Giocare a calcio dentro una grande bolla? Non è solo il principio cardine di un gioco nato in Norvegia, ma è la “pazza idea” di Roberto De Zerbi. “Se si vuole portare a termine il campionato l’estrema soluzione è chiuderci in una bolla come l’NBA” queste le parole tecnico del Sassuolo in un’intervista a Radio DeeJay.
La Serie A non è immune al Coronavirus. I calciatori non sono supereroi con anticorpi speciali (passateci i termini poco scientifici): sono genitori, amici, parenti di altre persone, che a loro volta non hanno a disposizione superpoteri contro il virus. I casi di Covid-19 tra giocatori e membri dello staff di club nelle ultime settimane, nonostante l’ormai famosissimo protocollo e le risorse economiche messe a disposizione delle società per gestire la situazione di emergenza, sono incrementati proprio come la curva di contagi in tutta Italia, nella vita reale.
È davvero importante salvaguardare il campionato di calcio a tutti i costi per mera classifica? È davvero una pazza idea quella di chiudere tutti in una super bolla? Mesi e mesi in un Disney World italiana, con giocatori divisi per squadre in più hotel, costretti a tamponi quotidiani elaborati da laboratori privati e con il divieto assoluto di uscita, salvo che per seri motivi familiari?
Ci siamo ritrovati con un’economia a pezzi e, piaccia o no, il calcio è un’azienda. Certo, non è proprio come tutte le altre per il giro d’affari legato a sponsor e contratti faraonici, ma facciamoci un favore e andiamo oltre la critica futile senza fare paragoni con il nostro quotidiano: sarebbe alquanto stupido e del tutto inutile. L’azienda calcio come una qualunque altra azienda non può fallire, è fatta di persone come tutte le altre attività economiche. Vanno salvaguardati i dipendenti, la loro salute, il loro futuro e non solo i ricavi. E se per riuscirci serve una bolla… bolla sia.
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