La prima volta che ho sentito in radio dell’interessamento della Salernitana per Franck Ribery ero in macchina con l’aria condizionata sparata in faccia e la noia del post ferie addosso. Ho pensato subito ad una delle classiche voci di calciomercato random che caratterizzano gli ultimi giorni di agosto o peggio, come in questo caso, i giorni post-chiusura del mercato, quelli dove si possono ingaggiare solo calciatori svincolati. Pensavo: perché mai uno come Ribery, che già negli ultimi due anni aveva bazzicato poco sopra la zona retrocessione in Serie A, dovrebbe imbarcarsi in un’impresa disperata come la salvezza della Salernitana? La squadra di Fabrizio Castori ha la rosa “meno preziosa” della Lega, è in mano ad un trust e manca in Serie A da più di vent’anni. Eppure giorno dopo giorno le voci si facevano più insistenti fino a diventare credibili; fino a diventare ufficiale il giorno 6 settembre 2021.
A meno di due settimane della chiusura della finestra di mercato più controversa della storia di Suning all’Inter, la proprietà cinese è riuscita a sostituire Achraf Hakimi. Al suo posto per 12,5 milioni di euro (di parte fissa) più 2,5 (di bonus) ha acquistato, il capitano del PSV Eindhoven, Denzel Dumfries. Il gravoso peso di sostituire uno degli uomini più influenti dell’Inter campione d’Italia non toccherà dunque ad un giocatore già affermato a livello internazionale, bensì ad un 25enne conosciuto dai più soprattutto grazie all’ottimo Europeo disputato qualche settimana fa.
Il calcio ha saputo spesso regalare grandissimi spettacoli nel corso delle varie edizioni dei Giochi Olimpici a discapito della minor risonanza nei confronti di altre discipline più “nobili”. Oltretutto, facendo di consueto da vetrina a quelli che sarebbero stati i talenti che negli anni a venire avrebbero poi dominato la scena mondiale. Ecco perché oggi, con il disputarsi delle prime partite, appare più che doveroso dare uno sguardo alle protagoniste (e ai protagonisti) del Torneo Olimpico.
Il calcio è un argomento fortemente divisivo: ci sono spesso discussioni, opinioni, tesi contrapposte. E’ molto raro che ci sia qualcosa che riesca ad escludere qualsiasi possibilità di obiezione. All’interno dell’alveo ristretto di affermazioni pacificamente accettate da tutti rientra il riconoscimento della coppia di allenatori più influente dell’ultimo ventennio. Chiunque mastichi un po’ di calcio dirà sempre: Pep Guardiola e José Mourinho. Due allenatori tanto influenti, quanto profondamente diversi tra loro, raro trovare qualcosa che li accomuni veramente. L’eccezione a questa regola è stata costituita da Pierre-Emile Hojbjerg.
L’imprinting con Guardiola
Nella primavera del 2013 un Hojbjerg non ancora maggiorenne ha esordito in Bundesliga con il Bayern di Jupp Heynckess, che, da lì a poche settimane, si sarebbe ritrovato a vincere tutto. Nel luglio successivo, a prendere in mano quella squadra fortissima sarebbe stato proprio Pep Guardiola. Dopo un anno sabbatico il tecnico catalano accolse la sfida di esportare il suo Juego De Posicion ben più lontano dal Camp Nou. Appena presa in mano la squadra Guardiola sembrava essersi perdutamente innamorato del giovane danese. Come narrato in Herr Pep – meraviglioso libro di Martin Perarnau – l’ex tecnico blaugrana raccontava di aver trovato un diamante grezzo. Ma non solo; Guardiola ammette candidamente che il danese gli ricorda sé stesso, per un motivo in particolare.
Il modo in cui si posiziona col corpo quando riceve il pallone, finta di andare da una parte e poi va dalla parte opposta.
Per quanto grandi fossero le premesse il tonfo dell’amore tra Hojbjerg e Guardiola è stato ancora più fragoroso. Solo sette partite il primo anno, otto il secondo che finisce anzitempo, quando a gennaio viene mandato in prestito all’Augsburg. Il nuovo ruolo di Lahm, l’acquisto di Thiago Alcantara e l’esperienza di Javi Martinez sono stati tutti fattori determinanti per lasciare così poco spazio al danese. Dopo l’Augsburg un altro ritiro estivo con Guardiola, che, ancora non convinto, lo rispedisce in prestito questa volta già ad agosto, allo Schalke 04. Quella sarebbe stata anche l’ultima stagione di Pep in Baviera: tornato dal prestito allo Schalke, Hojbjerg non troverà più il tecnico spagnolo e verrà ceduto, questa volta a titolo definitivo, al Southampton.
La Premier League e la chiamata di Mourinho
Arrivato ai Saints è sembrato subito essere a suo agio nel calcio ultra-fisico della Premier. Infatti dopo un apprendistato sulla pulizia tecnica, sulla giusta postura del corpo nell’effettuare il passaggio e nell’elusione del pressing – sotto la guida di Guardiola – in Inghilterra, Hojbjerg si è irrobustito e ha acquisito un grande senso di leadership. A soli 23 anni è diventato capitano del Southampton. A 25 è invece diventato nell’estate del 2020 il prescelto per essere l’architrave su cui José Mourinho, tornato in Premier League alla guida del Tottenham, ha voluto costruire il suo centrocampo. Il tecnico portoghese lo ha infatti messo sin da subito al centro del suo progetto tecnico in entrambi le fasi di gioco.
Il danese è un centrocampista estremamente cerebrale che abbina alla sua (ormai) imponente stazza fisica e alla sua pulizia tecnica anche un senso del gioco assolutamente fuori dal comune. Negli Spurs dell’anno appena passato spettava a lui il compito di coprire gli half-spaces. Con corse spesso all’indietro andava a compensare i movimenti degli invasori avversari per permettere ai difensori centrali di difendere più posizionalmente il centro e ai terzini di stare sull’ampiezza. Questa capacità di prevedere dove andrà il pallone con il giusto anticipo gli ha permesso di totalizzare ben 49 intercetti nella Premier League appena finita, ben più di 1 a partita.
Ma per il gioco del Tottenham Hojbjerg ha rispolverato anche diverse conoscenze affinate ed acquisite sotto Guardiola. Mourinho, conoscendo bene le caratteristiche di Kane e Son, ha sempre saputo quanto potesse essere difficile risalire il campo con dei lanci lunghi. La resistenza al pressing, la capacità nel taglia-e-cuci corto e la spiccata propensione al laser pass taglia-linee, hanno reso il danese una vera e propria colonna portante di tutto il sistema in entrambe le fasi. Tanto fondamentale per tamponare gli attacchi avversari, quanto per provare a costruire i propri. Probabilmente, insieme ai due attaccanti, rappresenta l’unica nota positiva di una stagione molto deludente per gli Spurs. Non è un caso che sia l’unico giocatore di movimento ad aver giocato tutti i minuti del campionato, come non lo è che nella (clamorosa) eliminazione in Europa League fosse assente.
L’Europeo di Hojbjerg con la Danimarca
A causa delle prestazioni altalenanti nel primo biennio con i Saints, Hojbjerg non ha avuto l’opportunità di partecipare ai Mondiali di Russia 2018. Euro2020 è stata dunque la prima grande competizione per Nazionali a cui il centrocampista del Tottenham ha partecipato ed è stato senza dubbio tra i migliori (forse il migliore?) di tutta la spedizione. In coppia con Delaney ha formato una cerniera di centrocampo completissima che ha permesso alla Danimarca – fatta eccezione della prima drammatica gara – di giocare un calcio arioso ma concreto per tutta la competizione. Sia il centrocampista del Tottenham che quello del Borussia Dortmund hanno interpretato alla perfezione il ruolo del box-to-box. La completezza di Hojbjerg si evince anche dalla varietà di statistiche in cui eccelle. Durante questo europeo il danese è stato tra i calciatori che hanno guadagnato più metri verso la porta avversaria grazie ai passaggi (263m per 90′), ha totalizzato più di 2 intercetti a partita (13 totali) e 1,8 key-passes a partita.
Il gioco della Danimarca si è sposato alla perfezione con tutte le vocazioni di Hojberg: quelle più portate al pressing così come quelle più immediatamente votate alla ricerca dell’attaccante. Il primo (dei tre) assist confezionato dall’ex centrocampista del Bayern Monaco è nel gol del vantaggio dei danesi contro il Belgio. In una delle partite più sbilanciate dell’Europeo dove la squadra danese ha creato nettamente di più – poi persa dovendosi arrendere ad un De Bruyne versione deluxe – Hojbjerg ha mostrato a tutti quanto sappia guidare tutta la squadra nel pressing, che sensibilità abbia nel corto e che ottimo tempo d’anticipo possegga.
Ma nonostante un’ottima partita contro il Belgio, e addirittura un doppio assist nel trionfo contro la Russia dell’ultima partita del girone, il picco prestazionale del numero 23 danese è stato senza dubbio nella discussa ma bellissima semifinale contro l’Inghilterra. Contro la nazionale dei Tre Leoni il centrocampista degli Spurs ha fornito una prestazione di altissimo livello chiudendo la gara con ben 7 contrasti vinti, 3 intercetti e 1 key-pass. Una prestazione a tutto tondo che delinea ancora di più Hojbjerg come uno dei dominatori della mediana negli anni a venire.
Quale futuro per Hojbjerg?
Dopo la partenza di José Mourinho direzione Roma, il nuovo allenatore degli Spurs con cui si ritroverà Hojbjerg sarà Nuno Espirito Santo. Il tecnico portghese nella sua esperienza al Wolverhampton ha dimostrato di voler sempre almeno un palleggiatore puro nei due di centrocampo (Ruben Neves, Joao Moutinho). Sarà interessante vedere come assemblerà il centrocampo degli Spurs che ad oggi, vede nel solo Lo Celso un calciatore con quelle caratteristiche.
Anche per questo si è più volte vociferato di un interesse della Roma per il danese, che seguirebbe così il suo nuovo mentore sulle sponde del Tevere. Il costo del cartellino è molto elevato – si parla di una cifra sui 40 milioni – ma da un punto di vista squisitamente tattico un centrocampista del calibro di Hojbjerg alzerebbe vertiginosamente il livello del centrocampo capitolino. Grazie alla sua versatilità potrebbe giocare come classico 5 con ai lati Veretout e Pellegrini, ma anche, ricalcando uno schema simile a quello di Fonseca, in un centrocampo a due dove potrebbe integrarsi sia col francese che con Villar.
Lo sforzo economico sembrerebbe alquanto fuori dalla portata delle tasche della Roma, ma per come il neo-tecnico giallorosso ha parlato del suo numero 5, non stupirebbe nessuno se facesse carte false per averlo. D’altronde, qualche anno fa quell’altro allenatore piuttosto influente, disse che parlando di Hojbjerg si parla della cosa “più simile a Busquets vista su un campo da calcio”.
Questa sera a Lubiana andrà in scena il quarto di finale dell’Europeo U21 tra Italia e Portogallo. Gli Azzurrini, dopo aver clamorosamente fallito la fase ad eliminazione diretta dell’edizione disputata tra le mura amiche due anni fa, tornano a distanza di quattro anni a giocare un match da dentro-o-fuori. Per il Portogallo l’assenza dall’eliminazione diretta del torneo è ancora più lunga: i lusitani non giungono alla seconda fase addirittura dal 2015.
Secondo Josè Mourinho, nome che va per la maggiore in questo momento in Italia, il girone CONMEBOL di qualificazione al Mondiale è la competizione più difficile del mondo. Il portoghese però nonostante il suo intenso girovagare e la sua propensione nel ricercare top team da ormai tre lustri non ha mai allenato in Germania. Non ha mai potuto assistere al brivido sulla schiena del Relegationsspiel.
Quando a 20 anni e mezzo esordisci con l’Albiceleste e segni dopo solo tre minuti il tuo primo gol con la Nazionale dei grandi, è inevitabile che si pensi che tu sia un predestinato. Specie se già prima di averli compiuti, i vent’anni, hai già vinto un Sub20 da capitano e se ancora prima sei stato co-protagonista di un trionfo in Libertadores. Avranno pensato questo di Angel Correa, quando segnò il 7-0 alla Bolivia, il 5 settembre 2015. Un predestinato che già a quella tenera età aveva vinto una partita difficilissima contro un tumore benigno al cuore, scoperto durante le visite mediche con l’Atletico Madrid.
La pandemia di Covid-19 ha stravolto le nostre vite e, per la prima volta, l’Europeo Under-21 ha dovuto ricorrere ad un cambio di format per non sovrapporsi a quello per nazionali maggiori, inizialmente programmato per la scorsa estate e poi rinviato. Infatti, anziché il classico concentramento di gare, nel giro di 24 giorni, il torneo è stato suddiviso in due finestre temporali distinte: la prima nella pausa nazionali di marzo, la seconda nella pausa nazionali (precedente EURO2021) di fine maggio.
È passato più di un anno e mezzo dall’ultima panchina di Massimiliano Allegri. Precisamente la panchina in questione era quella della Juventus e l’ultimo match un anonimo Sampdoria-Juventus di fine maggio. Un quinquennio di enorme successo, in cui la Juventus e il tecnico livornese hanno fatto incetta di vittorie – perlomeno in Italia – e si sono conquistati lo status di big del calcio europeo.
Ma mi manca quel bar, le mie strade. Se togli le A alla parola CaSa, cosa rimane?
Percorrendo la penisola italiana da settentrione, una volta varcato il confine della Basilicata, la prima provincia che si incontra è Cosenza, la città più a nord della regione più a sud.