cui tutti vorrebbero far parte e a cui tutti assistono. La sera dei tifosi, dello spettacolo sulle curve e di quello in campo. La sera in cui si capisce davvero cosa sia San Siro.
Il derby è qualcosa di semplicemente speciale, che il non-tifoso non può mai comprendere fino in fondo. Inter e Milan hanno dato vita a partite memorabili, epiche i cui protagonisti sono stati sempre campioni dal calibro inestimabile. Partite che hanno contribuito a rendere la figura di San Siro ancora più leggendaria. Purtroppo lo spazio per parlare di tutti non c’è.
Antologia: Inter-Milan 0-3 (a tavolino)
Parlavamo di scatti che hanno fatto la storia e di derby, ed ecco a parlarci di una delle stracittadine più controverse che abbiano mai avuto luogo tra le mura di San Siro e che ha dato vita ad uno degli scatti più iconici della storia del calcio. Per chi non sapesse di cosa stiamo parlando provvediamo subito a rinfrescarvi la memoria.
Se ancora non sapete di cosa stiamo parlando avete un grosso debito con il mondo del calcio. Fortunatamente per voi siamo qui per rimediare. Quello a cui stanno assistendo Marco Materazzi e Rui Costa è lo scenario infernale creato dal lancio di fumogeni da parte dei tifosi interisti. La partita è il ritorno dei quarti di finale di Champions 04/05. È il secondo derby della madonnina a tinte europee nel giro di pochi anni. Due anni prima a spuntarla in semifinale era stato il Milan, poi vincente in finale contro la Juventus, grazie alla regola dei gol fuori casa, e grazie ad una parata di Abbiati su Kallon che tifosi nerazzurri e rossoneri ricordano con sentimenti contrastanti.
Le cose non stanno andando tanto meglio per l’inter neanche questa volta. All’andata è finita 2-0 per il Milan di Ancelotti padrone di casa, gli uomini del neo tecnico Roberto Mancini sono costretti a dover provare una rimonta difficile ma non del tutto impossibile, questa volta con il pubblico dalla propria parte che potrebbe giocare un ruolo fondamentale nelle speranze dei nerazzurri. Ecco, appunto il pubblico.
La partita inizia ovviamente con l’Inter costretta a riversarsi fin da dubito nella metà campo avversaria. Tuttavia le occasioni faticano ad arrivare, il Milan si difende i in maniera ordinata e sicura senza concedere spazi, unico sussulto un tiro da fuori di Veron che scalfisce il palo esterno. La frustatezza inizia a farsi sentire per i nerazzurri, che come se non bastasse vedono infilarsi il pallone alle spalle del proprio portiere al 30’ grazie ad un tiro da fuori aria di Schevchenko. Come di dice, non c’è mai fine al peggio.
Nonostante ciò, assorbito il colpo l’Inter si riversa di nuovo in attacco alla ricerca di quel gol che vorrebbe dire una cosa sola, speranza. Le occasioni per provare a riaprire la partita arrivano anche con una certa continuità nel secondo tempo, ma quando non sono gli attaccanti interisti a sciuparle ci pensa il muro rossonero, Dida. Una serie di parate che non permettono agli avversari di muovere il tabellino per cercare di dare un senso alla partita.
Salvo qualche piccolo mugugno, i tifosi nerazzurri hanno fatto sentire la loro presenza per tutta la partita, rendendo San Siro una bolgia. Quando gli animi sembrano spegnersi definitivamente arriva la svolta. Calcio d’angolo battuto in mezzo dalla destra, Dida va a vuoto commettendo il primo errore della propria partita, lasciando a Cambiasso l’occasione di provare a dare un senso a questo finale di partita.
San Siro esplode, i tifosi ritrovano un briciolo di speranza in qualcosa che fino ad un secondo prima sembrava impossibile. Ma la felicità dura meno di un attimo. L’arbitro fischia un inspiegabile fallo in attacco contro i nerazzurri, si rimane 0-1. È l’inizio della fine. Lo gioia e il barlume di speranza regalato dal gol si trasformano in un misto di rabbia e tristezza che esplode all’interno della curva interista. Dagli spalti inizia una pioggia di fumogeni. Uno di questi finisce per colpire colui che aveva contribuito a stroncare più di ogni altro le speranze nerazzurre, Dida.
A San Siro sembrano essere scese le rosse tenebre dell’inferno. I giocatori rimangono fermi a centrocampo, attoniti e increduli da quanto sta succedendo. L’arbitro è nel panico più totale, la situazione fuori controllo. È proprio in questo momento che viene scattata la foto. I giocatori sono tutti fermi vicino alla linea centrale del campo, tutti intenti ad osservare lo spettacolo apocalittico che si presta davanti ai loro occhi. Ed ecco Rui Costa e Materazzi, immortalati così, fianco a fianco, che sembrano per un momento dimenticarsi di tutto ciò che non faccia parte del momento. La partita, la posta in palio, la rivalità, le botte date in campo, il nemico. La guerra scatenatasi sugli spalti ha imposto la tregua a quella che stava andando avanti in campo. Ed ecco che così per un momento il tempo sembra fermarsi e niente avere più importanza.
L’arbitro ordina la sospensione momentanea della partita fino al ristabilirsi di una situazione di apparente normalità. Ma purtroppo quella che sembrava essere una tregua momentanea, diventa un armistizio. A pochi minuti dalla ripresa del gioco, la pioggia di fumogeni ricomincia a cadere su San Siro. Questa volta l’arbitro impone la sospensione definitiva. 0-3 a tavolino per il Milan. Un qualcosa di mai visto a tale livello in Europa. Un episodio forse da dimenticare, ma che a suo modo ha scritto la storia del calcio, regalandoci una delle foto più iconiche del calcio moderno.