Chi si ricorda gli addii al Barcellona di Xavi e Iniesta? Siamo abituati a vedere il Camp Nou stracolmo di gente in occasione dell’ultima partita di campioni del genere. Per Carles Puyol non è stato così. Era la stagione 2013/2014, quella del Tata Martino, e il centrale continuava ad avere problemi fisici. Giocò quelli che non sapeva essere i suoi ultimi novanta minuti in una serata di inizio marzo di fronte ad appena (si fa per dire) 58 mila spettatori, segnando anche un gol nel 4-1 all’Almeria.
Siamo lontani sette stagioni e una pandemia da quell’ultimo acuto, ma il Barça continua a sentire la mancanza di Puyol. È vero che trascinato da uno dei tridenti più forti della storia, quello formato da Messi, Suarez e Neymar, ha messo le mani sulla Champions League nel 2015, ma dopo quell’impresa è calato il buio più totale in campo europeo. L’opinione pubblica punta il dito contro la difesa: effettivamente, senza Tarzan, non è più la stessa cosa.
Puyol, dalle campagne al Camp Nou
La dedizione al lavoro è un valore che Puyol ha senz’altro ereditato dalla sua terra natale. La Pobla de Segur è un paesino catalano di circa 3000 anime, circondato da immense vallate e sovrastato dai Pirenei. Carles cresce a contatto con la natura nell’umile fattoria di famiglia. Aiuta ben volentieri suo padre nei campi, ma in testa ne ha un altro: è di 105 per 68 metri e lo calpestano i suoi più grandi idoli. Sogna quel Camp Nou che prima o poi canterà il suo nome. All’epoca, però, cantava quelli di Gullit e Laudrup e così lui corre al campo comunale insieme all’amico d’infanzia Javier e gioca fingendosi l’olandese. Che poi, almeno per quanto riguarda la folta chioma, il paragone è credibile.
Più che Gullit, però, assomiglia a un piccolo Tarzan. Quei ricci lunghi fino alle spalle, come li portava anche il protagonista del suo cartone animato preferito, sono da sempre stati il suo tratto distintivo. C’è chi dice li abbia tagliati una sola volta, nel 1995, in occasione del provino col Barça. I signori Puyol non erano molto fiduciosi: credevano che non si potesse vivere di solo calcio e che, se Carles avesse voluto allontanarsi dal mondo dell’agricoltura, l’unica via percorribile fosse quella dello studio. In effetti, perché mai il grandioso Futbol Club Barcelona dovrebbe puntare su un ragazzino di un paesino sperduto sui Pirenei? Semplicemente perché i suoi osservatori non avevano mai visto nessuno metterci così tanto impegno. Saluta casa e si trasferisce. La Masia lo aspetta.
Nella squadra di La Pobla de Segur, Puyol aveva iniziato a giocare come portiere, ma a causa di un infortunio alla spalla si ritrovò catapultato sul fronte opposto a fare l’attaccante. Nelle giovanili blaugrana viene convertito in centrocampista difensivo, ruolo in cui diventa un giocatore roccioso. Poi, quando il Camp Nou sembra avvicinarsi a grandi falcate, il Barcellona intavola una trattativa per cederlo al Malaga. Chissà come sarebbe andata se Louis van Gaal non si fosse opposto al trasferimento.
Non vendete il ragazzo, lo voglio con me in prima squadra.
Il 2 ottobre 1999 è il giorno del suo esordio. Al 55′ di Real Valladolid-Barcellona, il tecnico olandese stupisce tutti e lo fa entrare da terzino destro. È vero che i giovani sono fogli bianchi su cui scrivere un destino, ma con questo ennesimo cambio di posizione c’era il rischio di destabilizzarlo. Nulla di tutto ciò. Passando di liana in liana, il Tarzan dei Pirenei si è lanciato con successo nel fútbol che conta.
Carles ha realizzato il sogno di giocare per la sua squadra del cuore, ma il suo percorso è appena iniziato. Nella stagione 2000/2001 vince il Don Balón come giocatore rivelazione del campionato. Nel 2003 firma un prolungamento del contratto, che fissa il prezzo del suo cartellino a 180 milioni di euro e lo rende uno dei più pagati in rosa. Un anno più tardi, viene eletto dallo spogliatoio capitano della squadra. Ora non restava che sollevare trofei, o farli sollevare a qualcun altro.
Non ho la tecnica di Romário, la velocità di Marc Overmars o la forza di Patrick Kluivert. Se sono arrivato così in alto è perché lavoro di più rispetto agli altri. Sono come lo studente che non è tanto intelligente, ma si applica e ottiene buoni risultati grazie all’impegno e alla dedizione che ci mette.
In Spagna, in Europa e nel mondo: ovunque, Puyol
Casualità, da quando Puyol si cinge il braccio destro con la bandiera catalana, il Barcellona ritrova la via del successo. 24 trofei in dieci anni di capitanato, per una media di 2,4 a stagione che nessun’altro club in Europa ha saputo eguagliare in quel periodo. La chiave di queste vittorie? L’abnegazione. Perché sarebbe stato facile iniziare a pensare solo alla fama personale, finendo per montarsi la testa. Eppure le sue radici sono forti e i suoi principi inscalfibili: prima viene la squadra, poi tutto il resto. È stato un vero leader al servizio del mondo blaugrana. E alla fine i suoi sacrifici sono stati ripagati. Esemplare, a riguardo, è la sentenza dell’ex milanista Franco Baresi:
Puyol mette la faccia dove qualcuno avrebbe paura a mettere il piede.
Potremmo dire che Carles Puyol è una doppia bandiera: catalana, per tutto quello che ha rappresentato per il Barça, e spagnola, per aver fatto parte della Roja più forte di sempre. Con la nazionale non ha l’onore di essere capitano (la fascia spetta a Iker Casillas), ma questo non gli impedisce di diventare un punto fermo della rosa e, soprattutto, di quel quartetto difensivo che in Spagna si ricordano a memoria come fosse una filastrocca: Capdevila, Puyol, Marchena, Sergio Ramos. Era la garanzia del CT Luis Aragonés, un blocco che non ha incassato nemmeno un gol nella fase a eliminazione diretta di EURO 2008.
A sottolineare ancor di più l’impresa, è l’aver fermato la corazzata Germania, a secco nella finalissima di Vienna dopo averne fatti tre sia al Portogallo ai quarti che alla Turchia in semifinale. Tarzan si occupa personalmente di Klose, poi del suo sostituto Mario Gomez. Triplice fischio. A quasi un lustro di distanza dall’ultimo e unico titolo della loro storia, gli spagnoli tornano a gioire.
E quella gioia diventa ancora più grande quando nel 2010 si laureano campioni per la prima volta ad una Coppa del Mondo. In panchina c’è Vicente del Bosque. L’ex allenatore del Real Madrid schiera la difesa che si è conquistata l’Eurocopa fatta eccezione per Carlos Marchena, sostituito da Gerard Piqué. Se quest’ultimo è titolare in questa Spagna, parte del merito va riconosciuta proprio a Puyol, partner e chioccia anche a Barcellona.
Giocare al fianco di Carles è un lusso. Mi rimprovera al minimo errore anche se siamo agli sgoccioli di una partita che stiamo vincendo 5-0. È un esempio, non solo per me.
Nella notte più importante per la Roja, basta la rete di Iniesta nei tempi supplementari per piegare l’Olanda; ma chi si ricorda com’era arrivata la qualificazione a quell’ultimo atto? È il minuto 72 della semifinale tra Spagna e Germania, il remake della finale europea di due anni prima, e va in scena il Puyolazo: Xavi pennella dalla bandierina, Puyol sale in cielo e trova un’incornata potentissima e soprattutto vincente. Ecco la sua firma sul Mondiale sudafricano.
Difendere in campo, fare gol nella vita
Far sollevare i trofei a qualcun altro, dicevamo.
Carles Puyol non è stato solo uno dei capitani più vincenti della storia del Barcellona, ma anche uno dei più amati. Dalle parti del Camp Nou dicono “més que un capitan“. Sportivo, umile e con un cuore grandissimo. Parliamo di uno che se la prende con i compagni se festeggiano senza portare rispetto all’avversario, che difende nella folla il rivale che l’ha appena colpito vigliaccamente e che toglie dalle mani di Piqué l’accendino che i tifosi madridisti hanno gettato in campo prima ancora che l’arbitro lo possa vedere e fermare El Clásico.
Tutti si ricorderanno di quella volta che, in occasione del Trofeo Gamper 2010, chiamò Ronaldinho per unirsi alla foto di rito del Barça, nonostante si fosse trasferito al Milan. Non c’era di mezzo solo la grande amicizia che era nata negli anni precedenti, ma anche il rapporto speciale tra Dinho e il club blaugrana. Un gesto tanto inaspettato quanto quello che segue il triplice fischio, con Puyol che ritira la coppa appena vinta e la cede al milanista tra gli applausi del pubblico.
Nove mesi più tardi, si fa nuovamente da parte, ma questa volta la causa è di tutt’altro spessore. Il 15 marzo 2011 era stato diagnosticato un tumore al fegato al suo compagno di squadra Eric Abidal. Grazie all’intervento tempestivo dei medici, il francese torna in campo in tempi record e contribuisce alla conquista della Liga e della Champions League. Al momento della premiazione dopo la finale di Wembley, Puyol si sveste della fascia di capitano e manda avanti Eric.
Mi ha detto di indossare la sua fascia e di andare ad alzare il trofeo, che me lo meritavo. Ha detto di averne parlato con il resto della squadra e con Guardiola, tutti erano d’accordo con lui. In un primo momento ho detto di no, poi mi sono convinto. Non dimenticherò mai quel momento.
Accompagna il francese in tribuna d’onore, poi si defila e scompare dall’inquadratura. Noi non lo vediamo, ma Puyol è sempre lì. È il Barcellona. È il calcio che vogliamo e che lui ha amato.