Natale 2019 è stato molto dolce per i tifosi dei Gunners: l’arrivo di Mikel Arteta sulla panchina che per 22 anni era stata proprietà di Arsene Wenger aveva l’odore di riproposizione di una nuova era, un approccio molto simile a quello che aveva portato nel nord di Londra, nel 1996, il tecnico alsaziano. L’esperienza dello spagnolo come calciatore sotto lo stesso Wenger e come assistente di Pep Guardiola ha creato un’aspettativa da incrocio genetico simile a quella che ci siamo immaginati quando abbiamo saputo che Andre Agassi e Steffi Graf avevano messo al mondo un erede, oppure quando la stessa cosa era accaduta con Sergio Aguero e Giannina Maradona.
Sopravvissuto a Jorge Mendes
Il 30 luglio 2016, il Wolverhampton annuncia sul proprio sito ufficiale la cessione del club al gruppo cinese Fosun, pronto a fare investimenti importanti per riportare stabilmente il club delle Midlands in Premier League. Con una mossa molto singolare nel panorama calcistico inglese, la nuova proprietà decide di delegare la gestione sportiva del club ed i relativi investimenti ad un’agenzia di procuratori, la Gestifute di Jorge Mendes.
Il potentissimo procuratore portoghese da quell’estate decide di rendere il Wolverhampton il club di sviluppo dei propri assistiti: oggi la rosa è composta per gran parte da giocatori portoghesi o provenienti dall’ambito di influenza di Mendes a cui si aggiunge il deus ex machina sul campo, ossia l’allenatore Nuno Espirito Santo, il cliente numero 1 di Jorge Mendes. Da quel 2016, solo un giocatore è ancora parte della rosa del Wolverhampton, resistendo al repulisti della nuova gestione tecnica del club: si tratta del capitano Conor Coady, oggi anche unico giocatore inglese della rosa assieme al centrocampista Morgan Gibbs-White e all’altro difensore centrale Max Kilman.
Nel calcio contemporaneo, in cui contano le caratteristiche del giocatore ancor prima del ruolo, la storia calcistica del centrale difensivo dei Wolves rappresenta l’esempio più calzante di come determinati compiti ed altrettante funzioni non debbano necessariamente essere appannaggio di uno specifico ruolo, ma possono e devono coniugarsi con il contesto di squadra.
Un centrocampista di prospettiva
Oggi conosciamo Conor Coady come un centrale difensivo di ottimo livello e con caratteristiche molto specifiche, quasi assimilabili a quelle di un libero vecchio stampo: non è un portento in marcatura, ma sa farsi valere sulle palle alte e soprattutto in impostazione. Tutto questo è figlio della sua evoluzione come calciatore, che ha contaminato il suo modo di intendere il ruolo di centrale difensivo.
Il difensore del Wolverhampton nasce nel settore giovanile del Liverpool come centrocampista centrale che poteva operare davanti alla difesa, ma anche nelle altre posizioni rese disponibili dallo schieramento in campo della squadra. In questo ruolo, raccoglie anche la prima presenza con la maglia dei Reds: fu Brendan Rodgers a dargli la maglia da titolare in una trasferta di Europa League sul campo dell’Anzhi di Samuel Eto’o, allenato da Guus Hiddink.
In quella posizione viene utilizzato anche dalle nazionali giovanili inglesi, dove colleziona 37 presenze fino a capitanare la squadra U20 al Mondiale di categoria nel 2013. Quell’edizione del Mondiale non andò benissimo per la formazione inglese, eliminata ai gironi da Iraq e Cile pur avendo in squadra gente come Harry Kane, Ross Barkley, James Ward-Prowse e John Stones.
Quel Mondiale verrà vinto dalla Francia, il cui centrocampo era composto dal trio formato da Pogba, Kondogbia e Veretout, mentre l’avventura nel giro delle nazionali per Coady terminerà al fischio finale di Egitto-Inghilterra, partita che decretò la fine dell’avventura inglese nella competizione.
Quella di Anzhi resterà l’unica presenza da titolare con la maglia dei Reds per Coady che, dopo quella stagione, verrà mandato in prestito allo Sheffield United in League One, l’equivalente della nostra Serie C. In quella stagione, l’attuale capitano del Wolverhampton mostra di essere un centrocampista davvero completo – utilizzato in tutte le posizioni a centrocampo -, tanto da chiudere la stagione con 5 reti e 4 assist al suo attivo. Al termine di quell’annata sembrava, dunque, destinato a diventare un centrocampista box to box, con il sogno anche di raccogliere l’eredità di Steven Gerrard.
Ed invece la parabola è diversa: al termine di quella stagione, il Liverpool decide di non puntare su di lui e lo cede all’Huddersfield. Si sale di un gradino nella scala del calcio inglese, i Terriers giocano in Championship: Coady non soffre affatto il salto e diventa indispensabile nel 4-2-3-1 con cui la squadra viene schierata in campo. Rispetto alla stagione precedente, deve occupare posizioni di campo meno avanzate; tuttavia, il suo apporto offensivo resta valido con 3 reti e 3 assist, ma soprattutto arriva il riconoscimento come Miglior Giovane dell’Anno da parte dei tifosi.
Al termine della sua seconda stagione da professionista, Coady ha 22 anni e sembra pronto a puntare ad una carriera da centrocampista in Premier League. In quell’estate, il Wolverhampton inizia la sua ultima stagione sotto la gestione societaria di Jack Hayward, l’uomo sotto la cui gestione i Wolves sono tornati ad essere un club competitivo a livello nazionale. Diventerà l’ultimo acquisto della vecchia proprietà, versando nelle casse dell’Huddersfield un corrispettivo pari a poco meno di 3 milioni di euro, decisamente un investimento importante per la Championship inglese.
Sotto la guida del tecnico Kenny Jackett, i Wolves si schierano con lo stesso 4-2-3-1 dell’Huddersfield l’anno precedente, tuttavia la stagione non è esaltante e Coady si mette in evidenza più per le qualità in fase di non possesso, in cui mostra ottimo senso della posizione, che in fase offensiva. Chiuderà la stagione con solo 2 assist a referto ma con buoni valori difensivi: è il segnale che qualcosa sta cambiando per la sua carriera.
La nuova carriera di Coady sotto la gestione Fosun
Arriva l’estate del 2016 e l’era Hayward termina: il fondo Fosun, coadiuvato da Jorge Mendes, acquisisce il club con l’obiettivo di portarlo stabilmente in Premier League, dove poter sviluppare i talenti gestiti dal potentissimo procuratore portoghese. Il mercato porta ad una rivoluzione della rosa e della gestione tecnica: il club spende subito 30 milioni di euro per portare al Molineux gente del calibro di Ivan Cavaleiro ed Helder Costa, oltre al centrale difensivo marocchino Romain Saisse: la squadra è rivoluzionata da 24 acquisti e 26 cessioni, mentre la panchina viene affidata a Walter Zenga, con conseguente benservito a Kenny Jackett.
All’interno di questa rivoluzione, Conor Coady resta sostanzialmente uno dei pochi elementi di continuità rispetto alla vecchia gestione: anche il rapporto con il nuovo allenatore sembra procedere al meglio. Tuttavia, la grande confusione generata dalla rivoluzione nell’organico ha comportato una serie di situazioni di difficile gestione: con una rosa non ancora completa, lacune in alcuni settori e sovrabbondanza in altri, Zenga chiede a Coady di mettersi alla prova come terzino destro.
La sfida viene accettata, il ragazzo si mette alla prova e dà del proprio meglio ma – come avrà modo di affermare negli anni successivi in alcune interviste – il suo auspicio è sempre stato quello di non dover coprire più quella posizione di campo per non essere costretto a sfidare gli avversari in uno contro uno. Per l’intera stagione, l’attuale capitano dei Wolves si alternerà tra i due centrali di centrocampo ed il ruolo di terzino, consolidando dunque la sua trasformazione in giocatore difensivo.
Dopo la prima stagione sotto la gestione Fosun – terminata decisamente al di sotto delle aspettative -, il piano di Jorge Mendes non si ferma: anche se i Wolves restano in Championship, l’imbarco di elementi dalla scuderia del procuratore portoghese continua in maniera ancora più massiccia, con nomi altisonanti come quelli del centrocampista Ruben Neves e dell’attaccante Diogo Jota, giusto per citarne alcuni, fino ad arrivare alla scelta di affidare la squadra a Nuno Espirito Santo, reduce dalle esperienze sulle panchine del Valencia e del Porto.
Allo stesso tempo, altri elementi della vecchia guardia fanno le valigie, ma anche questa volta Conor Coady resta al suo posto e diventa il capitano della squadra che in maniera trionfale porterà a casa la tanto agognata promozione in Premier League. Come nell’anno precedente, tuttavia, la rivoluzione sul mercato comporta un ritiro pre-campionato con una squadra non coperta i tutti i ruoli: Nuno decide che la strategia del suo Wolverhampton sarà incentrata sulla difesa a 3 – che diventa a 5 in fase di non possesso -, mentre la fase offensiva viene affidata alle transizioni ed alle capacità dei suoi elementi offensivi.
I difensori a disposizione, tuttavia, non sembrano tutti adatti ad una linea difensiva di quel tipo, quindi a chi tocca sperimentarsi come centrale nella difesa a 3? Ovviamente la scelta di Nuno ricade su Coady, una decisione che rappresenterà la svolta della sua carriera, rendendolo il giocatore che oggi conosciamo.
Le caratteristiche di Coady da difensore centrale
Nuno ha voluto provare Coady in posizione di centrale di una difesa a 3 per poter utilizzare al meglio la sua visione di gioco: lo stesso Coady – in un’intervista rilasciata a dicembre 2019 a Sky Sport UK – ha posto l’accento sul fatto che il tecnico portoghese ha ritenuto le sue qualità in impostazione meglio gestibili in una zona di campo meno trafficata rispetto al cerchio di centrocampo.
A rendere singolare il ruolo di Coady è il fatto che la sua posizione è nominalmente al centro della difesa, ma non agisce mai realmente da difensore centrale: in fase di possesso diventa il primo regista della squadra, mentre in fase di non possesso i suoi compagni di reparto si occupano di gestire gli attaccanti avversari, mentre il suo compito è quello di controllare ciò che accade davanti alla propria porta ed intervenire se uno dei difensori ai suoi fianchi perde il duello con il relativo avversario.
La scelta operata dal tecnico del Wolverhampton dopo aver studiato Coady è stata quella di creare un giocatore con i compiti di un centrocampista, ma nella posizione di un difensore centrale: intorno a ciò gira l’intera strategia voluta dal tecnico portoghese, basata su un blocco basso e transizioni. Il capitano dei Wolves utilizza le sue grandi qualità balistiche per operare lanci utili e necessari a spostare il gioco da una metà all’altra del campo, permettendo di attivare la velocità degli esterni – la combo lancio di Coady e galoppata di Adama Traoré è stata l’arma principale dei Wolves nelle ultime due stagioni – fino anche a tentare di lanciare un compagno direttamente verso la porta, con palloni precisi alle spalle della linea difensiva avversaria.
Le statistiche parlano chiaro e rappresentano in maniera ancora più oggettiva le specificità di Coady rispetto agli altri difensori che giocano in Europa: la lunghezza media dei suoi passaggi, la quantità di passaggi lunghi per partita e la relativa percentuale di precisione lo rendono un giocatore davvero unico nel suo genere, che perfettamente si sposa con il tipo di gioco che Nuno Espirito Santo ha progettato per la squadra.
Essendo cresciuto a livello giovanile con i fondamentali di un centrocampista, l’altro lato della medaglia del passaggio a difensore centrale è quella di adattare la sua posizione affinché le scarse capacità in marcatura potessero essere ben nascoste. La soluzione predisposta dallo staff del Wolverhampton è stata quella di esonerare Coady da compiti che potessero mettere in evidenza i suoi limiti difensivi: il ruolo, quindi, all’interno della linea difensiva a 3 – o a 5, come preferite – è quello di occupare la casella centrale della linea e lasciare i compiti di marcatura agli altri due centrali difensivi.
Come si evince dagli esempi proposti, la sua interpretazione del ruolo è molto diversa da quella dei suoi omologhi: nel calcio contemporaneo è più unico che raro vedere delle linee difensive con un uomo che si occupa solamente della copertura e che, quindi, giochi qualche passo indietro rispetto ai propri compagni di reparto. Pur di utilizzare al meglio le qualità del suo capitano con la palla tra i piedi, quindi, Nuno Espirito Santo ha ripreso i manuali storici di tattica ed ha ricreato la figura del libero: un ruolo in cui Conor Coady sembra trovarsi molto a suo agio ed in cui può sfruttare al meglio il suo punto di forza, l’intelligenza calcistica.
Le prospettive future
Oggi Conor Coady compie 28 anni, la sua carriera è stata un susseguirsi di evoluzioni: il suo arretramento dal centrocampo al ruolo di difensore centrale gli ha permesso di diventare un giocatore professionista di alto livello, fino a tornare a vestire la maglia della nazionale inglese.
Gareth Southgate ne ha osservato molto attentamente l’evoluzione calcistica e, indubbiamente, la sua capacità di adattarsi a diversi contesti tattici ed a diverse posizioni in campo: non è un caso che nelle due apparizioni con la maglia dei Three Lions sia tornato a schierarlo anche a centrocampo – con una difesa a 4 alle spalle – e poi schierato nella sua abituale posizione al centro della difesa a 3.
In un progetto tecnico interessantissimo come quello che la nazionale inglese sta portando avanti – basato su una fluidità degli schieramenti in campo a seconda della partita – l’apporto di Coady potrà essere molto importante. Non ci sarà da essere sorpresi se lo vedremo come protagonista ai prossimi campionati Europei.
La storia, come amava farci ricordare Giambattista Vico, è fatta di corsi e ricorsi storici. Quella calcistica di Conor Coady è un grande cerchio che si è aperto come centrocampista di grande prospettiva dell’Academy del Liverpool: chissà che la prossima sessione di mercato non chiuderà questo cerchio riportandolo nella città e nella squadra dove è cresciuto.
Questa sera, poco prima di cena, andrà in scena Stella Rossa-Milan, incontro valido per l’andata dei sedicesimi di finale di Europa League.
Aurélien Tchouaméni sta dimostrando di essere diventato un giocatore di alto livello al suo terzo campionato da professionista, con il Monaco.
Mancano davvero pochi secondi al fischio finale di Bayer Leverkusen-Bayern Monaco, pochi secondi dividono le Aspirine dal chiudere il 2020 in vetta alla Bundesliga. Dopo continue delusioni ed altrettanti fallimenti dettati da momenti in cui la razionalità ha lasciato spazio alla follia, questo primo scorcio di stagione sembrava aver portato fuori il Bayer Leverkusen dalla sindrome di autodistruzione, ed invece ecco che la storia decide di non modificare la propria trama.