L’Argentina è da sempre riconosciuta come la patria del fútbol, da non confondere con il football anglosassone. Come in tutto il Sudamerica si pratica fin da piccoli il calcio di strada, l’essenza del gioco che si manifesta in difficoltà come un campo sconnesso, una porta fatta da un paio di maglioni buttati a terra, marciapiedi o tombini che si trasformano in avversari. Per questi motivi, i talenti che arrivano da questi paesi hanno sempre un qualcosa in più a livello tecnico, perché crescono in un contesto che moltiplica le abilità calcistiche.
Gli esperti di calcio sudamericano dicono di no. È sempre più chiaro che ci sia stata un’evoluzione tattica che ha migliorato il livello di gioco e la conoscenza di esso da parte dei calciatori; basti chiedere a Daniele De Rossi, giocatore tra i più intelligenti a livello tattico del recente passato in Italia, che ha confermato come il campionato argentino sia molto più preparato dal punto di vista tattico, di quanto credano gli stessi argentini. Non è un caso che stiano sbocciando tanti allenatori di alto livello come Gabriel Heinze, Sebastián Beccacece, Eduardo Coudet – che oggi sta sorprendendo la Spagna con il suo Celta Vigo -, o come la vecchia conoscenza del calcio italiano Hernán Crespo, recente vincitore della Copa Sudamericana col piccolo Defensa y Justicia e in procinto di passare al San Paolo.
Giovani, moderni e affamati. Sono sempre di più e sono sempre più preparati, seguendo la linea del mister più apprezzato del calcio argentino odierno: Marcelo Gallardo.
Gallardo, da Muñeco a Napoleón
Nato nel 1976, Marcelo Gallardo è stato una delle bandiere più recenti del River Plate: 11 stagioni in tre diversi momenti della carriera lo hanno portato nell’Olimpo, rendendolo un mito per tutti i Millonarios; gli esordi e i primi trionfi al fianco di Crespo, Francescoli e dei giovani Aimar e Almeyda, il primo ritorno dopo la campagna di Francia con il Monaco – dove ottenne la vittoria di campionato, Supercoppa e Coppa di Lega – ed il canto del cigno, dopo il ritorno nel campionato transalpino al PSG e l’avventura in MLS col D.C. United, prima di chiudere la carriera in Uruguay con il Nacional.
Un 10 vecchia maniera, di piccola statura ma col baricentro basso che gli permetteva di assorbire i colpi e di tenere il pallone vicino al piede: visione di gioco d’alta scuola, carisma da vendere – non un caso quando si viene cresciuti da Daniel Passarella – e conoscenza del calcio d’alto grado, avendo girato tra Europa, Nord America e Sudamerica. Proprio in Uruguay esordirà da allenatore, con il Nacional de Montevideo: prima di smettere aveva già iniziato gli studi per diventare mister, e scelse di chiudere la carriera in una società che gli permettesse di iniziare il suo nuovo percorso.
Una stagione al Nacional e un campionato vinto. Non male per un esordiente come El Muñeco. Così chiamano Gallardo in Argentina, per un volto e una statura che ricordano molto quelli di una bambola. L’esordio è di quelli che possono appartenere soltanto ad un predestinato, motivo per il quale nel giugno 2014 – due stagioni dopo l’addio al Nacional -, il River Plate non ha esitato un momento nell’affidare la panchina a Gallardo.
L’amore del River per Gallardo – e del Muñeco per i Millonarios – è un qualcosa che non sembra poter aver fine: i trionfi si susseguono, 2 Copa Libertadores, 1 Copa Sudamericana, 3 Recopas de América, 3 Copas de Argentina; manca praticamente soltanto il campionato nella bacheca di Gallardo come allenatore del River, ma le vittorie ottenute in giro per il continente lo hanno reso celebre non più come Muñeco ma come Napoléon, ossia come colui che riesce a tornare sempre vincitore dalle “campagne calcistiche” fuori da Buenos Aires.
Leadership, carisma, grande comunicatore con la stampa e con i giocatori, ma soprattutto una capacità innata nel trasformare il proprio gioco in relazione agli interpreti, cosa necessaria e fondamentale se si vuole sopravvivere a lungo nel calcio argentino e, a maggior ragione, all’interno di una stessa società.
Fondamenti tattici di una serie di successi
Il coraggio di proporre e la forza di cambiare. In Argentina è così, le rose cambiano, i talenti partono e gli allenatori devono trovare il modo di cambiare il vestito alle proprie squadre, a seconda delle risorse tecniche a disposizione che, purtroppo per loro, vengono ridotte all’osso dalle cessioni dei migliori giocatori, direzione Europa. Gallardo non ha mai avuto paura: da 7 anni è sulla panchina del River, siamo almeno al terzo ciclo del Muñeco che, senza alcun tipo di timore, ha modificato la squadra, rendendola sempre competitiva.
È difficile definire quale sia lo schieramento “preferito” di Gallardo: il tecnico del River non ha mai dato l’impressione di volersi adagiare su un solo modulo, ma preferisce di gran lunga conferire uno stile di gioco ben chiaro, che possa essere riproposto indipendentemente dalla posizione iniziale dei propri giocatori. I Millonarios hanno giocato con i tre in mezzo e i tre davanti, con il rombo a centrocampo e le due punte, con il classico 4-4-2 e nell’ultima stagione si è praticamente arrivati a cambiare la linea difensiva, passando a 3 dopo tante stagioni a 4.
Il sistema di gioco più utilizzato da Gallardo è stato sicuramente il 4-3-1-2, che al suo interno ha mostrato una serie di peculiarità che lo hanno reso tutto fuorché un semplice rombo. El Muñeco segue la direzione moderna del calcio, palleggia da dietro e sceglie di farlo principalmente con i due centrali ed il mediano che si abbassa, formando un rombo con il portiere: la densità in zona centrale permette ai due terzini di allargarsi e dare tanta ampiezza alla squadra, e alle mezzali di alzarsi in avanti. In fase di costruzione potremmo dire che il River gioca prevalentemente con un 2-3-2-3, qualcosa di molto simile a quanto sta mostrando Guardiola con il Manchester City, dove però le mezzali giocano praticamente alla stessa altezza del tridente, rendendo lo schieramento quasi un 2-3-5.
Palleggiare, palleggiare e palleggiare. Non è come molti “anti-tikitakisti” pensano: il River – come del resto quasi tutte le squadre che partono da dietro con la costruzione del portiere – muove le proprie pedine, sfrutta il palleggio per attirare gli avversari e sistemarsi tra le linee. Muovere il pallone dietro per preparare pazientemente un attacco veloce e tagliente. In sintesi, il palleggio non è affrettato, ma una volta che il pallone arriva sulla trequarti, si attacca velocemente l’area e con tanti uomini. Il possesso dalle retrovie è finalizzato ad un avanzamento collettivo della squadra, che ha l’obiettivo di riempire l’area avversaria con tanti giocatori, ossia avere più soluzioni possibili in zona porta.
In questa stagione, Gallardo ha anche sfruttato molto la difesa a 3, dimostrando dimestichezza nel cambiare modulo senza perdere per strada il proprio credo. Contro il Palmeiras, nell’ultima semifinale di Libertadores – persa nella doppia sfida -, Pinola, Díaz e Rojas erano i tre centrali, un solo mediano davanti alla difesa agiva da protezione (l’esperto Enzo Pérez), mentre alle spalle delle due punte Santos Borré e Suárez, giocano due esterni molto larghi (Montiel e Angileri) e due mezzali di qualità e con facilità di inserimento (De la Cruz e Nacho Fernández). Un 3-5-2 che in fase di possesso diventa un 3-1-4-2.
La modernità del calcio di Gallardo si vede anche nella fase difensiva: come oggi fanno tante squadre in Europa, il River che parte con il 4-3-1-2 si trova a difendere in fase di non possesso con il 4-4-2, dove il trequartista si abbassa sulla linea dei centrocampisti, mentre le mezzali si allargano diventando esterni di centrocampo. Con un modulo di partenza diverso, ma è quello che accade nella Juventus di Pirlo, che in fase di possesso costruisce col 3-5-2.
L’obiettivo quando la palla è agli avversari è quello di iniziare con una pressione alta e provare ad incanalare il possesso avversario in zone meno pericolose – il River orienta tanto il palleggio degli avversari nella zona dei terzini. Altrettanto ordinata è la ricerca della concentrazione difensiva nella zona centrale, quando arriva il lancio lungo avversario: spesso i terzini stringono accanto ai centrali, il mediano si abbassa e costruisce una gabbia attorno agli attaccanti e ai trequartisti degli avversari, nel tentativo di bloccare i giocatori che potrebbero verticalizzare o attaccare la profondità.
Sta per partire la campagna d’Europa?
Gallardo non sta portando in Sudamerica ciò che viene fatto in Europa, propone e diventa spunto per le squadre che osservano il calcio propositivo del River Plate. Dopo 7 stagioni di vertice in Argentina, è idea di molti che il totem millonario possa realmente tentare l’avventura in Europa: da anni si parla di un futuro in Liga, dove troverebbe un paese senza difficoltà linguistiche e dunque comunicative, e un campionato che accetta e accoglie il calcio propositivo che Gallardo ama.
C’è da aggiungere che, se fino a qualche anno fa erano le squadre di media classifica a tenere sul proprio taccuino il nome di Gallardo, oggi sarebbero addirittura le big. Il Real Madrid, stando ai giornali della capitale, mette sulla graticola Zidane un giorno sì e l’altro no, e più volte è stato proposto il nome del Napoleone argentino per una rifondazione blanca. Dall’altra parte, il Barcellona sembra avere un’idea di calcio più simile a quella del mister di Buenos Aires, e la grande capacità di Gallardo di rifondare e ripartire anche dai giovani potrebbe essere calzante con il lavoro che la Masia porta avanti ormai da almeno due decadi.
In Francia potrebbe provare a tornare al Monaco, un progetto sulla carta ambizioso ma che da anni ha subito una grossa frenata. Il PSG ha puntato su un altro argentino, mentre incuriosirebbe vederlo al Lione o al Marsiglia: la prima ha Juninho come DS e sarebbe un legame importante con un mercato improntato sul calcio del Sudamerica, invece l’OM, in cerca di un allenatore, potrebbe sognare ancora con un argentino dopo il regno di Marcelo Bielsa.
L’Inghilterra potrebbe essere un mondo molto, troppo diverso e nuovo per Gallardo, mentre in Italia si è ancora troppo distanti dall’idea di affidarsi ad un allenatore che viene da un altro continente: sarebbe in grado una squadra di A di aspettarlo, nel caso in cui inciampasse più volte nelle prime 10 giornate?
L’impressione è che prima o poi questo grande salto verrà fatto. Ma in questo momento i tifosi del River sono più che felici di tenere la loro bambola dentro il Monumental. E siamo certi che anche Gallardo sia altrettanto contento di continuare la sua grande storia d’amore.