L’11 settembre 2011, Torino tira su le coperte e accoglie una nuova giornata. Un sabato diverso dal solito, nella porzione di città tinta di bianconero. Passano le ore e all’ora di pranzo Stephan Lichtsteiner, Simone Pepe, Arturo Vidal e Claudio Marchisio apparecchiano la tavola per il primo picnic sul prato dello Juventus Stadium. Al 90′, però, quando le posate erano già nel cestino di vimini, pronte per una nuova vita culinaria una volta risciacquate, Marco Dejana urla: “Ha segnato il numero 10, Giovinco“.
Poco meno di una settimana fa, il mondo del calcio veniva stravolto dall’annuncio di una fantomatica Super League. Un progetto rivoluzionario e divisivo, che si è incamminato sul viale del tramonto a poche ore dalla sua nascita. Un’iniziativa che, a detta delle partecipanti, voleva includere le compagini più blasonate d’Europa. Mettiamo le diatribe ai piani alti del calcio europeo da parte, restringendo il cerchio: “blasone” e “calcio italiano” accompagnano benissimo Torino nella stessa frase.
Troppo spesso, il successo sportivo è effimero. Basta un attimo. Siglare un goal, appoggiare gli spicchi nella retina, andare a muro contro lo schiacciatore. Scegliete voi l’istantanea, l’esito è puntualmente il medesimo: si alza un trofeo e talvolta ce ne si dimentica. Per fortuna, esistono le cosiddette eccezioni che confermano la regola. Brian Howard Clough può confermarlo.
Quando il 20 agosto 2020 l’arbitro Juan Luca Sacchi ha fischiato tre volte all’interno di un Alberto Picco privo di spettatori, il tempo si è fermato. Qualche attimo crudele si è trasformato in un’estasi senza precedenti: festeggiare una promozione con una sconfitta, esultare sentendo solo le urla dei giocatori. Svariate antinomie nel paradosso principale: a La Spezia si è festeggiata la prima promozione in un campionato che, in circostanze particolari, si era già vinto.
Dicono che per stimolare l’interesse degli studenti verso una determinata materia – magari fosse solo una -, sia talvolta necessario un escamotage che esuli dalle quattro mura dell’aula in cui seguono annoiati il professore. Riferimenti alla cultura pop ed allo sport non possono che contribuire ad un ascolto produttivo, con rendimenti che ne risentono positivamente. Chissà se lo stesso sarebbe valso con un Socrates sulla cattedra. O meglio, in un ambiente accademico. Anche se non c’è definizione migliore per il Pacaembu, la casa del Corinthians negli anni della Democrazia.
Penso che abbiate un fardello pesante. Non vorrei essere in voi.
Parole forti, di certo non incoraggianti. La location è posta in una delle innumerevoli Springfield in giro per l’America, ma decisamente nota ed individuabile sul mappamondo dagli amanti della pallacanestro: l’indice punta sul Massachusetts, laddove – qualche giro di orologio indietro nella storia – James Naismith ha dato vita alla disciplina. Anno domini, 2009: Michael Jordan entra nella Hall of Fame e regala al mondo intero un discorso d’induzione memorabile.
Il 28 gennaio 1958 vedevano la luce i primi esemplari di mattoncini Lego. C’è chi, in Inghilterra, ha fuso la sua passione per quei parallelepipedi ed il calcio: Joe Bryant.
A chat with Joe Bryant
RdL: Hi Joe. First of all, let’s start with your main passion: Lego. When did you fall in love with these wonderful bricks?
J: I started building stands when i was younger, about 5. Then I went on holiday and i started watching a lot of german football. I liked Lego and football both at the time, so i decided to start building Lego stadiums. I also liked Bundesliga, so I chose this championship.
RdL: You’re a fan of Ipswich Town. What’s your favourite memory about The Blues? Do you believe in a promotion this year to the Championship?
J: I’d like it to happen, but I don’t think it will. My favourite moment about probably was Watford-Ipswich, a promotion game in March 2015. We scored a very late goal and the fans went crazy. Also, there were inflatables all around the stands.
RdL: When did you fall in love with Bundesliga and german football?
J: When I was 5, as I said before. The trip in Germany gave me interest in German football.
RdL: You have built more than ten different german stadiums. What do you love the most about them? And what do you miss the most since the start of the pandemic?
J: I miss the fans and the atmosphere, because they’re really loud in Germany. All the stadiums there are different, which I think it’s a very good thing. I also miss the Bratwurst!
RdL: Not only Bundesliga: you have built also the Constant Vanden Stock Stadium, home of Anderlecht. Can you tell me why this choice?
J: I was on the way back from Germany and I wanted to see another ground. I went to Anderlecht and it was really cool, an amazing reveal. Then I decided to build that stadium, which is now in their museum.
RdL: In your future plans there are constructions of stadiums all around Europe, maybe in Italy?
J: When I say “What Lego stadium should I build next?” there are always a lot of suggestions: I get German ones, but also from all around the world. I get comments from Peru, Italy: San Siro or the Olimpico, for example.
RdL: What has been the most difficult stadium to build? And the easiest one?
J: They’re all really hard! There are different feautures, I was finding the roof very hard. I think the hardest one has been the last I made, Wolfsburg. That’s because the roof raises up and it’s curved, but in the middle there’s a rectangle. It was really hard to keep it curved, because of the shape of bricks.
VfL Wolfsburg – the best of 2020 | 5️⃣ of 9️⃣
The best Lego version of the Volkswagen Arena comes of course from @AwayDayJoe_. 🏟👌#VfLWofsburg🎄
📸 (Joe Bryant) pic.twitter.com/pxzEB1Uevh— VfL Wolfsburg EN/US 🇬🇧 🇺🇸 (@VfLWolfsburg_EN) December 25, 2020
RdL: Hertha Berlin, Werder Brema and Mainz have placed your stadiums in their museums. What does it mean to you?
J: It means a lot, becuase when they decide to keep my Lego stadium, fans get to see it, which I think it’s wonderful. When this doesn’t happen, I have to break it down to use other bricks. So if the keep it, it stays up forever.
RdL: What’s your favourite stadium in the list of your constructions? And in general?
J: I really like the Olympiastadion, but also the Dortmund one. To be honest, I love every German stadiums, for different reasons.
RdL: Okay Joe, last question. If you could build a whole football player with LEGO bricks, who would it be?
J: That’s a good question… maybe a Legodowski!
how it started how it’s going pic.twitter.com/tWAMcbGg1I
— Joe Bryant (@AwayDayJoe_) October 9, 2020
Che Henrikh Mkhitaryan sia una delle note più liete in questa prima parte di stagione in casa Roma, è fuori discussione. L’armeno, però, va oltre il campo ed i numeri.
L’universo rossonero si è goduto il talento e la classe di questo brasiliano per qualche anno, un lasso di tempo troppo breve per non essere considerato un rimpianto. Alexandre Pato era qualcosa di speciale, e l’aveva già mostrato nel suo esordio in maglia Milan.