Sei grosso con l’armatura. Senza quella cosa sei?
Un genio, miliardario, playboy, filantropo.
Il celebre scambio di battute proviene dal film Avengers, prima grande pellicola corale firmata Marvel che ha portato sul grande schermo i più grandi supereroi del momento. Il punto di partenza del grande successo della saga cinematografica che ha dominato gli ultimi anni. I protagonisti di questo dialogo sono Steve Rogers, in arte Capitan America, e Tony Stark, meglio conosciuto con l’armatura di Iron Man.
La risposta tagliente del personaggio interpretato da Robert Downey Jr. tratteggia al meglio i lineamenti dell’egocentrico e popolare Tony Stark, figura massimamente mediatica all’interno del grande prodotto pop che è il Marvel Cinematic Universe.
Parole che fanno immediatamente pensare a colui che, nel mondo del pallone, è praticamente l’alter ego del fiammeggiante eroe in armatura. Si tratta ovviamente di David Beckham, la grande icona pop del calcio, l’uomo che ha spalancato le porte alla mediatizzazione e alla spettacolarizzazione di questo sport. Come Tony, l’inglese è un genio del calcio, quindi miliardario, decisamente playboy e genuinamente filantropo.
La suggestione di oggi parte proprio da questo parallelo, dalle evidenti similarità tra il celebre personaggio Marvel e l’ex capitano del calcio inglese. Due figure che hanno rivoluzionato i mondi di cui sono protagonisti, diventandone il volto più rappresentativo e discusso.
Sono il migliore
È abbastanza facile capire come Iron Man sia diventato una delle più grandi icone pop del nostro tempo. Il volto magnetico di Robert Downey Jr., i miliardari investimenti di Disney e Marvel, il successo calamitante dell’universo dei supereroi. Tony Stark è un prodotto concepito a tavolino per essere un trionfo mediatico, un’icona. Un discorso simile sembrerebbe possibile per David Beckham, con la grande differenza che però dietro all’affermazione dello Spice Boy non c’è nulla di premeditato, ma un concatenarsi di eventi e contingenze che lo hanno reso il più grande fenomeno pop della storia del calcio.
Innanzitutto, il genio. David Beckham si è affermato in un’età di enormi stravolgimenti nel mondo del pallone, con l’arrivo prepotente di televisioni e sponsor a costruire il tanto agognato circo mediatico. Fa parte di quella generazione di ragazzi di fine secolo, proiettati verso il futuro ma pur sempre figli del passato. Il calciatore inglese è stato il primo a rompere le catene della tradizione, a ignorare il proprio retaggio. Il primo ad abbracciare tutti quegli stravolgimenti che il suo sport stava per vivere.
Nato a Londra, cresciuto nel Tottenham ma figlio a tutti gli effetti del Manchester United, la grande istituzione del calcio inglese. Lo United preleva il giovanissimo David Beckham dagli Spurs alla tenera età di 16 anni, facendolo debuttare appena un anno dopo. Dopo l’esperienza formativa al Preston, Becks si afferma con la maglia dei Red Devils, diventando uno dei cardini dello United di Alex Ferguson che, come punto culminante, vince il celeberrimo Treble nel 1999, con la folle finale di Champions vinta contro il Bayern con due reti nei minuti di recupero.
Il genio calcistico di David Beckham non è mai stato in discussione. Negli anni allo United ha giocato un calcio superiore, estetico ed elegante, fatto di assist spettacolari e calci di punizione perfetti. La prima affermazione dello Spice Boy avviene naturalmente in campo, nel miglior modo possibile, mettendo in mostra un calcio che ben si presta alla spettacolarizzazione, al frammento memorabile da immortalare, all’istante da non perdere. Come la famosa punizione contro la Grecia del 2001, una delle più belle della storia del calcio, che vale all’Inghilterra un’ormai insperata qualificazione ai Mondiali.
Dopo il genio c’è il miliardario. L’immagine costruita ha fruttato a Beckham miliardi su miliardi. Contratti di sponsorizzazione impressionanti, basti pensare ai 40 milioni in tre anni dati dalla Gillette o ai due milioni annui pagati da aziende come Vodafone e Pepsi. Il cinema, con i camei nei film del regista inglese Guy Ritchie “Operazione U.N.C.L.E.” e “King Arthur e il potere della spada”. Infine, per usare un eufemismo, gli onerosi contratti con le squadre di club. Il calcio è diventato ricchissimo e lo Spice Boy ne ha usufruito a piene mani.
David Beckham è stato però anche una grandissima icona sexy, il playboy. Nel 2015 People lo ha premiato come uomo più bello del mondo. È stato il primo maschio a comparire sulla copertina del magazine femminile “Marie-Claire”. Tantissime giovani ragazze si sono innamorate di lui sulla scia di Jess in “Sognando Beckham”, film in cui questa ragazza indo-britannica vuole giocare a calcio proprio come il suo idolo: David Beckham.
Infine c’è il filantropo, perché Beckham ha guadagnato tanto in carriera e continua a farlo, ma non ha mai fatto mancare il proprio impegno sociale. Ambasciatore dell’UNICEF dal 2005, impegnato a sostegno delle campagne in favore dello sport e volto della lotta contro l’AIDS.
I limiti sono fatti per essere superati
In David Beckham c’è tutto, quindi. Un grandissimo calciatore, bello, che ha saputo costruirsi un’immagine mediatica fortissima e l’ha messa, oltre che al servizio di sé stesso, anche della comunità. L’inglese è stato il primo giocatore a travalicare i confini del proprio sport fino a oscurarli. È diventato un’icona glamour, a tal punto da essere percepito come più bello che bravo.
Questa mediatizzazione estrema ha avuto ovviamente dei lati sia positivi che negativi, indubbiamente una portata rivoluzionaria. Da subito David ha capito l’importanza della forma, ha anticipato i tempi. Da giovane ha preso delle lezioni per migliorare il proprio inglese, per scrollarsi di dosso quel tedioso accento dialettale e acquisirne uno più elegante e ricercato.
Anche l’evento più importante della sua vita, il matrimonio con la stella delle Spice Girls, Victoria Adams, è stato un trionfo del puro estetismo. La location mozzafiato del Luttrellstown Castle, l’impeccabile abito bianco avorio dello sposo, la scioccante corona tempestata di diamanti della sposa, i troni dorati. Una cerimonia da favola, l’unione tra il volto pop del calcio e della musica. Il trionfo del culto massmediatico della personalità.
Beckham ha quindi costruito in prima persona la propria icona, che poi è stata consacrata naturalmente da fattori sia esterni che interni al calcio, come il solenne tour promozionale in Asia che ha anticipato il suo arrivo al Real Madrid. Quando nel 2003 Florentino Perez aggiunge lo Spice Boy alla sua collezione di Galacticos, organizza una tournée nel continente asiatico, dove l’inglese era famosissimo dopo i Mondiali del 2002. Si stima che i Blancos abbiano guadagnato circa 10 milioni da quell’evento, per dire.
Anche spinte esterne al calcio ovviamente hanno consacrato Beckham. Le tantissime pubblicità e l’esempio perfetto rappresentato dal sopracitato “Sognando Beckham”, che ha canonizzato l’inglese come il modello da perseguire, l’ispirazione per l’affermazione sociale. La protagonista Jess vive in uno stato di duplice minoranza, etnica in quanto indo-britannica, e sessuale in quanto ragazza che vuole giocare a calcio. La sua affermazione identitaria passa proprio tramite la sua identificazione col calciatore inglese. Beckham diventa un sogno idealizzato.
Noi creiamo i nostri demoni
Questa iper affermazione mediatica di David Beckham ha però comportato anche l’emergere di ombre che ne hanno condizionato la carriera. La sua separazione dallo United in primis, avvenuta in modo netto e fragoroso. La rottura con Sir Alex Ferguson, che prima lo ha lanciato nel grande calcio, poi l’ha gettato via, stufo del suo peso extra-calcistico.
Rimarrà memorabile quello scarpino calciato all’interno dello spogliatoio dall’allora tecnico dello United dopo una sconfitta con l’Arsenal, che arriva dritto sul volto dello Spice Boy, ferendolo al sopracciglio. Beckham viene deturpato nel suo lato estetico, quello tanto odiato dall’allenatore. Una rottura che ha un fortissimo simbolismo, lo scontro tra il vecchio football di Ferguson e il nuovo calcio spettacolo di Becks. Una rottura che si materializza in una ferita, impossibile da rimarginare.
David Beckham ha vissuto periodi fortemente tormentati anche con la sua Inghilterra. La Nazionale dei Tre Leoni si candidava a essere una delle grandi sorprese del Mondiale francese del ’98, guidata da due ragazzi prodigio come Beckham e Owen. La realtà, poi, si è rivelata ben diversa. Gli inglesi passano il girone come secondi, alle spalle della ben meno quotata Romania.
Agli ottavi poi c’è l’Argentina, in un match dai toni tragicamente isterici. La ferita di dodici anni prima è ancora freschissima, di quando Maradona con quel colpo di mano ha eliminato gli inglesi, gridando alla giustizia divina nel suo pugno. Gli animi tra le due Nazioni sono ancora tesi, il nocciolo della disputa è in origine la sanguinosa guerra delle Isole Falkland scoppiata nel 1982. Poi Maradona ci ha messo il carico e in quell’estate francese del ’98 l’Inghilterra aveva l’occasione di vendicarsi.
L’epilogo però non è diverso da dodici anni prima. Vince l’Argentina ai rigori, ma a dominare la scena è il duro fallo di reazione di David Beckham che al 47′ scalcia da terra Diego Simeone, reo di avergli riservato un trattamento ben poco amichevole durante il match. L’Inghilterra esce a testa alta dal Mondiale, ma si scaglia contro lo Spice Boy, che diventa il colpevole, unico, dell’eliminazione.
Ten Heroic Lions, one stupid boy.
Dieci eroici leoni, un ragazzo stupido. Così titola il Mirror il giorno dopo l’eliminazione, dando il via a una vera e propria campagna d’odio che culmina con le molteplici effigi di Beckham impiccato per le strade di Londra. L’inglese fa pace con la sua patria solo il 6 ottobre 2001, con quella storica punizione alla Grecia che vale all’Inghilterra un posto nei Mondiali di Corea e Giappone. Insperato, perché contro gli ellenici basta un pari per evitare i fastidiosi play-off, ma il risultato fino al 93′ è di 2-1 per gli ospiti. Poi l’arbitro fischia un calcio di punizione, Beckham prende il pallone e fa quello che a far meglio: calcia. Old Trafford è in delirio, l’Inghilterra si rappacifica con la sua icona. Il peggio è alle spalle, ma non è cancellato.
Si, posso volare
Nell’iconicità di David Beckham ci sono tanti fattori che si rincorrono. Tra questi anche le maglie vestite dal calciatore, di squadre che ne hanno alimentato il mito perché mediatiche a loro volta. Il Real Madrid è forse la squadra più pop che ci sia nel calcio e la sua immagine mediatica deriva proprio da quell’era dei Galacticos in cui Florentino Perez ha ingaggiato una serie di stelle che ricorda davvero la parata degli Avengers nei vari cinecomics.
Dopo il Real, soprattutto quel Real, Los Angeles, la città del cinema. Poi il Milan di Berlusconi, il re della televisione commerciale. Infine la città glamour per eccellenza: Parigi. Ogni maglia ha costruito uno strato dell’iconicità di Beckham, ogni contratto ne ha aumentato la portata. I risultati sportivi sono sempre stati un elemento secondario, quasi collaterale, nelle avventure dello Spice Boy. Il suo valore fuori dal campo è sempre emerso con maggiore forza, perché i risultati in campo costituivano l’elemento di normalità laddove invece si cercava l’eccezionalità.
Beckham ha giocato sempre in squadre costruite con l’intento di collezionare campioni, di catturare stelle. Esemplare in tal senso il suo rifiuto nel 2003 al Barcellona, in favore dell’approdo a Madrid. E Becks è sempre stato la stella del Luna Park, l’attrazione principale nella raccolte di stelle.
Il tutto oscurando poi le doti calcistiche, ma quello in fondo conta poco. I grandi del calcio hanno definito Beckham un giocatore normale, da Best a Ferguson, non ne hanno mai colto la grandezza perché abbagliati dalla luce dei riflettori che lo Spice Boy si è sempre portato appresso. Una luce che ha finito per oscurarlo, nel più grande dei paradossi.
La verità è che… io sono Iron Man
Cosa c’è dunque dietro gli scarpini e la maglia numero 7 di Beckham? Un genio, miliardario, playboy, filantropo. Riassumendo: un’icona pop. David Beckham è stato uno dei più grandi calciatori della storia perché ha apportato una rivoluzione epocale. Ha aperto la strada allo show-business, alla mediatizzazione estrema, al culto dell’intrattenimento. Ha reso il calcio un evento e il calciatore una star e l’ha fatto con una naturalezza disarmante.
Il culto del tatuaggio, quell’eleganza ostentata, quel viso bellissimo schiaffato praticamente in ogni dove. David Beckham è un prodotto industriale, il primo della grande fabbrica che è ormai il calcio odierno. Ha apportato una rivoluziona basata sull’estetismo, sul culto dell’immagine. Tutto confluisce armonicamente nel suo mito, un calcio di punizione perfetto è l’altro lato di uno spot pubblicitario da milioni di euro. Tutto si regge in piedi in un complesso disegno.
Con dieci anni di anticipo David Beckham è stato quello che poi è diventato Iron Man sul grande schermo cinematografico. Il primo film standalone dell’eroe Marvel risale al 2008, da lì in poi l’ascesa mediatica di Tony Stark e dell’intero universo narrativo basato sugli eroi fumettistici è stata irrefrenabile. Così come implacabile è stata la mediatizzazione del calcio, che ha fatto da mostruosa eco alle vicissitudini dell’inglese, dall’eccentrico matrimonio al leggendario approdo al Real Madrid.
David Beckham ha rivoluzionato il calcio, finendo per sacrificare proprio la propria componente sportiva. Il prezzo da pagare per compiere le rivoluzioni. Un po’ come Tony Stark che nella sua ultima battaglia, allerta SPOILER, si sacrifica per salvare l’intero universo e far si che altri continuino ciò che lui ha cominciato. La storia del calcio non renderà mai forse giustizia alla classe e al talento di David Beckham, ma questo spesso è il destino di chi precorre il proprio tempo: non essere compreso fino in fondo.