Nonostante la Copa America 2021 non fosse iniziata nel migliore dei modi, tra organizzazione last minute traslatasi da Argentina e Colombia a Brasile a causa della situazione sanitaria e socio-politica dei due Paesi, e timori legati ai casi di Covid-19 all’interno degli staff tecnici e dei membri dell’organizzazione nei primi due giorni della manifestazione, la massima competizione sudamericana ha saputo mantenere misticismo, storicità, leggende e peculiarità con il classico tocco di colore e calore dei popoli che vi partecipano.
Il tutto nonostante le strutture utilizzate, ovvero le stesse che nel 2019 erano gremite per la competizione precedente tra Brasilia, Goiania e la capitale Rio, siano state praticamente vuote sino alla finale di sabato scorso. Ma cosa ci lascia questa Copa America e quali sono i frammenti e le fasi salienti da ricordare, quelle che rimarranno nella storia e nella leggenda di una competizione che fu una maledizione per tanti talenti ma che oggi vanta in Lionel Messi uno dei suoi vincitori più illustri?
Il percorso vincente della “Scaloneta”
Nonostante i molti tentennamenti lungo il cammino, soprattutto dal punto di vista delle idee che la Nazionale argentina metteva in campo, la federazione Albiceleste fu chiara sin dalla scorsa Copa America: il gruppo sarebbe stato guidato, quantomeno fino al Mondiale 2022, da Lionel Scaloni. L’altro Lionel non era stato risparmiato dalla critica, tacciato di aver approfittato dell’esonero di Jorge Sampaoli mentre era il suo vice per sedersi su una panchina da sempre complicata per chiunque come quella della Nazionale, senza alcun tipo di esperienza pregressa.
In questo senso, la fortuna di Scaloni è stata proprio quella di chiudersi a riccio nel suo lavoro ad Ezeiza, sfruttando uno staff di colonne portanti come Pablito Aimar o Walter Samuel per fare da scudo ai suoi calciatori, scelti e selezionati con cura da qualsiasi angolo d’Europa e molto spesso rivelatisi delle vere e proprie scommesse sorprendenti. Mentre la critica si divideva tra scalonisti e anti-Scaloni, la nazionale argentina acquisiva in patria l’appellativo di “Scaloneta”, immedesimandosi nel fatto di essere, per nomi e scelte, nel bene e nel male, un corpo costituito dal suo allenatore. Un corpo formato dalla vecchia guardia guidata da Messi e da tanti giovani in rampa di lancio che vedevano in Leo l’esempio più puro da seguire per raggiungere dei risultati. Tra di loro, spicca sicuramente la figura di Rodrigo De Paul, l’uomo più importante per l’allenatore, fiero scudiero e amico inseparabile della Pulce e motorino inarrestabile del centrocampo argentino.
Il percorso che ha portato alla vittoria del Maracanà contro il Brasile non è stato però rose e fiori sin dall’inizio. Seppur l’alchimia di gruppo fosse già capibile attraverso i canali social della Nazionale, il pareggio iniziale con il Cile e due vittorie sofferte con Uruguay e Paraguay non permettevano di capire quale fossero le reali intenzioni dell’Argentina. Mentre i cambi e gli avvicendamenti tra una partita e l’altra erano tanti, con calciatori che si ritrovavano dal campo alla tribuna a seconda delle scelte e delle partite, la Nazionale alternava inizi fulminanti, con reti decisive spesso nei primi dieci minuti, ad ampi sprazzi di confusione ed apatia, in cui però gli avversari non riuscivano quasi mai ad incidere.
Da sempre appassionato di motori, Scaloni sapeva che per arrivare sino alla fine bisognava gestire le forze e capire quali fossero i momenti decisivi per essere contundenti. Con idee ed organizzazione di gioco che hanno portato, seppur con qualche brivido, alla qualificazione in finale superando l’Ecuador ai quarti e la Colombia in semifinale, con i rigori nella partita più dura del torneo per gli argentini. Trasformando poi la finale in una partita semplice, frutto della tattica di Scaloni e dei suoi, capaci di bloccare un Brasile mai davvero pericoloso nell’arco dei 90 minuti nel matchpoint casalinga. Uno schiaffo morale a chi non credeva nella “Scaloneta”.
Le sorprese Diaz e Lapadula
Se l’Argentina ha rappresentato il miglior gruppo per intenti e capacità di essere decisivi nei momenti salienti della competizione, ci sono dei calciatori che si sono distinti per quanto fatto vedere in Brasile. Il colombiano Luis Díaz, esterno classe 1997 del Porto, ha dimostrato di avere tutte le carte in regola per poter ambire ad un salto di qualità ancora maggiore. Si è trattato infatti del miglior giocatore della Nazionale colombiana, capace di marcare 4 gol in 5 partite e di essere sempre decisivo grazie alle sue doti balistiche e di dribbling.
Quest’ultima lo rende uno dei pochi sudamericani “gambeteador”, capace di saltare due o tre uomini con una facilità disarmante e con magie per palati fini: vedere per credere il tiro da fuori in pieno recupero che ha permesso alla Nazionale di Reinaldo Rueda di piazzarsi al terzo posto. La sorpresa assoluta del torneo che potrebbe presto far gola a tantissimi club europei di cartello.
Il fatto che nella notte italiana di venerdì in Perù nascesse un bimbo chiamato “Lapadula” sta a dimostrare quanto il nativo di Torino sia entrato sin da subito nei cuori dei tifosi della Blanquirroja in questa Copa America. Sin dalle prime apparizioni in maglia peruviana, Gianluca Lapadula ha messo in campo tutta la voglia di far parte del gruppo di Ricardo Gareca, che lo cercava e corteggiava sin dal 2015. Con voglia, sudore e impegno, ma anche con tanta intelligenza sul campo per aiutare i compagni, frutto delle esperienze nostrane che lo hanno reso diverso e più pronto a competizioni di questo tipo.
I 3 gol (con 1 assist) in 7 presenze dimostrano come Lapadula abbia saputo imporsi sin dal primo momento, instaurandosi come nuovo idolo del Perù e conducendo i suoi sino ad una semifinale ben giocata contro il Brasile quando il movimento sembrava in fase calante, facendo passare in secondo piano l’assenza di due mostri sacri e leggende come Paolo Guerrero e Jefferson Farfán. Quello di Lapadula non è stato solo un percorso sportivo, ma anche culturale: sono tante le sue foto sui social in giro per Lima, andando alla ricerca e scoperta di quelle che sono le origini di sua madre. La capacità del ragazzo di comprendere ed immedesimarsi nella cultura peruviana è sintomo dell’intelligenza che gli ha poi permesso di imporsi anche sul campo, con una consapevolezza ed uno spirito di adattamento immediato senza eguali.
I due momenti della Copa America 2021
Oltre alle squadre e agli atleti che hanno reso incredibile quest’edizione della coppa, ci sono sicuramente due momenti che saranno ricordati a lungo. Il primo è indubbiamente rappresentato dai rigori di Argentina-Colombia, in cui il portiere Emiliano Martínez, detto Dibu, si è guadagnato le copertine mondiali per la capacità di distrarre i tiratori avversari parlandogli a viso aperto. Per quanto questa pratica sia diffusa in molte fasi di una partita di calcio, il silenzio assordante dello stadio di Brasilia ha denudato totalmente i dialoghi tra i protagonisti, con momenti che sono andati dal comico allo scherzoso, sino ad arrivare a punte di irriverenza un po’ sopra le righe. Al netto, le sue parate sono arrivate grazie alla sua capacità di leggere gli angoli di tiro degli avversari, conducendo l’Argentina ad una finale.
Sempre riguardante l’Argentina, ma più nel complesso tutto il mondo del calcio, al fischio finale della partita del Maracanà tutti i calciatori argentini si sono fiondati su Lionel Messi, in segno di riconoscenza, di gratitudine e fondamentalmente di sollievo. Perché un popolo intero, ma anche tutto il resto del mondo, aspettavano che fosse l’altro Diez a far rivivere a un popolo che soffre da anni una notte indimenticabile e ricca di gioia.