Il derby tra Lazio e Roma non è mai stato una partita come tutte le altre, qualcuno in passato pensò bene di definirla così salvo essere sommerso da mille critiche: quella persona era Zdenek Zeman, una persona ed una personalità a cui la storia di questa sfida deve molto in termini di narrazione.
Si tratta di una partita che, effettivamente, vive una vita separata rispetto al resto della stagione, ogni derby definisce storicamente ogni stagione in cui esso si è disputato e non esiste annata in cui Lazio-Roma o Roma-Lazio non abbia avuto qualcosa da raccontare sotto diversi punti di vista.
Il derby numero 155 della storia della Serie A parte già con una storia da raccontare ancora prima che si giochi: sarà il battesimo del fuoco per Maurizio Sarri e José Mourinho, due allenatori che poco hanno da invidiare in termini di personalità e di centralità del personaggio rispetto a colui che è stato nominato in premessa ed altri che hanno fatto la storia di questa stracittadina.
Il senso di appartenenza delle tifoserie
Le due squadre nate sulle sponde del Tevere rappresentano a livello di estrazione di tifo due realtà storicamente opposte: anche se le due curve adesso sono rappresentazione dello stesso colore politico, tifare per la Lazio o per la Roma è frutto di un rimando generazionale tramandato dai genitori ai figli e che nasce dall’estrazione della propria famiglia all’interno della città.
Tante sono le rielaborazioni e riletture che cercano di assegnare come le due squadre si siano divise l’amore dei romani, ma per chi la vive con uno sguardo esterno solo uno è il riferimento per capire chi sono i romanisti e chi i laziali: mi riferisco a Il tifoso, l’arbitro e il calciatore, pellicola cinematografica non propriamente d’essai diretta da Pier Francesco Pingitore.
In questo film (suddiviso in tre parti, ognuna riservata ad ogni soggetto indicato nel titolo) Pippo Franco è figlio di un barista di un quartiere popolare di Roma accanito tifoso giallorosso che sposa la figlia di un imprenditore di fede laziale.
Tralasciando la trama ed il relativo esito, ciò che emerge da questa narrazione cinematografica è una suddivisione schematica: il romanista è il tifoso della Roma popolare, il laziale rappresenta la classe alto-borghese della città.
Per chi sceglie di simpatizzare da fuori per l’una o per l’altra sponda, il discrimine utilizzato è sempre questo. Per chi vive questa rivalità all’interno delle mura aureliane questa dicotomia potrebbe fare inorridire, ma d’altronde se una partita come il derby di Roma attira l’attenzione anche di chi non appartiene alla città eterna, una concessione a questo tipo di semplificazioni deve essere permessa.
Le contrapposizioni di stile calcistico
Mentre le identità contrapposte delle tifoserie si sono sedimentate del tempo, quelle di Lazio e Roma hanno sempre seguito negli ultimi anni percorsi diversi pur all’interno di una contrapposizione di stili permanente: tutto è partito dalla fine dell’era Cragnotti da una parte e dell’era Sensi dall’altra, due presidenze che hanno portato le due squadre della capitale a giocarsi lo Scudetto nei primi anni di questo secolo salvo poi pagare in maniera salata il conto economico per quello sforzo.
Sulla sponda biancoceleste, l’autarchismo è rimasto in sella con Claudio Lotito che ha preso in mano il club per sistemare le pendenze debitorie e rilanciare progressivamente il club che è tornato ad essere solido (fin troppo solido per alcuni tifosi).
Dal lato giallorosso, invece, l’assetto proprietario ha issato la bandiera a stelle e strisce davanti alla sede di Trigoria, cercando di portare la Roma ad essere una società di respiro internazionale con voglia di investire non solo sul parco calciatori.
Non deve sorprendere, dunque, come nelle ultime stagioni le due compagini romane abbiano pianificato la gestione tecnica della squadra in maniera diametralmente opposta.
La Lazio, nelle ultime sei stagioni, ha mantenuto inalterata la guida tecnica, delegando Simone Inzaghi a condottiero di un gruppo di giocatori che è rimasto stabile nel corso di questi anni con aggiunte apportate a piccolissime dosi: un elogio alla programmazione ed alle strategie di lungo periodo.
Dall’altra parte abbiamo una Roma che ha cambiato diverse guide tecniche, passando dal calcio di possesso di Luis Enrique a quello verticale di Zeman, poi quello solido di Rudi Garcia, e poi la gestione Spalletti diventata soggetto cinematografico per chiudere con Di Francesco e Fonseca.
In tutto ciò anche la gestione dei giocatori ha seguito la stessa falsariga, con giocatori arrivati a Roma sotto squilli di trombe per poi essere masticati e sputati via nel giro di pochi mesi da quel processo ruminante che è l’ormai mitologico “ambiente romano”.
Due nuove strade per Lazio e Roma
Quanto accaduto questa estate, invece, unisce Lazio e Roma sotto la voce rivoluzione tecnica: dopo sei anni di onorato servizio Simone Inzaghi ha scelto di mettersi alla prova sotto le luci di San Siro sponda nerazzurra, mentre dopo due stagioni vissute sulle montagne russe Paulo Fonseca e la Roma si sono lasciati.
Per ripartire, Lotito da una parte e Friedkin dall’altra, ancora una volta hanno deciso di seguire due vie totalmente opposte tra di esse, con Maurizio Sarri accasatosi a Formello e José Mourinho chiamato ad un ritorno in Serie A ad undici stagioni di distanza dal triplete e quello Scudetto vinto strappandolo dalle mani proprio della formazione giallorossa.
Per cui rivoluzione tecnica per entrambi, ma la contrapposizione di stile resta: da una parte si sceglie un calcio che introduce l’estetica e la geometria come strumento di vittoria, dall’altra un calcio dove è la forza fisica, tecnica e, soprattutto, mentale, la chiave per ottenere successo.
Con questa premessa la Lazio di Sarri e la Roma di Mourinho si giocano non solo il predominio cittadino ma anche la supremazia dello stile di gioco proposto.
Come si presenta al derby la Lazio di Sarri
Vorrei vedere una squadra che ha un grande spirito di sacrificio durante la settimana per divertirsi la domenica.
Dopo il lungo regno di Simone Inzaghi basato su una continua ricerca di un modo per esaltare le specificità dei calciatori presenti in rosa ed una gestione della partita basata su strategie ed aggiustamenti di tipo scacchistico, Maurizio Sarri rappresenta un gigantesco elemento di rottura per la società biancoceleste ben riassunto da questa frase con cui ha espresso l’obiettivo della propria esperienza lavorativa alla corte di Lotito nel corso della conferenza stampa di presentazione.
Nel corso dell’estate lungamente si è disquisito su come la rosa a disposizione dell’allenatore toscano dovesse essere rimodellata per venire incontro alle sue esigenze tattiche: gli unici veri cambiamenti sono arrivati nel reparto offensivo, dove la cessione di Correa ha permesso a Tare di riportare all’Olimpico Felipe Anderson, convincere Pedro a guadare il Tevere e soprattutto portare in maglia biancoceleste un talento cristallino come quello di Mattia Zaccagni.
Insomma, dove la società ha aiutato l’ex tecnico di Napoli e Juventus è stato nel reparto d’attacco mentre ha delegato a lui il compito di rimodellare con il lavoro la linea difensiva, esercizio facilitato solamente dall’arrivo di un pupillo del tecnico toscano: Elseid Hysaj.
Sono già ben visibili nella Lazio alcuni elementi tipici del modo di giocare del suo allenatore, come la difesa a 4 rigidamente schierata a zona e l’utilizzo di triangoli per sviluppare e rifinire le azioni da un lato e chiuderle sull’altro.
Ma, ad oggi il lavoro è ancora lungi dall’essere completato, i dati difensivi della formazione biancoceleste sono al momento davvero poco edificanti: le responsabilità di questa difficoltà non sono esattamente riconducibili alla linea difensiva, quanto piuttosto alla capacità della squadra di saper restare corta, soprattutto quando cerca di aggredire in alto l’avversario.
Spesso e volentieri si creano voragini tra la linea di centrocampo e quella di difesa, con il solo Lucas Leiva a dover presidiare tale spazio, un compito a dir poco proibitivo per le caratteristiche dell’ex giocatore del Liverpool.
A causa di ciò, la Lazio si presenta a questo derby reduce da una serie di risultati poco positivi: 2 sconfitte (inclusa quella in Europa League contro il Galatasaray) e 2 pareggi dal rientro dalla pausa per le nazionali hanno cancellato le belle sensazioni destate dai 6 punti ottenuti nelle gare iniziali contro Empoli e Spezia, condite da 9 reti realizzate e tante giocate offensive promettenti.
L’idea del lavorare duro in allenamento per divertirsi in partita sembra non aver, quindi, attecchito al meglio facendo emergere alcune difficoltà nel convertire mentalmente un gruppo di lavoro che con Simone Inzaghi sembrava muoversi con il pilota automatico.
Maurizio Sarri ha bisogno di uscire bene da questo derby per non trovarsi travolto dalle resistenze al cambiamento che potrebbero cominciare a colpirlo ai fianchi.
Come si presenta al derby la Roma di Mourinho
Abbiamo solo un obiettivo in mente, la prima partita la dobbiamo vincere, quando finiamo la prima dobbiamo pensare alla successiva, in termini generali questa squadra e questa società devono migliorare ogni giorno.
Con questa frase José Mourinho nella sua conferenza stampa di presentazione al Campidoglio ha tracciato la via del nuovo corso giallorosso dopo il mancato assecondamento del progetto Fonseca, muovendo immediatamente il focus della Roma su elementi cardine del suo pensiero calcistico: temperamento ed equilibrio.
Il progetto del suo predecessore in panchina era nato per esercitare un calcio tecnico e di possesso ma che non si è sposato con la rosa messa a disposizione dal club, portando quell’idea di calcio ad annacquarsi con un sistema verticale mai in grado di trovare un vero equilibrio.
Per questa ragione l’arrivo di Mou ha coinciso immediatamente con una ricerca immediata di compattezza e di risultati necessari ad infondere nel gruppo quel livello di autostima necessario ad accelerare il processo di costruzione di una squadra competitiva ed in grado di competere quanto prima per un grande obiettivo.
Si parte quest’anno con un obiettivo meno grande come la Conference League che però l’ex tecnico dell’Inter vorrà utilizzare per creare quello spirito competitivo ed orientato alla ricerca della vittoria, fine ultimo del suo mandato nella capitale.
Il gioco della Roma si basa dunque, su giocate in verticale e lo sfruttamento della profondità mediante movimenti atti a spostare l’avversario per poi sfruttare gli spazi lasciati a disposizione.
I detrattori di Mourinho si aspettavano una riedizione del calcio passivo e con poche idee visto a Manchester ed al Tottenham, ed invece si vede una squadra molto evoluta anche a livello tattico che cerca di sfruttare al meglio le qualità dei propri elementi offensivi ma soprattutto il loro strapotere fisico.
Non è casuale, dunque, che la partenza della stagione della Roma sia stata piena di risultati positivi corredati da prestazioni agonisticamente di livello importante e che hanno subito messo in mostra la tensione verticale del calcio proposto dal tecnico di Setubal.
La personalità dello Special One sembra aver fatto preda nello spogliatoio giallorosso, il derby potrebbe essere l’occasione giusta per completare una prima fase di consolidamento di leadership totale all’interno dell’ambiente, elemento fondante del suo metodo di lavoro.
E allora che derby sarà Lazio-Roma?
La situazione delle due squadre della capitale mostra come il percorso diverso scelto dai club per ripartire in questa stagione abbia portato vantaggi nel breve periodo alla formazione giallorossa: un derby che il calendario ha messo in programma nella settimana finale del mese di settembre non avvantaggia di certo il lavoro di Maurizio Sarri, alle prese con una squadra ancora lungi dal completare il passaggio di mentalità richiesto.
Ma il fascino del derby sta nella capacità quasi esoterica di saper ribaltare situazioni date per scontate alla vigilia: un elemento che oggi sembra penalizzare la Lazio, ossia l’età media molto alta della squadra, potrebbe essere usata come l’arma dell’esperienza di fronte ad un gruppo di giocatori più giovani e resi irruenti dalla propria guida tecnica.
In ogni caso il primo derby tra due personalità importanti come il tecnico toscano e quello portoghese non potrà far altro che alimentare l’epica di questa sfida che a turno ha glorificato o annientato i suoi protagonisti in un esercizio tanto simile a quello della lotta dei gladiatori nella Roma antica.
Fonte dati statistici: FbRef