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CALCIO ESTERO

Da Levante soffia la speranza

Ultimo in Liga da mesi, il Levante di Alessio Lisci ha ritrovato fiducia nelle ultime settimane dopo una grande vittoria a Madrid contro l’Atletico. E se il recupero della speranza nel provare a giocarsela è ritornato vivido, ai Granotas manca adesso un tassello importante: rendere possibile e reale una delle salvezze più incredibili della storia della Liga. Viaggio nella Valencia sconosciuta, in quella di acquitrini e leggende storiche che dopo 7 anni vuole continuare a vibrare nella massima divisione al grido di “Macho Levante“, uno slogan che i calciatori indossano dietro al colletto della divisa ogni qual volta onorano la maglia granata e blu.

L’inizio da incubo

1 vittoria in 24 partite: era questo il bilancio del Levante il 13 febbraio scorso dopo la pesante sconfitta casalinga per 4-2 subita dal Real Betis. Oltre alla stagione differente dei due club, il match aveva messo a nudo tutta l’impotenza del Levante nel provare a giocare a viso aperto per fare punti. Con l’Atletico Madrid in programma nel recupero infrasettimanale e soli 11 punti in saccoccia, i tifosi erano pronti all’ennesima figuraccia e forse all’ennesima accoglienza nervosa al ritorno in aeroporto, come già era capitato dopo la sfida salvezza persa contro il Cadice il 22 gennaio.

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José Luis Morales disperato dopo il 2-4 contro il Real Betis il 13 febbraio 2022. (Foto di: JOSE JORDAN/AFP via Getty Images – One Football)

Nonostante le grida e le proteste dei tifosi furono tante, alcune in segno di rabbia per la scarsa attitudine imputata ad alcuni, il neo allenatore italiano Alessio Lisci, di matrice romana, è stato bravo nell’isolarsi con la squadra per evitare condizionamenti. Lisci, trasferitosi al Levante nel 2011 quando a 25 anni era stato coordinatore motorio dei pulcini e degli esordienti della Lazio, è ben consapevole di quale sia il clima quando la squadra di una città importante non mantiene le aspettative. Soprattutto se questa squadra, negli ultimi anni, era stata capace di assottigliare le differenze con l’altra rivale cittadina, quel Valencia Club de Fútbol che un tempo appariva nella Comunitat Valenciana come un colosso di Rodi calcistico.

Il Levante si rivela invece il grande Everest per l’Atletico Madrid, che da due anni non vince contro i Granotas e ripete la debacle il 17 febbraio, quando con un contropiede fulmineo di Roger Marti e Gonzalo Melero i valenciani si portano a casa 3 punti dal Wanda Metropolitano. Sembra tutto inutile però, perché nel turno successivo, al Balaidos di Vigo, il Levante è sotto contro il Celta 1-0. Con il condottiero della squadra fuori, quel José Luis Morales anche soprannominato El Comandante, le residue speranze di evitare il baratro sono nelle mani di due ragazzi. Jorge De Frutos, un’ala destra rapida e di qualità scartata un po’ troppo presto dal Real Madrid, e Alejandro Cantero, un attaccante del 2000 della primavera che Lisci conosce bene, a supporto dell’esperta punta Roger Marti. La fiammella si riaccende al minuto 82, quando su azione personale di Cantero sulla sinistra, bravo con un doppio passo a eludere i difensori galiziani, pesca con un passaggio radente il mancino di Marti, freddo nel mettere dentro l’1-1. Si può davvero ritrovare la speranza per un punto che altro non fa che portare le Rane a 6 lunghezze dal penultimo posto?

L’acquitrino tornato oasi

La risposta al quesito precedente è evidentemente si, perché il match successivo, in uno spento venerdì sera di fine febbraio, vede i ragazzi di Lisci annientare 3-0 l’Elche asfissiandolo in tutti gli aspetti. Come se lo stadio casalingo, quel Ciutat de Valencia diventato maledetto nell’ultima stagione, fosse tornato una confortevole fortezza come un tempo. Un acquitrino diventato di nuovo oasi, per l’appunto. La metafora nasce dall’etimologia dietro al soprannome del Levante e della sua gente, quello di Granotas, “rane” in italiano: chi era legato alla squadra prese questo soprannome anni fa proprio perché lo stadio, situato nel quartiere di Orriols, si trovava in una zona piuttosto paludosa, dove ai tempi poteva essere consuetudine trovare delle rane nel terreno di gioco soprattutto in giornate umide.

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Jorge De Frutos esulta per il momentaneo 2-0 del Levante sull’Elche: è il 25 febbraio e la stagione delle rane sembra prendere un’altra piega. (Foto di: Aitor Alcalde/Getty Images – One Football)

E se per alcuni è questione di nomi, per altri di fato: perché proprio quest’anno il Levante ha inaugurato il nuovo Ciutat de Valencia, quello in cui la nuovissima copertura nasconde il cosiddetto “Tros del Fotut” (il pezzo del pazzo, letteralmente). Leggenda narra che negli anni sessanta, quando si decise di edificare la struttura comprando i terreni in questo quartiere, una persona (si dice fosse del Valencia) si rifiutò di vendere, non permettendo così allo stadio di essere perfettamente ovale. In una delle curve questo tros è meno visibile proprio per i nuovi lavori, rendendone meno peculiare la vista dall’alto.

Tralasciando la storia e fiondandoci nuovamente sul presente, la vittoria casalinga contro l’Elche, la seconda in questa stagione, è davvero un toccasana per il Levante. Non solo per l’aver ritrovato il gol di Morales, l’uomo dalle serpentine incredibili e dai gol impossibili giunto venerdì scorso alla 300esima presenza, ma anche per la maniera con il quale è arrivatao. Nonostante si parli poco di Alessio Lisci, il suo piccolo cambiamento tattico ha stravolto la squadra: il 3-5-2 lanciato da Paco Lopez a inizio stagione e trascinatosi stancamente fino a qualche settimana fa è diventato ora un 3-4-3. Modifiche relative, penserà qualcuno, e invece no. Con Jorge De Frutos e José Luis Morales trequartisti alle spalle di Roger Marti, togliendo un centrocampista ma affidandosi alla verve di due tra Mickaël Malsa, Pepelu (talento da tenere d’occhio, classe 1998) e Gonzalo Melero la squadra assume un assetto tutt’altro che conservativo. A questo va aggiunta una difesa finalmente riassestata nonostante gli infortuni, grazie all’innesto dell’ex Cagliari Martín Cáceres che si è subito adattato al nuovo reparto assieme al costaricense Óscar Duarte e a Rober Pier, con Jorge Miramón e Son a fare da esterni o da terzini all’occorrenza, dando una sicurezza difensiva mai avuta in stagione.

A Bilbao come fosse una finale

Trovandosi a giocare di lunedì sera, il Levante ha provato la peggiore delle sensazioni quando si chiude una giornata calcistica: giocare condizionato dal risultato delle dirette concorrenti. In questo caso una vittoria, quella del Cadice sul Rayo Vallecano ieri (2-0, ndr) e un pareggio, quasi insperato, dell’Alavés in casa contro il Siviglia nell’anticipo di venerdì. Ovvero come trasformare una partita chiave per la stagione nell’ultima chiamata disponibile visti i 4 punti di distacco dai baschi e i 6 e 7 punti dalle due compagini andaluse di Cadice e Granada. Nella Catedral basca, un tempio dove in tanti si sono consacrati, un risultato positivo contro l’Athletic potrebbe validare il buon lavoro svolto con modestia e in silenzio da Alessio Lisci e dal suo staff. Senza alcuna remora e con la possibilità di continuare a rendere possibile qualcosa che fino a qualche settimana fa era già parte dell’universo utopico. D’altronde, quando si celebrano gli ultimi, si viene presi per pazzi o per incompresi. E chissà che i pazzi, questa sera, non saranno proprio i ragazzi del Levante. Perché alle rane, Fotuts, glielo devi dire proprio alla fine.

Autore

Nato in Italia, girovago per studi tra Francia e Spagna, poi Argentina per passione: scrivo per amore innato verso questo sport e per la necessità di esprimermi condividendo le mie idee. Amo raccontare storie particolari e poco conosciute, da quelle legate al calcio francese o agli angoli più remoti dei confini argentini.

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