La storia del calcio, specialmente quello italiano, è piena di presidenti schizofrenici e con manie di protagonismo. Dei veri e propri showmen che si nutrono di frasi ad effetto, litigi, polemiche, pessimi rapporti con stampa e tifoserie. Basti pensare al compianto Zamparini, a Massimo Cellino, allo stesso Claudio Lotito o al plurititolato Silvio Berlusconi. Ecco proprio quest’ultimo è quello che mi ricorda di più Aurelio De Laurentiis, presidentissimo del Napoli fresco campione d’Italia: amante delle telecamere, sempre con la battuta (cafona perlopiù delle volte) pronta e la convinzione di saperla lunga, anche più dei suoi allenatori.
Una storia, quella tra ADL ed il mondo del calcio, iniziata in una torrida estate del 2004, quando l’imprenditore romano ricevette l’ok dalla curatela fallimentare per l’acquisto del defunto Calcio Napoli, caduto in disgrazia dopo le gestioni scellerate da parte di Corrado Ferlaino, Giorgio Corbelli e Salvatore Naldi. Estraneo a tutte le dinamiche del gioco, Don Aurelio affidò all’esperta figura di Pierpaolo Marino la costruzione di una corazzata che avrebbe dovuto scalare di fretta e furia le pareti dell’inferno della C verso “il posto a cui Napoli città appartiene” cioè la Serie A. Tra palloni recuperati dai cofani delle auto, pettorine di colore diverso e stanze d’ hotel adibite a centro sportivo, arrivò Giampiero Ventura – reduce dalla seconda esperienza cagliaritana sotto Cellino – a dirigere una squadra costruita con poca logica e tanta fretta. Un Napoli molle quello di Ventura, brutto e con poco carattere, già in ritiro forzato dopo poche settimane dall’inizio del campionato. La parola fine al rapporto tra l’allenatore genovese e la squadra azzurra arrivò dopo uno scialbo pareggio al San Paolo contro la Fermana. Tramite i canali ufficiali del club il presidente De Laurentiis ci tenne a ringraziare l’ex tecnico, aprendo anche la porta ad una futura collaborazione vista l’immensa stima che intercorreva tra i due. Neanche due giorni dopo, durante la presentazione della nuova guida tecnica, il presidente ci tenne a chiarire che aveva provato in tutti i modi a convincere l’allora direttore sportivo Pierpaolo Marino ad esonerare Ventura ben prima di gennaio ma di non esserci riuscito. Finalmente, secondo lui, il Napoli aveva un allenatore vero.
L'”allenatore vero” in questione è Edy Reja, al momento il più longevo dell’era De Laurentiis. Assunto in sostituzione di Ventura, ha ottenuto con gli Azzurri la promozione dalla C alla B, quella dalla B alla A e la qualificazione all’allora Coppa Intertoto. Un allenatore da gratificare insomma, invece si arrivò addirittura alle mani. Dopo un pareggio contro la Lazio per 2-2, a seguito di brutti risultati che avevano creato un clima tossico attorno alla squadra, De Laurentiis scese negli spogliatoi per elargire sorrisi e strette di mano, scontrandosi con la furia del mite ma arcigno goriziano: «Ti fai vedere solo quando le cose vanno bene, giovedì invece ci hai massacrato. Sono quattro anni che ti sopporto, trovati un altro allenatore». La squadra sta con l’allenatore. Partono addirittura applausi. In un clima gladiatorio De Laurentiis si avvicinò a Reja a muso duro, testa contro testa come due cani rabbiosi. Urla, spintoni e delle dimissioni poi ritirate a tarda serata dopo un confronto molto più pacifico mediato da Marino. I due andarono avanti per un altro anno, tra liti e riconciliazioni, arrivando alla separazione dopo un’altra partita con la Lazio, terminata questa volta per 0-2. Rinnovatagli la fiducia dopo la sessione d’allenamento mattutina del lunedì, in serata arrivò come un fulmine a ciel sereno la notizia dell’esonero. Un altro coup de théâtre tanto amato da Aurelio De Laurentiis. Non andò meglio neanche al successore Donadoni, silurato tra le polemiche dopo 19 partite e solo 5 vittorie conquistate. La leggenda rossonera, in un’intervista alla Gazzetta dello Sport, scoperchiò il vaso di Pandora e rese pubblico tutto il suo livore verso la presidenza, accusata di essere troppo ingerente e di voler mettere bocca in questioni in cui la competenza era scarsa. Suggerimenti di formazione, pareri contrari ad acquisti (Donadoni richiese con insistenza l’arrivo di Fabio Cannavaro, bocciato da De Laurentiis perché ritenuto vecchio, lento e con pretese contrattuali spropositate). Quella stagione se ne andò anche il direttore Marino, a seguito dell’ennesima lite negli spogliatoi.
Nuovo allenatore e nuovi problemi. Walter Mazzarri è stato probabilmente l’allenatore che ha portato il Napoli ad emanciparsi in Serie A, elevando lo status da squadra di bassa/metà classifica a contendente per posti ben più nobili. Anni felici ma con uscite a vuoto di cattivo gusto, specialmente nell’ ultimo periodo in cui il tecnico di San Vincenzo non aveva più gli stimoli di continuare un percorso durato quattro anni. Venne definito dal patron una moglie che scappa dal letto del marito per infilarsi nel letto di qualcun altro. E poi le accuse del mancato acquisto di Marco Verratti, sui presunti problemi fisici di Pandev e addirittura di non sorridere mai, di essere sempre triste.
Insomma, chi ha a che fare con De Laurentiis è destinato prima o poi allo scontro. Forse l’unico scampato alla furia del proprietario è stato Rafa Benítez, scappatosene però a gambe levate dopo neanche due stagioni. De Laurentiis ne ha avute anche per Maurizio Sarri, capo-popolo che a Napoli ha vissuto le stagioni più importanti della sua carriera, sfoggiando un gioco apprezzato in tutta Europa e sfiorando lo scudetto “sfumato in albergo” dopo il controverso match di Milano tra Inter e Juventus capolista. Niente canzoni d’amore tra i due, come canta il rapper Marracash in uno dei suoi pezzi più ascoltati. Negli ultimi anni se ne sono dette di cotte e di crude sul loro rapporto. Sarri, in un post-partita da allenatore della Lazio, ci tenne a chiarire che uno come De Laurentiis meno ci si parla e meglio è, perché vuole avere sempre ragione; il presidente invece non ha perso occasione per dargli del traditore, del mercenario, dell’incapace di gestire una rosa profonda, del falso innamorato, furbo, senza stile ed inelegante.
Al presidente del Napoli va riconosciuta una certa lungimiranza. Fare dell’impresa in una città come quella partenopea, tra mille difficoltà, non è affatto facile. Ha portato ai vertici del calcio italiano una squadra che prima di lui “navigava nella merda” – come disse in ritiro a Dimaro Folgarida in un acceso confronto coi giornalisti, altre vittime preferite oltre gli allenatori – ma non ha mai imparato a non sconfinare. Incomprensibile come le separazioni tra il Napoli ed un suo tesserato debbano terminare sempre con acrimonia. Non è scampato nemmeno Luciano Spalletti. Neanche la vittoria dello scudetto, atteso dalla tifoseria da oltre 30 anni, è bastata a rendere felice fino in fondo la presidenza. Quella che sembrava dall’ esterno una favola felice ha nascosto per mesi delle ombre che ora rendono impossibile il prosieguo del rapporto.
I tifosi invocano Spalletti
De Laurentiis gelido: "Stare a Napoli è un privilegio, non un obbligo" 👀 pic.twitter.com/A6Rs9VtcJ1— GOAL Italia (@GoalItalia) May 27, 2023