È incredibile come tante cose possano cambiare nel giro di pochi giorni. Come alcune volte basti davvero poco per cambiare tanto. Una parola in più, una in meno, possono fare la differenza, rendere vecchi amici nuovi nemici, e viceversa, appianare divergenze secolari o creare crepe in unioni che sembravano poter durare per sempre. Lo scorso 25 novembre è stato qualcosa di incomparabile ad una semplice parola, che di cose ne ha cambiate tante, per molti.
Per alcuni ha cambiato il modo di vedere e vivere il calcio, per altri il modo di guardare al passato, rendendolo sempre più nostalgico. Per altri ancora il modo di vivere la vita di tutti i giorni, e per qualcun altro invece, tutto è sembrato perdere senso da un momento all’altro. Ci sono storie ed eventi che non possono non interferire con il naturale procedere delle cose, e quel 25 di novembre – tra le tante cose – ha cambiato per sempre la storia di Napoli e con essa del suo stadio.
Napule è
Napule è tutto nu suonno, E a’ sape tutto o’ munno, Ma nun sanno a’ verità.
Napoli, una città unica, incredibilmente splendida, dalla bellezza inafferrabile. Un luogo praticamente impossibile da descrivere nella sua interezza. Croce e delizia, odi et amo, un sentimento ambivalente che chiunque abbia conosciuto questa città ha inizialmente sentito dentro di sé, per poi successivamente perdersi al fascino nascosto in ogni vicolo, in ogni angolo, in ogni basso. E arrendersi all’amore incondizionato che, chi ha vissuto Napoli, non può far a meno di provare. Checché se ne dica al di fuori è irrilevante. Chi non ha vissuto questa città, non ce ne voglia, ma non può capire.
Comprenderla è difficile, spiegarla è impossibile. In tanti ci hanno provato, quasi nessuno ci è riuscito. Le parole giuste, purtroppo, ancora non sono state inventate, e l’unico modo per capirla è provandone sulla propria pelle le emozioni che è capace di regalare. Pino Daniele – e qui dovrebbe partire un applauso silenzioso dentro di noi – è stato tra i pochi, forse l’unico, a riuscire a trasmettere queste emozioni al di fuori della città. Lo ha fatto grazie alla poesia della musica, da sempre una delle vie maestre percorse dal popolo partenopeo per far sentire al mondo la propria voce.
Chi non ha vissuto Napoli non potrà mai concepire la vera essenza di questa città. Napoli è tutto, e l’esatto contrario di tutto. Una città nel bene e nel male inimitabile, che non può non affascinare l’animo umano. Un luogo per tanti versi dal fascino incomprensibile, e proprio per questo tanto ammaliante. Ma anche una città piena di controversie, alle quali non ha fatto certo eccezione il suo stadio, sia nel presente che nel passato.
Un’esistenza tormentata
Il tempio del calcio partenopeo prende ufficialmente vita il 2 dicembre del 1959, quando dopo sette anni di lavori iniziati nell’aprile del ’52, ne vengono finalmente consegnate le chiavi al comune. Si prepara ad accogliere tra le proprie mura le partite della Società Sportiva Calcio Napoli, la cui storia aveva preso il via circa trent’anni prima rispetto a quella dello stadio, nel 1926, nata dalla fusione di diverse società già presenti sul territorio. La compagine napoletana dalla sua fondazione aveva disputato le partite casalinghe allo Stadio Partenopeo, per poi passare, qualche bombardamento dopo, allo Stadio del Vomero.
Il dopoguerra segna, come del resto in tutto il paese, un aumento vertiginoso del numero di appassionati di calcio presenti negli stadi, complice probabilmente la volontà di rimpiazzare nei propri pensieri i ricordi degli anni appena trascorsi. Nasce dunque la necessità di costruire un nuovo impianto pronto ad accogliere i tifosi azzurri, la cui ubicazione viene individuata dall’amministrazione comunale nel quartiere di Fuorigrotta, in quegli anni al centro di un processo di urbanizzazione che ne avrebbe cambiato per sempre l’aspetto.
La prima versione di quello che era lo Stadio del Sole ricorda per molti versi l’idea di stadio che aveva spopolato in lungo e in largo per la prima metà del secolo, in particolar modo in Sudamerica, dove in impianti del genere si erano scritte alcune delle prime grandi pagine di storia calcistica. Come ad esempio lo Stadio del Centenario del Peñarol, a Montevideo in Uruguay, molto simile al nuovo stadio impiantatosi nello scenario di Fuorigrotta. Ed è forse proprio questa somiglianza a renderlo uno degli stadi più apprezzati del periodo. Ma quella del nuovo fiore all’occhiello del calcio partenopeo è una vita destinata ad essere tormentata.
Una storia in cui si possono ritrovare tutte le controversie di questa città. Nessun altro stadio italiano ha probabilmente subito tanti lavori di riammodernamento, come quello che fino a qualche giorno fa era lo Stadio San Paolo. E sicuramente per nessuno di essi tali interventi si sono poi rivelati così discutibili come lo sono stati per l’impianto campano. Il risultato del progetto iniziale rimane sostanzialmente invariato per circa 24 anni, almeno fino ai campionati europei del 1980 ospitati dall’Italia, dove vengono messi in programma i primi lavori di ristrutturazione.
Da quel momento i cantieri si ergeranno periodicamente sulla casa del Napoli con cadenza decennale. Prima con i Mondiali di Italia ’90, i cui lavori non risparmieranno nessuno degli stadi scelti per ospitare le partite del torneo, poi di nuovo all’alba del nuovo millennio, quando ne verrà dichiarata l’inagibilità. Ci saranno poi gli interventi all’inizio del decennio appena trascorso, necessari al ritorno del Napoli nelle competizioni UEFA, fino all’ultimo restyling di appena un anno fa, in occasione delle Universiadi 2019 ospitate proprio dall’ex capitale del Regno delle due Sicilie.
Una serie di lavori che hanno cambiato per sempre l’aspetto dell’impianto, stravolgendone molte componenti, senza mai sopperire alle tante carenze strutturali presenti sin dai primi anni di vita. Una serie di problematiche che però non hanno impedito allo stadio di diventare uno dei luoghi più suggestivi ed importanti del panorama calcistico italiano, all’interno del quale si sono scritte pagine di storia indimenticabili, e oggi diventato, come giusto che sia, lo Stadio Diego Armando Maradona.
Cartoline dal Diego Armando Maradona
Apriamo ancora una volta il nostro nostalgico album dei ricordi. Questa volta tra le varie foto l’occhio cade subito su due istantanee piuttosto vicine nel tempo tra di loro, e che non possono non essere menzionate. Entrambe vedono inevitabilmente tra i protagonisti la figura cui oggi è intitolato lo stadio. La prima cartolina raffigura il primo, storico scudetto del Napoli. Successo accompagnato nella stessa annata dalla Coppa Italia, e cui poi farà seguito la Coppa Uefa del 1989, formanti un ciclo di vittorie che troverà la sua perfetta chiusura con il secondo scudetto del ’90.
È la squadra di Bruscolotti, Ferrara, Bagni, Carnevale, Giordano, e ovviamente Maradona, a cui nella stagione successiva si aggiungerà anche Careca, con cui il dieci argentino formerà una delle coppie più forti ed amate della storia del calcio. Una formazione leggendaria, rimasta nel cuore del popolo partenopeo non solo per le vittorie, che comunque rappresentano il periodo d’oro della storia del club. Emozioni che la città di Napoli aspetta con ansia di rivivere. Un successo che ha segnato la rivalsa di un intero popolo.
Nella seconda istantanea ci troviamo appena tre anni più avanti rispetto ai festeggiamenti per lo scudetto partenopeo. Siamo ai Mondiali di Italia ’90, a qualche mese di distanza dall’inizio di quella che sarà l’ultima stagione del Pibe de oro con la maglia azzurra del Napoli. È il 3 luglio, e a Napoli sta per andare in scena la semifinale della competizione iridata tra la Nazionale italiana e quella argentina, capitanata proprio da Maradona, l’idolo del popolo partenopeo.
Una di quelle notti che il tifoso italiano ricorda ancora con immensa amarezza. Ad un passo dalla finale del proprio Mondiale, guidati inaspettatamente da Salvatore Schillaci, uno che doveva essere una delle comparse secondarie di quel Mondiale, ed invece finito per diventare uno degli elementi cardine della formazione azzurra. Arrivato – dopo tanti anni al Messina – a diventare persino capocannoniere di quel torneo; senza dimenticare il secondo posto raggiunto nella classifica del Pallone d’Oro dello stesso anno, tramutando in realtà un sogno irrealizzabile fino a qualche anno prima.
Ma quella invece è la serata in cui si spegne il sogno delle notti italiane, che sembrava destinato a continuare proprio grazie ad un gol di Schillaci, per poi invece infrangersi una prima volta sul gol di Caniggia, ed una seconda sui rigori sbagliati da Donadoni e Serena, nel mezzo dei quali era stato proprio il Diez del Napoli a mettere a segno il rigore decisivo per la vittoria albiceleste.
L’ultima istantanea è vicinissima ai nostri giorni. Vi troviamo l’uomo, che seppur spesso contestato – alcune volte giustamente, altre meno – ha permesso al Napoli di tornare nel calcio che conta. Al suo fianco c’è invece colui quasi capace di riuscire a rendere realtà il sogno che un’intera città custodiva nel cassetto da 32 anni, in cui purtroppo continua a rimanere chiuso tutt’oggi.
Due personaggi che insieme hanno contribuito a rendere di nuovo grande il Napoli , capaci di far rivivere emozioni di cui il popolo partenopeo sembrava quasi aver dimenticato l’esistenza, soprattutto dopo il fallimento che aveva visto sprofondare la squadra nel baratro della Serie C. Quanto accaduto poco dopo sembra aver portato tutto ciò in un passato lontanissimo, nonostante il ricordo sia ancora dietro la porta.
Antologia: Diego Armando Maradona
Di momenti da rivivere nel ricordo di Diego ce ne sarebbero fin troppi, parlare di quanto abbia fatto sognare intere generazioni e di come sia stato il più grande su un rettangolo di gioco è ormai superfluo. Diego Armando Maradona è stato molto di più.
La storia ci ha insegnato che di personaggi buoni capaci di fare cose cattive ce ne sono stati tanti, come del resto ce ne son stati tanti cattivi capaci di fare cose buone. Ma ci ha anche insegnato invece, che di personaggi veri, ce ne son stati davvero pochi. Maradona era uno di questi, ed è stato proprio questo a renderlo tanto speciale.
Diego era Diego. Pieno di vita, pieno di gioia. Con tutte le mille sfaccettature del suo carattere, sia belle che brutte. E con tutte le sue contraddizioni, proprio come la città che l’aveva adottato, proprio come noi. Sì, perché Diego prima di tutto era umano. Ha vissuto allo stesso tempo con uno stato di divinità terrena e di fragilità prettamente umana. Ed è per questo che è riuscito ad entrare nel cuore di tutti, al di là di ogni colore.
Maradona lo sentivi vicino perché potevi riuscire a sentirlo simile a te. Percepivi che in fondo era fragile come una porcellana, nonostante la sua grandezza, come ognuno di noi. Per quanto tu possa essere stato distante da Maradona nello spazio e nel tempo, lo sentivi inevitabilmente vicino. Sentivi che in fondo, seppur così lontano da tutto ciò che faceva parte della tua vita, lui era come te. Ed in effetti lo era, ed è proprio qui che sta il bello.