Everton, Otamendi, Vertonghen, Todibo e Waldschmidt: sono solo alcuni dei volti nuovi in casa Benfica. Tra di loro, vi è anche Darwin Nuñez: l’uruguaiano è una lieta sorpresa in quest’inizio della sua avventura con i lusitani.
Lo ammetto: soffro di bipolarità calcistica. Questa malattia – coniata personalmente da me – consiste in una patologia che mi porta a idolatrare, in frazioni di tempo diverse, calciatori di epoche e di età differenti. Se come primo sintomo ho avuto un’attrazione per i grandi nomi da copertina, successivamente ho passato la fase “Football Manager” con una sorta di pedofilia calcistica per i giovani sconosciuti.
Ora, invece, soffro di una nostalgia sincera per i calciatori che non ho potuto vivere da spettatore. Se nelle fasi della malattia bisogna trovare un trait d’union per individuare la cura migliore, nel mio caso il filo comune è che i calciatori che ammiro hanno storie di resilienza. Da Ronaldinho a Ludovic Blas (andatevelo a vedere) sino ad arrivare a Cantona, questi ragazzi hanno storie di rinascita dalle ceneri di una povertà impietosa. Sarà una trama scontata, vista e rivista ma mi piace pensare che ognuno di noi, nel suo piccolo, può trarre esempio dal loro impegno per ravvivare la fiamma della speranza dei propri sogni.
Luchar para vivir
Nelle mille testimonianze di questo tipo che il calcio offre – forse troppe – quella di Darwin Nuñez sembra la trasposizione uruguagia del film “Goal!” dove l’attaccante messicano Santiago Munez parte dal nulla periferico di Los Angeles e arriva ai centrali salotti della Premier League. Darwin non parte dalla multietnica città degli angeli ma dalla monoetnica Artigas, una cittadina di 50.000 anime che sembra l’ambientazione dello Zorro interpretato da Guy Williams. Deserta, arida di opportunità e colma di povertà, l’infanzia di Nuñez è una filastrocca conosciuta da molti ragazzi come lui ma non per questo da recepire come normalità.
Crescere senza avere la certezza di un pasto quotidiano è un qualcosa che non possiamo e non vogliamo nemmeno immaginare. Oltre la retorica, ci pensate alla muta paura di genitori come Bibiano e Silvia che tornando a casa dopo 14 ore di lavoro devono spedire a letto Darwin e Junior a stomaco vuoto? Se l’antropologo Darwin predica la “lotta alla sopravvivenza animale“, il giovane Darwin Nuñez la sperimenta sulla propria pelle sviluppando oltre alla fame fisica, una famelica voglia di riscatto.
Di fronte a certe realtà si dimentica la paura egoista, la normale nostalgia di casa o la paura di non farcela. Quando Nuñez viene chiamato dal Peñarol a 13 anni, reprime il desiderio di restare ad Artigas non appena vede gli occhi affamati dei genitori. Quando suo fratello Junior – anch’esso chiamato dai gialloneri uruguagi – ha dovuto dire di no al suo sogno per problemi familiari ha rinunciato a seguirlo non appena ha sentito dirsi che “era la speranza della famiglia“.
Oneri e onori, pressioni e aspettative per un ragazzo di 15 anni che capisce che nessun avversario, nessun portiere o nessun infortunio potrà intimorirlo. Darwin è costretto ad essere predatore e la preda che insegue coincide con la sopravvivenza della sua famiglia. Morale: non è ammesso perdere. I 18 mesi di letargo forzato per due infortuni gravi al ginocchio sembrano trasformarlo nella preda della sfortuna, ma il suo sorriso dopo la seconda operazione testimonia la combattiva serenità di chi sa che non può mollare e che non mollerà.
Per il contesto da cui proviene e per la nazione in cui è nato, biologicamente ha nelle vene sangue e garra. Questo spirito da guerriero è racchiuso in una chioma nera e laccata sopra un fisico prorompente e tatuato che lo rende una perfetta comparsa di un videoclip di Ozuna. Eppure Nuñez è tutt’altro che appariscente fuori dal campo: dopo diverse critiche sui social per un digiuno prolungato da gol, Darwin ha deciso di spegnere il cellulare prima delle partite e consultarlo il giorno dopo.
Darwin Nuñez, chi sei?
Questo fuggi-fuggi dalla vita virtuale contrasta con l’arroganza con cui affronta la vita da campo: Nuñez non disdegna la lotta, la battaglia e sui palloni alti si avventa senza paura. Ha uno strappo profondo sia quando attacca la profondità sia in progressione dove si scatena la sua generosità. Tecnicamente parlando non è eccelso ma è dotato di una furbizia rara che gli dà una padronanza totale del suo corpo: Nuñez non stoppa alla Mertens per intenderci, ma orienta il fisico in maniera tale che gli permette di essere reattivo e di cercare un allungo palla al piede che è impossibile da contenere.
La potenza è la sua arma migliore e lo rende un predatore difficile da battere nel suo habitat tattico ovvero quello in cui ha spazi da bruciare con grandi falcate. Per completare il proprio repertorio a fronte delle tante prede differenti, Nuñez sta imparando dal calcio formativo di Jorge Jesus. Blasfemicamente parlando, l’uruguagio è discepolo dell’allenatore portoghese che nei suoi pellegrinaggi tra Portogallo e Flamengo ha sempre saputo migliorare i suoi attaccanti. Un esempio? Il Gabigol del Mengao vincitore della Libertadores.
La crescita di Nuñez tra Peñarol, Almeria e Benfica ha colmato, in parte, l’horror vacui che si creerà al ritiro di Luis Suarez e Edinson Cavani. Nuñez sembra essere il prodotto più convincente dell’attacco uruguagio del futuro, non solo per i mezzi tecnici di cui dispone, ma anche per il carattere che lo contraddistingue e che lo rende un manifesto dello stato che rappresenta: la garra charrúa, la vittoria contro tutto e tutti. La vittoria contro un destino avverso.
Tra contesti, idee e campi differenti, tra i due citati Darwin l’unico trait d’union è il sostantivo di persona che per il calciatore è il nome proprio e per l’esploratore rappresenta il cognome. Charles, infatti, parte dall’Europa verso l’America per scoprire, mentre Nuñez parte dalle Americhe verso l’Europa per farsi conoscere. La speranza li accomuna, ma ciò in cui credono è differente: l’esploratore ha l’ambizione di scoprire la realtà mentre il calciatore ha il desiderio di dare un presente e un futuro alla sua famiglia. Ideali nobili, ugualmente importanti e raggiungibili con il desiderio di lottare senza mai dimenticarsi da dove si è partiti.