La cittadina cilena di La Cisterna e quella palestinese di Ramallah distano più di 13.000 chilometri: da una parte, un sobborgo di una capitale un tempo fiore all’occhiello di tutto il Sud America, dall’altra una città sui monti della Giudea, spesso terra di conflitti mai realmente terminati. Ciò che divide i due agglomerati sono 19 ore di volo, numerosi scali e differenti contesti socio-economici, culturali e politici. Nonostante tali differenze, La Cisterna e Ramallah costituiscono la base di una delle compagini più uniche, e talvolta controverse, di tutto il panorama calcistico mondiale: il Club Deportivo Palestino. Una società nata sì in Cile, ma con un legame che da più di 80 anni si stringe attorno alla sua terra d’origine, la Palestina. Diventando, nel corso del tempo, la rappresentazione massima di una cultura e di un’appartenenza etnica che ne fanno uno dei club più tifati nel mondo arabo.
La fondazione del Palestino
La società sportiva Palestino fu fondata intorno al 1920 da un gruppo di immigrati palestinesi giunti a Santiago. Negli anni del primo conflitto mondiale, dopo anni di tolleranza fra religioni, i cristiani ortodossi furono brutalmente repressi da parte dell’impero ottomano, di religione musulmana. Molti giovani decisero quindi di emigrare, partendo dalle coste di Haifa, in Israele, per cercare fortuna dall’altra parte del globo. Sebbene avessero scelto l’Argentina come primo porto sicuro, l’elevato numero di immigrati provenienti dall’Europa portò la comunità araba a spostarsi verso il Cile.
Quella cilena resta, ad oggi, la più vasta comunità al di fuori del mondo arabo. Inizialmente focalizzato sul tennis, il Club Deportivo Palestino divenne istituzione calcistica ufficiale negli anni cinquanta, ad Osorno: nella cittadina della regione dei laghi, nella parte meridionale del paese, ai confini con le terre argentine di Chubut e Rio Negro, si disputavano le olimpiadi palestinesi. Si trattava di un torneo tra compagini di discendenza araba, assieme al Club Deportivo Sirio ed al Frente Unido de La Juventud Chilena de Ascendencia Árabe. Le ottime prestazioni del torneo, vinto proprio dal Palestino, portarono la piccola compagine ad entrare nel mondo del professionismo: nel 1952, il Club Deportivo Palestino fece il suo ingresso nell’Asociación Central de Fútbol, partendo dalla neonata Segunda Division.
L’intrinseco rapporto tra Cile e Palestina
Nonostante l’evidente distanza geografica, il Club Deportivo Palestino ha tutt’oggi un legame fortissimo con la Palestina ed i suoi fondatori: i tifosi che a Santiago riempiono lo stadio sono spesso cileni figli di immigrati di terza o quarta generazione. Attraverso l’identificazione con il club e con i suoi colori, tanti ragazzi hanno avuto l’opportunità di conoscere la cultura dei loro avi, diventando fieri del melting pot tra mondo arabo e sudamericano che gli aveva dato la luce.
Chi un tempo aveva rinnegato le proprie origini o le aveva semplicemente ignorate, ha poi compreso l’importanza di quello che gli antenati avevano saputo costruire: il Palestino era inizialmente un gruppo di giovani spaesati e lontani dalla propria terra natìa, che “attraverso lo sport aveva potuto integrarsi e ridurre le distanze con il popolo che li aveva accolti”, come afferma lo studioso Eugenio Chahuan. I nuovi tifosi altro non sono che l’espressione moderna di quelli che un tempo erano gli atleti del club, quelli che possedevano cognomi di discendenza araba.
Dall’altra parte del globo, la squadra cilena si è convertita in una sorta di compagine nazionale: non sono rari i locali che a Ramallah trasmettono le partite della squadra, con numerosi cittadini che li affollano per tifare il Tino-Tino e sperare che i Baisanos, come si fanno chiamare i calciatori del Palestino, gli regalino una vittoria. “So di palestinesi che nel 2018, in occasione della finale di coppa, si organizzarono nelle sale da cinema per vedere la partita”, racconta il tifoso Carlos Medina. Anche tra gli addetti ai lavori, nel mondo del calcio non mancano i messaggi di appoggio e solidarietà verso la squadra, a prescindere dai risultati sportivi da essa ottenuti.
Gli equilibri tra calcio e politica
Il legame tra il Cile e la Palestina ha fondamenti sociali, ma anche economici: la sponsorizzazione della banca di Palestina sulle divise e le visite ufficiali che il club cileno e le autorità palestinesi si scambiano da anni, dimostrano la volontà di sentirsi legati l’un l’altro. In questo scenario, risulta sempre molto complesso non mischiare l’emisfero sportivo con quello politico che riguarda la Palestina ed il conflitto arabo-israeliano.
Dal canto suo però, il Club Deportivo Palestino ha sempre combattuto per l’essenza di una squadra che trascende l’ambito geopolitico. Sui canali social, l’intento della società è quello di diffondere la cultura araba in maniera liberale e distensiva nei confronti di tutti. Non sono però mancate le controversie, come nel 2014: nelle divise ufficiali, il numero uno era stato sostituito con la forma del territorio palestinese prima del 1946. Il gesto, reputato una provocazione dalle autorità israeliane, costò una multa alla società, che non utilizzò quei numeri in partite ufficiali.
L’eco della notizia, però, fu talmente forte da diventare una sorta di sponsor per il club cileno, che fu conosciuto in tutto il mondo. Ad oggi, per varie ragioni, la maglia del Palestino è diventata un oggetto cult, non solo in Cile o nelle comunità d’origine araba. Tra i calciatori invece, vi è solo un precedente sui generis: quello di Cristian Fabbiani, ex calciatore argentino, che a cavallo tra 2005 e 2006 militò per il Palestino prima e per il Beitar Gerusalemme poi.
I trionfi sul campo del Palestino
Dopo i trionfi negli anni settanta, il Palestino ha sofferto un lungo periodo di assenza dai palcoscenici più importanti del paese. Nonostante abbia rappresentato il trampolino di lancio per Manuel Pellegrini da allenatore, il Tricolor è tornato in auge nella finale di Copa Chile 2014/2015, giungendo sino alla finale persa poi contro il Club Deportivo Universidad de Concepción.
Si tratta di un vero e proprio momento di splendore: dal 2015, tranne nel 2018, la squadra è qualificata alle competizioni continentali, togliendosi la soddisfazione di raggiungere la fase a gironi della Copa Libertadores 2019. Senza dimenticare la Copa Chile 2018, vinta ai danni di un colosso cileno come il Colo-Colo.
La rinascita della squadra passa forzatamente dai piedi di uno dei suoi massimi idoli: si tratta di Luis Antonio Jiménez Garcés, uscito dal centro di formazione del club nel 2001 e consacratosi in Europa, prevalentemente in Italia. Dopo aver vestito le maglie di Ternana, Fiorentina, Lazio, Inter, Parma e Cesena, e con trascorsi tra Premier League e Qatar, il nativo di Santiago ha deciso di ricaricarsi sulle spalle la squadra.
La sua presenza ed il suo carisma hanno permesso alla squadra di crescere sportivamente: i giovani hanno avuto la fiducia e la tranquillità per esprimersi al massimo, mentre Jiménez ha continuato ad illuminare con le sue giocate. I suoi numeri hanno contribuito alla gran rimonta nel tramo finale del campionato, quella che ha permesso al Palestino di qualificarsi per la Copa Sudamericana. Nel primo turno preliminare, ai Baisanos è toccato affrontare i connazionali del Cobresal: dopo lo 0-0 dell’andata a El Salvador, il ritorno del 9 aprile a La Cisterna sarà fondamentale per il cammino continentale della squadra.
A prescindere dai risultati sportivi che il Club Deportivo Palestino sarà in grado di ottenere, la responsabilità del messaggio che la società diffonde da anni rende questo club uno dei più particolari al mondo: tramite il calcio, il Palestino ha rotto barriere e pregiudizi, permettendo ad una cultura di farsi spazio per essere conosciuta e per ritrovare fierezza ed identità nonostante la distanza. Senza intralciare l’altro, ma unendosi per integrarsi: forse dalle parti del Municipal de La Cisterna, coesistere pacificamente non è utopia.