Un tempo – che per la storia è pochissimo tempo, mentre per noi che viviamo oggi è un bel po’ di tempo – sotto la stessa bandiera giocavano russi e ucraini. La Russia rivendicava già allora una certa superiorità in ogni campo: culturale, politico, sportivo. Eppure quello che da molti viene considerato il più grande calciatore (di movimento) ad aver giocato con la falce-e-martello sul petto è stato un ucraino. Oleh Blochin (translitterato con le grafie russe in Oleg Blokhin) ha rappresentato per quasi un ventennio la stella più lucente mai prodotta dietro la cortina di ferro.
Blochin è stato il primo calciatore offensivo sovietico a fregiarsi del Pallone d’oro, nel 1975, dopo aver concluso una straordinaria stagione con in bacheca il campionato sovietico, la Coppa delle Coppe e la Supercoppa Europea, scippata al Bayern Monaco di Frazn Beckenbauer, che a fine partita avrebbe poi affermato di non aver incontrato mai un calciatore forte come il sovietico. Ha reso grande in Europa la Dinamo Kiev del Colonnello Lobanovskyi, è il detentore di un’indefinita quantità di record per la storia della lega sovietica e della nazionale.
Lo sport nel sangue
Attaccante completo, in grado di svariare su tutto il fronte offensivo, abbinava alla grande tecnica, tipica dei rifinitori dell’epoca anche un atletismo nettamente fuori dal comune. Si può dire che lo avesse nel DNA: la madre infatti era Kateryna Adamenko, campionessa sovietica di corsa agli ostacoli, salto in lungo e pentatlhon. Si allenava con Borzov, campione olimpico nei 100 metri del 1972. Per lui era quasi naturale vedere lo sport come qualcosa di strettamente individuale; visione che sicuramente cozzava con il modo di pensare l’intera vita umana da parte dell’Unione Sovietica e che per essere incanalata per far deflagrare tutto il suo talento ha dovuto incontrare Lobanovksyi. “Il colonnello” fu subito pazzo del talento di Blochin. Adorava vedere nei calciatori delle perfette macchine atletiche.
Non a caso, quando qualche anno dopo si accorse che dinanzi alla sua “salita della morte”, un esercizio che prevedeva delle ripetute fino al vomito su una pendenza del 18%, Shevchenko non vomitò mai, lo elesse ad astro nascente del calcio. Senza venire assolutamente smentito. Lui cercò un compromesso col talento sconfinato di Blochin. Nonostante volesse una perfetta orchestra, basata sul collettivo, ad Oleg lasciava sempre quella parte di imprevedibilità, di anarchia ben indirizzata a far rendere la squadra al meglio. Il loro sodalizio fruttò alla Dinamo Kiev la fama di vera big del calcio europeo.
Erano periodi molto diversi dagli attuali: non c’era ancora la Legge Bosman e, in Unione Sovietica, era vietato per i calciatori lasciare il paese fino ai ventinove anni. Praticamente, date anche le modalità di allenamento più rudimentali, tutto il fiore della propria carriera doveva essere passato all’interno della lega di riferimento. Per questo Blochin ha partecipato alla genesi della grande Dinamo, alla sua massima epopea e poi al declino.
Blochin e la Dinamo, la Dinamo e Blokhin
Entrato nel settore giovanile a soli dieci anni, fa il suo esordio in prima squadra a 19 (nel 1971) e diventa subito titolare e capocannoniere di tutto il torneo nel 1972. A vent’anni appena compiuti, già quattordici gol. Mentre fa incetta di classifiche marcatori, per il primo campionato dovrà attendere un po’ di più. Nel 1974, al primo campionato intero sotto la guida di Lobanovskyi, c’è il primo trionfo della Dinamo Kiev targata Blochin. L’ucraino gioca una stagione incredibile da venti gol in ventinove presenze, cui abbina la vittoria nella Coppa nazionale. Ciò che porta quella Dinamo al calcio europeo è una vera rivoluzione copernicana. I calciatori erano diventati degli atleti a tutti gli effetti, la coralità e il collettivo erano diventate completamente centrali, scalzando l’idea delle squadre composte da undici individui. Una ghiotta occasione anche per la propaganda URSS e per il proprio modo di immaginare il sistema mondiale.
Se l’Aranycsapat ungherese degli anni ’50, era un esempio isolato di grande collettivo, la tendenza negli anni ’70 si era clamorosamente invertita. E anche con princìpi di gioco abbastanza diversi, i due più influenti tecnici che riuscirono a imporre il concetto di squadra a tutto tondo, furono Michels e Lobanovskyi. Eppure, anche in squadre così corali, come l’Ungheria degli anni 50, l’Ajax (e poi i Paesi Bassi) degli anni 70 c’era un calciatore in grado di spiccare, di raccogliere l’energia degli altri dieci, per dare quel tocco in più. Se nell’Ungheria era Ferenc Puskas e nell’Ajax era Johan Cruijff, per la Dinamo Kiev l’asso nel mazzo era senza dubbio Blochin.
Dopo il double del 1974, la Dinamo scrive la sua personale pagina di storia; la più lucente senza dubbio. Grazie ai colpi di Blochin in campo e alla dottrina lobanvskesca dalla panchina sarà la prima squadra sovietica in grado di affermarsi in campo europeo, dove nel 1975 vince la Coppa delle Coppe, all’epoca seconda coppa continentale per importanza. Proprio grazie a quella vittoria guadagna l’accesso alla Supercoppa Europea, da giocare in settembre contro il Bayern Monaco di Franz Beckenbauer, fresco vincitore della seconda Coppa dei Campioni consecutiva. Quelle due partite sono probabilmente le più famose di tutta la carriera del fuoriclasse ucraino. All’andata segna verosimilmente il suo gol più celebre, quello che ha prodotto la stima eterna del capitano tedesco, un gol paradigmatico delle infinite possibilità di Blochin con il pallone tra i piedi.
Recuperata palla sulla propria trequarti parte in solitaria con uno scatto fulminante portandosi l’avversario fino al limite dell’area di rigore. Sul vertice sinistro dell’area, viene raddoppiato verso l’interno, ma con un rapido destro-sinistro spezza il raddoppio, copre il pallone dall’arrivo di un altro difensore da destra e, dopo uno slalom, col sinistro infila Sepp Maier sul palo lontano. Un gol meraviglioso che decide la partita di andata. Non contento segnerà ben due volte anche al ritorno, conquistando la Supercoppa e quindi il Pallone d’Oro del 1975. Non sarà l’ultimo trionfo europeo per lui e la sua Dinamo che vinceranno un’altra Coppa delle Coppe a distanza di dieci anni battendo l’Atletico Madrid in finale, grazie anche ad un suo gol (insieme a quello di Zavarov, noto ai tifosi juventini, e Jevtusenko); ancora una volta sarà lui capocannoniere della manifestazione.
La nazionale
Parlare dell’Unione Sovietica come nazionale è quasi più difficile che parlarne come nazione. Nonostante l’enorme vastità del territorio e della popolazione, i sovietici hanno sempre raccolto risultati piuttosto magri nelle grandi manifestazioni. Anche quando nelle proprie fila militavano indiscussi fuoriclasse come Jašin o Netto, fatta eccezione per l’Europeo del 1960, la bacheca sovietica è sempre stata molto povera. Un vero spreco per quella che è stata una ideale “figurina” di tutto il post-dopo guerra. La maglia con la scritta CCCP ha rappresentato un simbolo di un mondo che ci sembrava lontanissimo e che solo la nazionale poteva permetterci di scrutare più da vicino.
Nonostante Blochin sia stato recordman di gol e presenze, anche la sua esperienza in nazionale non è stata ricca di successi. Due bronzi con le selezioni olimpiche, poco altro, anche per cause estranee a lui. Infatti nel 1974 il problema fu di carattere politico. A seguito del golpe di Pinochet e della destituzione del socialista Allende, l’URSS si rifiutò categoricamente di giocare lo spareggio contro il Cile, per andare ai Mondiali in Germania. Fu una delle pagine più buie del calcio. Andò in scena una vera e propria farsa, in cui il Cile scese in campo simbolicamente senza avversari segnando anche un gol.
Play-off Mundial'74 na Alemanha, a URSS emparelha com Chile. Selecção Soviética recusa-se jogar no estádio nacional de Santiago, onde foram presos e torturados milhares de democratas. A FIFA recusa o protesto, o Chile marca em baliza deserta. A URSS ficou fora, com toda a Honra. pic.twitter.com/9tXyuz2Szq
— Filipe 🇵🇸 (@FilipeBGuerra) June 29, 2018
Dal 1978 fino al 1986, invece, furono le lotte intestine tra i clan dei vari stati dell’Unione a condizionare gravemente l’andamento della nazionale. La grande competitività di Georgia e Armenia si rivelò un vero boomerang per i vari allenatore succedutisi. La spinta governativa centrale spingeva per una nazionale con predominanza russa, i risultati parlavano molto più ucraino e georgiano. Uno dei pochi indiscutibili per chiunque: governo, allenatori, compagni stessi era sempre Blochin. Nonostante gli anni con fortune alterne, lui sarà la più grande costante, come narrano i numeri che parlano di 112 presenze e 42 gol.
Il suo rimpianto più grande con la falce-e-martello sul petto rimarrà probabilmente il Mondiale 1986, dove l’Unione Sovietica, finalmente affidata alle sagge mani del suo mentore Lobanovskyi, mostra probabilmente il calcio più scintillante della manifestazione, venendo però eliminata dal Belgio in una partita che lascerà molte ombre dietro di sé. Purtroppo il fuoriclasse ucraino era al tramonto della carriera e la stella di quel Mondiale, per i sovietici fu Belanov, il secondo pallone d’oro oltremuro, anch’egli ucraino.
Del talento di Blochin resta tanto: iscrivere nel novero delle squadre migliori, di un decennio decisivo (per il calcio) come gli anni 70, una squadra del blocco sovietico è un’impresa di grandissimo spessore. La cortina di ferro nelle notti europee da lui giocate si dissolveva per far posto al suo accecante talento.