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Manchester City, episodio 2: Come si diventa grandi

La storia vincente del Manchester City è sostanzialmente recente e dietro di sé ha personaggi con un background poco trasparente. Tuttavia, se riusciamo a tapparci il naso davanti all’odore del petrolio possiamo provare ad apprezzare i tanti grandi nomi che ci ha dato.

Gli inizi

Uno dei primi nomi, e forse il più grande, è quello del Kun Agüero, che nella storia del City ci è entrato dalla porta principale come acquisto più importante della loro storia, almeno fino a quel momento. Miglior marcatore di sempre – 260 gol in 390 partite – e autore di un gol che della storia di questo club ha rappresentato il primo vero turning point.

There’s still hope…

93:20 sono quattro cifre che segnano un prima e un dopo nella storia del Manchester City: il gol di Agüero contro il QPR porta i noisy neighbours a strappare un titolo dalle mani dello United e dà inizio a uno dei cicli vincenti più importanti dell’era Premier League.

Circa un anno dopo il titolo arriva un reality check pesantissimo per il City. Il Manchester United si riprende il titolo; ciò che però rende tragica la stagione è il gol di Ben Watson che darà al Wigan una FA Cup totalmente inattesa. La finale di Wembley sarà l’ultima partita di Roberto Mancini con il Manchester City.

La scelta a questo punto ricade sull’ingegnere Manuel Pellegrini. La sua stagione di debutto è complicata e si scontra con quella del ritorno di Mourinho al Chelsea ma, soprattutto, con un onnipotente Luis Suarez. Le premesse non sono delle migliori ma il crollo sul traguardo del Liverpool, suggellato dalla scivolata di Gerrard, regala il secondo titolo ai Citizens.

Aguero contro il QPR
Un secondo prima del 93:20 (Foto: Peter Byrne/Imago Images – OneFootball)

Criticità

Se il gol di Agüero è il primo momento spartiacque della storia, il secondo è il 1° febbraio del 2016, quando il sito ufficiale del Manchester City va letteralmente in crash all’annuncio di Pep Guardiola come nuovo allenatore. In neanche un decennio il City arriva ad avere sulla sua panchina uno dei migliori tecnici del XXI secolo.

L’arrivo di Pep Guardiola a Manchester è accompagnato da una serie di osservazioni, sollevate principalmente dai media inglesi, secondo cui il suo gioco fosse incompatibile con la Premier League; tra i tanti, il commento di Stan Collymore ha un che di profetico:

Non dico che non sia bravo – ovviamente lo è; ma se pensa di dominare chiunque in Premier League e crede che squadre come Watford, Leicester, Bournemouth, Southampton e Crystal Palace gli lasceranno tenere la palla per il 90% del tempo, facendosi fare i disegni intorno allora è un illuso. […] E se pensa che non sia necessario allenare i contrasti o gli uno-contro-uno allora se ne tornerà in Spagna con la coda tra le gambe.

Il primo anno di Guardiola a Manchester non lo aiuta a rispondere alle critiche e l’impatto con il contesto verticale della Premier League si fa sentire. Nell 4-0 che il City subisce a Goodison Park si vedono tutti i problemi di questa squadra: un mix di difese disallineate, transizioni difensive non assorbite, possesso sterile ed errori in costruzione che non fanno sembrare il City una squadra di Guardiola.

Nel corso della stagione Guardiola propone un numero incredibile di formazioni diverse, svariando senza soluzione di continuità tra difesa a tre e a quattro, talvolta inserendo due punte. Che ci fosse confusione era evidente e a risentirne è anche la lucidità dei giocatori; didascalico è il match dell’Etihad contro il Chelsea di Conte. Il City va avanti e domina, ma incassato il pareggio di Diego Costa si scioglie come neve al sole, prende il secondo e il terzo in transizione – con i difensori piazzati alla rinfusa e costretti a rincorse improbabili – e nel finale cede anche alla frustrazione con i rossi ad Agüero e Fernandinho.

La prima stagione di Pep a Manchester si chiude male, senza trofei – per la prima volta nella sua carriera – e con tanti dubbi sulle sue capacità manageriali. Probabilmente le critiche ricevute hanno avuto un loro peso, tanto che lui stesso arriverà a rispondere a monosillabi nelle interviste in quella stagione.

Conte e Guardiola a bordocampo durante Manchester City - Chelsea
La sconfitta contro il Chelsea fu forse la più significativa di quella stagione (Foto: John Peter Fletcher/Imago Images – OneFootball)

La maturazione del Manchester City

L’estate 2017 è il primo turning point della storia di Guardiola a Manchester: dal mercato arrivano grandi nomi come Walker, Bernardo Silva e Ederson. Tutti questi diventeranno uomini chiave per la squadra di Guardiola.

L’evoluzione tattica di Guardiola giunge a un suo primo compimento nella prima parte della stagione. Pep dà forma a un 4-3-3 le cui mezze ali si muovono in direzioni opposte: una si abbassa a ricevere mentre l’altra si muove verso la zona di rifinitura. In questo sistema la presenza di giocatori come Gündogan, Bernardo, David Silva e De Bruyne che riescono indifferentemente ad assolvere entrambi i compiti è cruciale. Questa evoluzione, abbinata alla presenza di esterni con doti atletiche di primissimo piano, porta a riempire l’area in maniera costante e continua.

Il City in poche parole trova una maggiore verticalità e soprattutto trova tanti gol: 106 in una stagione, ventotto in più rispetto a quella precedente. Il titolo per la terza volta va nella parte blu di Manchester e lo fa al termine di una stagione dominata dall’inizio alla fine.

Il Manchester City di Guardiola ha finito per scontrarsi sempre con due grandi muri: uno è il Liverpool e l’altro è la Champions League. Il quarto di finale dell’edizione 2017/18 unisce queste due cose. La sfida di Anfield è un trionfo per la squadra di Klopp, la cui riaggressione mostra tutti i limiti del Manchester City.

La stagione seguente del Manchester City si muove sugli stessi binari ma trovando nel Liverpool, ormai giunto alla sua perfetta maturazione, una rivale formidabile. Grazie al cambio di regolamento, Guardiola apporterà un’ulteriore modifica spingendo i suoi giocatori a ricevere direttamente in area sui rinvii. La lotta per il titolo sembra inizialmente andare a favore dei Reds ma lo scontro diretto dell’Etihad di gennaio inverte l’inerzia della stagione e alla fine i Citizens potranno festeggiare il loro quarto titolo in sette anni. Dopo i 100 dell’anno prima i punti saranno 98, uno solo in più di quelli totalizzati dal Liverpool. Ancora una volta però arriva una brutta eliminazione in Champions League, stavolta contro un Tottenham nettamente inferiore.

Llorente segna il gol che condanna il Manchester City
Il gol di Llorente è ancora una ferita aperta nel cuore dei tifosi Ciitizens (Foto: Matt Wilkinson/Imago Images – OneFootball)

Crisi

Un ulteriore turning point, per la prima volta negativo, arriva con la stagione 2019/20 ed è rappresentato dal crollo fisico di Agüero. In un colpo solo la squadra si trova spuntata e l’inserimento di Gabriel Jesus in pianta stabile non risolve il problema. La stagione è funestata dagli infortuni oltre che dallo stop per la pandemia e a vincere sarà il Liverpool, dominate come non mai. Neanche la Champions League sarà di conforto: sul neutro di Lisbona Guardiola propone un inedito 3-4-2-1, portando Fernandinho sul centro-destra della difesa e togliendo certezze alla squadra; le occasioni arrivano ma due erroracci di Sterling e Gabriel Jesus costano un’altra eliminazione.

Nel corso della sua avventura a Manchester, Guardiola ha visto finire le sue avventure in Champions League in modi diversi ma con un tratto comune tra loro. Nei momenti di difficoltà il City tende a perdere la testa e dove anche un errore individuale può trasformarsi in catastrofe. Emblematico è il secondo gol di Son in Manchester City-Tottenham; Walker è concentrato sul pallone e dietro di lui il coreano riceve e calcia senza opposizione.

Perfezionamento

Siamo arrivati all’ultimo turning point, quello che porta il Manchester City alla compiutezza. L’inizio della stagione 2020/21 è terribile e il tonfo casalingo contro il Leicester porta alla luce un enorme problema: il Manchester City non è fatto per giocare in verticale. Le Foxes, e soprattutto Vardy, banchettano in transizione e per Guardiola inizia un ultimo processo di crescita e raffinazione della squadra. Pep stesso lo spiegherà alla perfezione dopo la partita contro il Newcastle del dicembre 2020:

Il nostro calcio deve essere giocato al nostro ritmo; non possiamo andare su e giù per il campo, dobbiamo giocare al nostro ritmo di un miliardo di passaggi fatti al momento giusto.

Che la versione verticale del City non gli piacesse più di tanto era abbastanza prevedibile. La squadra deve poter palleggiare tanto e bene, deve farlo dove serve e il pallone deve arrivare in zona di rifinitura bene. Da lì in poi sarà la qualità dei singoli a incidere e avere giocatori come De Bruyne, Mahrez e Foden è garanzia di successo. Il cambio è uno, semplice ma al tempo stesso fondamentale, e ha le fattezze di Joao Cancelo; Guardiola lo inserisce sulla sinistra per svolgere il lavoro di falso terzino che prima di lui avevano fatto Zinchenko e Delph.

De Bruyne, Foden e Mahrez in azione con il Manchester City
Portare avanti una certa idea di gioco senza determinati giocatori sarebbe impossibile (Foto: Clive Brunskill/Imago Images – OneFootball)

Con questo cambio il City trova una maggiore capacità di resistere alle transizioni difensive e una maggiore rapidità nel portare il pallone dentro il campo. Questi vantaggi sono tipici del meccanismo del falso terzino, ma Cancelo è diverso: entrando nel campo il portoghese non solo apre spazi ma li occupa a sua volta, diventando un giocatore che può partecipare alla definizione dell’azione anche nel terzo finale del campo. Lo stesso Cancelo riconoscerà a Guardiola i meriti nella sua crescita:

È un ruolo totalmente diverso e devo tutti i meriti a Guardiola per averci pensato e avermi aiutato a crescere in una posizione diversa. Mi sento un giocatore più completo tecnicamente e tatticamente.

Questo aggiustamento, presentato per la prima volta a dicembre 2020 nel Derby contro lo United, ha portato il Manchester City alla sua migliore espressione. In un colpo solo Guardiola trasforma una squadra quasi meccanica in una più organica, con un possesso fluido e costante. Il City è in grado di avvolgere la squadra avversaria fino a trovare il guizzo giusto per attaccare la porta. Mai nei suoi cinque anni a Manchester, Guardiola aveva potuto schierare una squadra che rispecchiasse in maniera così bella ed efficace le sue idee. La Premier League per la quinta volta prende la via dell’Etihad; in dieci anni nessuna squadra è riuscita a vincere quanto il Manchester City.

Il City trova una dimensione in cui sa bene cosa fare con e senza il pallone. I giocatori hanno le idee chiare e anche in Champions arriva una continuità inaspettata. I giocatori vanno in campo sapendo che giocando così possono risolvere ogni problema.

Porto, il dramma del Manchester City

Un Manchester City apparentemente privo di vizi conquista per la prima volta la finale di Champions League ma davanti al Chelsea si scioglie, per l’ennesima volta, vittima della pressione e, ancora una volta, di alcune scelte inedite del suo allenatore.

Per la prima volta in stagione Guardiola propone Gündogan davanti alla difesa, rinunciando sia al suo miglior palleggiatore Rodri che del suo sostituito Fernandinho. Il Manchester City non riuscirà a costruire un palleggio pulito; al tempo stesso il pressing del Chelsea intasa le linee di passaggio impedendo ai giocatori di Guardiola di portare il pallone nella fascia centrale del campo. Il risultato è un solo tiro in porta, per giunta defilato, in novanta minuti al termine dei quali il solo gol di Havertz darà la coppa ai Blues. Il sogno della Champions League va in frantumi a un passo dal traguardo.

Havertz in fuga durante la finale tra Manchester City e Chelsea
Fuga per la vittoria (Foto: MB Media/Imago Images – OneFootball)

Il concetto di overthinking di Guardiola si riassume in queste, talvolta piccole, modifiche proposte ad hoc per determinate partite, in genere di Champions League. Queste dinamiche non sono nuove per Pep; tuttavia, nella finale contro il Chelsea, i cambi proposti hanno minato pesantemente gli equilibri strutturali accuratamente costruiti sulla sua rosa. Col senno di poi diventa semplice criticare certe scelte ma va sempre dato atto a Guardiola che queste sono spesso state vincenti e funzionali alla crescita della sua squadra nel corso degli anni.

La finale di Porto è stata, tra le altre cose, l’ultima partita di Agüero dopo dieci anni incredibili a Manchester. Il Kun ha vissuto, nel corso della sua carriera in Inghilterra, tutta l’ascesa del City e per questa nuova stagione, che sarà quella dei dieci anni dal primo titolo, il club ha deciso di ricordare il suo gol al QPR inserendo quelle quattro cifre, 93:20, nel colletto della nuova maglia, con il 10 in evidenza come tributo a chi, di questa squadra, ha cambiato totalmente la storia.

Il futuro del Manchester City

L’addio di Agüero ha sancito la fine del nucleo storico del Manchester City, di fatto inaugurando – più a livello simbolico che reale – un nuovo ciclo.

Nel corso della scorsa stagione Pep Guardiola ha confermato la capacità di poter insistere con una squadra priva di centravanti. A riempire l’area sono gli inserimenti a turno di Gündogan, Foden e De Bruyne e contro i blocchi bassi si può contare su giocatori fantastici in isolamento come Mahrez e, da quest’anno, Jack Grealish. Che Guardiola potesse volere anche altro lo fa supporre la trattativa, mai decollata, per Harry Kane, il quale avrebbe potuto completare il sistema di Pep una volta per tutte.

Kane non è arrivato e perciò Guardiola ha deciso di provare a risolvere la situazione da sé. Uno dei cambi tattici più interessanti ha riguardato Gabriel Jesus, portato a muoversi sul lato destro dell’attacco, dando a Ferran Torres il ruolo di centravanti; questa evoluzione era abbastanza inevitabile visto che da un lato il brasiliano ha sempre faticato a segnare con continuità – secondo alcuni reporter di Manchester è stato addirittura lo stesso Gabriel Jesus a spingere per il cambio di posizione – e dall’altro lo spagnolo si è dimostrato molto più efficiente sotto porta di quanto previsto.

A contorno di queste considerazioni è comunque opportuno dire che le scelte di Guardiola sono anche figlie delle assenze. Ciononostante, non è da escludere che siano anche state condizionate della volontà di proporre soluzioni alternative a quelle già viste nella scorsa stagione. Inoltre, nel parlare di Guardiola bisogna sempre ricordare che la sua qualità più grande è sempre quella di evolvere costantemente implementando sempre novità, anche impercettibili, che portano le sue squadre a essere sempre un passo avanti rispetto agli altri.

Autore

Nasce a Roma nel 1999. Tifoso di Roma e Arsenal, dal 2015 scrive di calcio inglese e dal 2022 ne parla anche. È fan dei calzettoni bassi, delle punizioni sopra la barriera e dei falsi terzini.

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