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Barcellona è davvero più di un club

Una delle prime cose che si possono notare arrivando a Barcellona è sicuramente la peculiare impronta architettonica che la caratterizza. Il profilo energico e colorato della città si fonde alla perfezione col suo carattere gioioso e fresco. Il sole e il mare che si uniscono in una delle città più frizzanti del mondo. Da gustare come una bibita fresca. Barcellona è una carica di energia allo stato puro. È un’esplosione di colori e di gioia e ha un codice estetico tutto suo. Le linee ondulate e irregolari degli edifici. Le facciate vistose e a tratti pacchiane dei palazzi. E soprattutto la mano, onnipresente, di Antoni Gaudi.

È difficile trovare un’altra città contrassegnata in maniera così evidente dall’opera di un singolo architetto. Il connubio tra Barcellona e Gaudi è praticamente inscindibile. L’uno senza l’altra quasi non esistono. La grandezza dell’architetto sarebbe nulla senza quella città che gli ha fatto da cornice e questa, a sua volta, avrebbe un profilo completamente diverso se non fosse stata segnata dalla mano di quel genio. Dire che Antoni Gaudi ha lasciato il proprio marchio su Barcellona è riduttivo. L’architetto ha completamente stravolto la città, l’ha connotata e definita, l’ha modellata come un artefice divino.

Dio ha tutto il tempo del mondo

Per descrivere l’apporto che l’architetto ha dato alla città catalana servirebbe una trattazione ben più ampia, qui ci limitiamo a un piccolo compendio esemplificativo. Le origini di Gaudi sono avvolte dal mistero. Sicuramente è nato in Catalogna. Alcuni sostengono a Riudoms, la gran parte a Reus. Ad ogni modo l’importante è che in qualche parte della Spagna sia nato e che si sia dedicato allo studio dell’architettura, riversando su Barcellona tutto il suo genio.

La prima opera di Gaudi nel capoluogo catalano è la costruzione di Casa Vicens. Siamo nel 1883, l’architetto riceve l’incarico di costruire un’opera nel quartiere di Gracia da un ricco azionista di borsa e sei anni dopo consegna un capolavoro tale da rendere i suoi servigi richiesti ovunque in città. Mentre lavora a Casa Vicens, Gaudi riceve infatti l’incarico di seguire la costruzione di una grande basilica, il cui progetto originario era stato affidato a Francisco de Paula del Villar nel 1882. Quel progetto di un’enorme chiesa in stile neogotico arriva nelle mani di Gaudi, che lo stravolge completamente, optando per un design più moderno e che finirà per definire ciò che passerà alla storia come modernismo catalano.

La costruzione di quella chiesa, che ormai avrete capito essere la famosissima Sagrada Familia, occuperà Gaudi per tutta la vita. L’architetto morirà prima di vederla completa, e non solo lui. La basilica, di fatto, non è mai stata completata, alimentando la leggenda sulla sua irrealizzazione che ha finito sostanzialmente per auto-alimentarsi non arrivando mai a conclusione. La Sagrada Familia è il capolavoro incompiuto di Gaudi e su di essa si possono vedere i segni delle diverse tappe del suo lavoro e l’evoluzione del suo modernismo catalano.

Questo stile si definisce soprattutto con la costruzione di due famose opere, situate tra l’altro a poca distanza l’una dall’altra. Su Passeig de Gracia, una delle vie più famose di Barcellona, è possibile ammirare in rapida sequenza Casa Batlò e Casa Milà, i due grandi esempi del modernismo catalano codificato da Gaudi. La prima è stata realizzata tra il 1904 e il 1905 e si tratta della risistemazione di un edificio preesistente, che Gaudi adorna ispirandosi alla leggenda di San Giorgio e il drago. La facciata ha molti elementi che riportano alla storia, dalle “squame” della facciata ai teschi che popolano i balconi, fino alla croce che cinge la vetta del palazzo e che simboleggia la spada del santo. Casa Milà, meglio nota come la Pedrera, è invece stata costruita tra il 1906 e il 1912. Il suo soprannome ha un carattere negativo, Pedrera in catalano significa “cava” ed è stato affibbiato alla costruzione per sottolineare la sua estraneità a ogni stile architettonico esistente.

Il bus dei festeggiamenti del Barcellona per la Liga 2013 davanti Casa Batlló
Il Barcellona festeggia la vittoria della Liga 2013 proprio davanti Casa Batlló (Foto: Lluis Gene/Getty Images – OneFootball)

Lo step successivo del modernismo catalano di Gaudi lo possiamo ammirare però in un altro famoso capolavoro dell’architetto: Park Güell. Si tratta di un grande parco residenziale, realizzato sull’esempio di quelli diffusi in Inghilterra – da qui il termine Park in luogo del catalano Parc – e commissionato da una ricca famiglia di Barcellona. Qui Gaudi esplora il contatto tra la natura e il suo stile architettonico, fondendo insieme elementi artificiali e naturali e portando in una nuova dimensione l’armonia delle sue forme.

Con queste costruzioni, e con altre meno famose, Antoni Gaudi ha cambiato per sempre il volto di Barcellona. Lo ha fatto con le sue linee ondulate, con i suoi colori accesi, col suo rifiuto per le forme aspre. Lo ha fatto in nome dell’armonia, in linea col carattere della città. Un’operazione che, più di un secolo dopo, farà un altro grande genio come Pep Guardiola, che col suo stile unico cambierà per sempre il volto del Barcellona.

Barcellona è una signora che ama raccontare storie

Come per la città di Barcellona c’è sicuramente un prima e un dopo l’avvento di Gaudi, per il Barcellona del calcio si può fare un discorso simile con Guardiola. Pep ha rivoluzionato per sempre il club catalano, la sua filosofia e la sua immagine nel mondo, ma non è un alieno arrivato da una dimensione esterna e trascendente alla squadra. È lui per primo un prodotto del contesto blaugrana.

Il Barcellona moderno inizia a configurarsi negli anni ’90, con l’avvento sulla panchina del club di Johan Cruijff. La leggenda olandese torna in Catalogna, dove era già stato da calciatore, nel 1988 cominciando un’opera di rivoluzione del club e allestendo quello che passerà alla storia come il dream team, capace di vincere la prima Coppa dei Campioni della storia del Barcellona nel 1992. Una squadra leggendaria, in cui figurava proprio Pep Guardiola.

L’avvento di Cruijff porta nel club quegli ideali filosofici che finiranno per contraddistinguerla e che saranno semplicemente perfezionati dal tecnico spagnolo. La centralità del gioco, l’importanza della cantera, la costruzione di un’identità forte che attraversi tutte le categorie del Barcellona, dai più piccoli alla prima squadra. Il club blaugrana diventa una scuola di formazione, un’accademia dove tutti imparano a giocare con determinati ideali, così da prendere poi il proprio posto nel perfetto meccanismo che è il Barcellona.

Dagli anni ’90 ai primi 2000 il Barcellona costruisce con fatica, pazienza e dedizione questa identità. L’era del dream team finisce, seguono anni più difficili in cui però viene mantenuta fissa la rotta. I blaugrana tornano quindi ad affacciarsi sulla scena mondiale con Rijkaard in panchina, vincono la seconda Champions League della loro storia e iniziano a raccogliere i primi frutti del lungo lavoro. Frutti che portano i volti di Xavi, Puyol, Iniesta e di un piccolo fenomeno argentino di nome Leo Messi.

In questo quadro si colloca l’avvento di Guardiola. Pep è il culmine di questo processo, è colui che perfeziona il tutto, che porta a compimento un lavoro lungo 20 anni. Nel 1988 era arrivato Cruijff sulla panchina del Barcellona, nel 2008 è il turno di Guardiola. La chiusura di un cerchio e il compimento di un percorso.

Barcellona
Pep Guardiola in una sessione di allenamento col suo Barcellona (Foto: Kevork Djansezian/Getty Images – One Football)

Città delle meraviglie, della modernità, della tradizione rivoluzionaria

L’estate del 2008 è quella della rivoluzione in casa Barcellona. Oltre al cambio in panchina, ci sono degli stravolgimenti significativi anche in campo. Salutano due dei più grandi eroi dell’era Rijkaard: Ronaldinho va al Milan, mentre Deco vola a Londra per vestire la maglia del Chelsea. Insieme a loro lasciano il Camp Nou anche Zambrotta, Thuram, Edmilson e Oleguer. Arrivano invece alcuni dei giocatori che saranno fondamentali negli anni avvenire: Seydou Keita ma soprattutto Gerard Pique e Dani Alves.

L’impatto di Guardiola sul Barcellona è semplicemente devastante. Al suo primo anno da tecnico, Pep porta il club catalano a conquistare il triplete. Il Barça cannibalizza la Liga chiudendo a nove punti di distanza sul Real Madrid. Vince la Copa del Rey superando in finale l’Athletic Bilbao e trionfa in Champions League. Il cammino è sontuoso: prima i bluagrana eliminano il Lione, poi annichiliscono il Bayern ai quarti. In semifinale c’è il famosissimo confronto col Chelsea, con il match di ritorno a Londra segnato dall’arbitraggio discutibile di Ovrebo e dal gol decisivo all’ultimo respiro di Iniesta. La finale a Roma poi è leggenda, con la vittoria sul Manchester United per 2-0 con la rete in apertura di Eto’o e il leggendario stacco di testa di Leo Messi.

Il primo Barcellona di Guardiola è già il manifesto della sua rivoluzione. Un 4-3-3 con Valdes tra i pali, coppia centrale formata da Pique e Puyol, con Abidal a sinistra e Dani Alves, molto più offensivo, a destra. Davanti alla difesa la fisicità di Yaya Touré, che progressivamente lascerà spazio alle geometrie di Busquets, con ai suoi fianchi la classe, pura e infinita, di Xavi e Iniesta. Davanti Eto’o è il riferimento centrale, Henry parte da sinistra e da destra opera e dispensa meraviglie Lionel Messi.

Questo è il primo Barcellona di Guardiola e contiene già tutti i segni della filosofia che il tecnico imprimerà per sempre nel club. Quella blaugrana è una macchina perfetta, tanto che negli anni verrà sostituito qualche ingranaggio, ma l’ossatura rimarrà sempre la stessa. Il Barça sviluppa quello che passerà alla storia come Tiki Taka, un gioco fatto di molti passaggi ravvicinati, continui e inesorabili, che avvolge l’avversario come la tela di una letale vedova nera. Il Barcellona di Guardiola ha codificato e poi consacrato questo stile di gioco, basato sulla classe e sull’intelligenza dei suoi interpreti. Il tiki taka è il compimento di quel processo di cui si parlava prima, ogni calciatore del Barcellona sin dal suo arrivo delle giovanili viene allenato per questo stile di gioco. Guardiola lo porta a un livello di perfezione assoluta, raccogliendo i frutti incredibili del suo lavoro durante la sua esperienza in Catalogna e lasciando ai posteri una squadra perfettamente indottrinata.

Barcellona è un concetto chiaro

La seconda stagione di Guardiola al Barcellona si apre con altri cambiamenti importanti. Su tutti, l’arrivo di Zlatan Ibrahimovic dall’Inter e la partenza di Samuel Eto’o verso Milano. Con lo svedese arriva anche il terzino sinistro Maxwell, che alla fine si rivelerà molto più funzionale dell’attaccante. Infine, si affaccia in prima squadra un altro grande protagonista di questo Barcellona: Pedro Rodriguez.

I blaugrana partono forte, conquistano subito la Supercoppa di Spagna e quella europea, superando lo Shakhtar ai supplementari con un gol proprio di Pedro. A dicembre il Barça si laurea anche campione del mondo, battendo l’Estudiantes ancora una volta ai supplementari. Nella seconda parte però la stagione si complica: il Barcellona viene eliminato dalla Copa del Rey e soprattutto dalla Champions League, nel discusso doppio confronto con l’Inter di Mourinho che poi a Madrid alzerà al cielo la coppa.

La vittoria della Liga non basta e il Barcellona nell’estate 2010 si rinforza con gli arrivi di Villa e Mascherano. Salutano invece Ibrahimovic, Henry e Touré. I blaugrana si presentano in una veste rinnovata e potenziata rispetto al 2009 e vivono un’altra stagione magica. A differenza di quel primo Barça, le chiavi del centrocampo ormai sono completamente in mano a Busquets e il tridente ha il punto di riferimento centrale in David Villa, con Pedro a sinistra e la costante Messi a destra. La stagione era iniziata con la vittoria della Supercoppa di Spagna e si chiude con un altro trionfo in Liga al termine di un serrato testa a testa con il Real di Mourinho e col trionfo in Champions, superando ancora una volta in finale il Manchester United, dopo un agguerrito Clàsico in semifinale.

Il Barcellona della stagione 2010-2011 entra in continuità con quello del 2008-2009, affina quella filosofia di gioco che la contrassegnava e arriva a rasentare la perfezione. Raggiunge sostanzialmente un punto in cui, più in alto, è difficile arrivare. La stagione successiva si apre con la conquista sia della Supercoppa spagnola che di quella europea contro Real e Porto. A dicembre arriva anche il secondo titolo mondiale. Poi il crollo. Il Barça chiude il campionato al secondo posto dietro i Blancos e in Champions cade in semifinale contro il Chelsea, al termine di un doppio confronto rocambolesco in cui, dopo la sconfitta di misura in Inghilterra, gli spagnoli si sono fatti rimontare al ritorno due gol dai londinesi. Questo è l’ultimo anno di Guardiola, che lascia quindi il Barcellona dopo quattro stagioni.

Il Barcellona festeggia la vittoria della Champions League nel 2011 contro il Manchester United
(Foto: GLYN KIRK/Getty Images – One Football)

Més que un club

Se passeggiando per le strade di Barcellona è possibile ammirare praticamene ovunque l’impronta di Antoni Gaudi, guardando giocare i blaugrana si rintraccia continuamente l’eco del lavoro di Guardiola. In ogni rapida trama di gioco, in ogni ragazzino lanciato dalla cantera che s’inserisce subito alla perfezione in prima squadra. Quando un centrocampista alza la testa, trova la linea di passaggio. Quando un attaccante si smarca. Quando un terzino si sovrappone. Quando il Barcellona scende in campo col classico 4-3-3.

Tutti i tratti che hanno finito per entrare a far parte del dna del Barcellona si riconducono a questi quattro anni della gestione Guardiola. Pep non ha portato solo trofei nella bacheca della squadra, ma ha dato qualcosa di ben più importante. Ha dato al club un’identità, una filosofia, un carattere distintivo. Il Barcellona ha la sua immagine nel mondo soprattutto per merito del tecnico, che è stato il punto di realizzazione di un lungo processo che ha portato alla definizione di un’identità ben precisa.

Més que un club, recita il motto del Barcellona. Sì, il Barça è molto più di un club, è un’identità collettiva, è un’idea, è una filosofia. È il grande retaggio di Pep Guardiola e di Antoni Gaudi, i due grandi plasmatori che con le loro capacità divine hanno cambiato per sempre la città catalana.

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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