Sembra impossibile ma Christian Pulisic ha venticinque anni soltanto da qualche mese, e non da una vita come pare essere. E l’anno scorso ne aveva ventiquattro e quello prima ventitré e così via. Insomma, è ancora carne fresca, freschissima in un calcio così frenetico.
Allo stesso tempo, quel Pulisic che debuttava nel Borussia Dortmund non è scaduto e continua a correre mentre, ve lo giuro, anche la sua età continua, intanto, a scattare in avanti. Non si è cristallizzato nel tempo, ibernato tra i capitoli della sua stessa carriera, ed è ancora qui, ed è ancora prontissimo ad esprimersi ed a farsi notare sul campo.
Dove vai tu, America, con la notte, nella tua piccola macchina scintillante?
(Jack Kerouac, On the road)
Come in una storia scritta da Jack Kerouac, che è uno degli autori più americani di tutti i tempi, Christian Pulisic continua ad eccellere innegabilmente in un fondamentale importante, soprattutto per chi gioca dietro le punte: si propone sempre. Nelle parole di Galileo Galilei, potremmo definirlo come l’eppur si muove, anche perché Pulisic resta pur sempre quella macchinetta che si era piuttosto smarrita lungo vie improbabili. L’ex Dortmund scintillante è rimasto un po’ smarrito tra le strade della sua vita calcistica, e forse ci ha capito poco, ma ha intuito che doveva continuare ad andare avanti e sicuramente sta dimostrando di non essersi mai fermato lungo tutto questo percorso.
Nonostante tutto, Pulisic continua su quella strada calcistica che, alla fine, lo porta un po’ ovunque dall’America fino a tutta l’Europa, e lo fa continuare nel suo viaggio on the road, e continua a cercare qualcosa, chissà cosa, su un campo da calcio, e non può smettere mai di fermarsi nemmeno in campo, e ancora meno quando sente di avere tutto dalla sua parte, con la palla tra i piedi.
Perché deve esserci un qualche obiettivo su tutta quella larghissima strada, secondo lui: c’è un motivo per continuare a muoversi sulla metafora dell’asfalto o sul sintetico vero, senza azionare mai un solo dubbio. Tutto questo, poi, è anche la maniera più pura di giocare dell’ex Chelsea dentro il Milan, dove, con più minuti rispetto Londra, luccicare deve essere sicuramente meno complesso.
Insomma, nonostante tutte le cose successe, nel gioco del calcio si riesce a giocare ancora benissimo con Christian Pulisic in campo.
“Ipse dixit” (nei panni di Giorgio Furlani)
Purtroppo per quelli che si sentono più romantici, Pulisic non è tutto qui. In un calcio che sta noiosamente cambiando, il giocatore del Milan non può essere solamente palla, chilometri e soluzioni, ma rispecchia anche altro.
Il 26 luglio ai microfoni di ESPN, Giorgio Furlani, amministratore delegato del Milan subentrato a Paolo Maldini, svelò tutto sull’acquisto del giocatore, ma proprio tutto. Forse, le parole non ebbero particolare rilievo:
«Abbiamo comprato Christian Pulisic al 90% per questioni legate al campo. Pensiamo che sia un grandissimo giocatore e può darci tanto. Il Milan è un brand globale nel calcio e nello sport in generale, e per questo motivo vogliamo acquistare calciatori che hanno un appeal globale. Ecco l’altro motivo per il quale abbiamo scelto Pulisic. Poi, il motivo principale resta il fatto che è un grandissimo calciatore».
Dopo queste prime parole, Furlani aggiunse anche altro: «Subito dopo l’arrivo di Christian abbiamo visto un grande aumento a livello di interesse negli Stati Uniti: penso che le magliette del Milan che abbiamo venduto negli Stati Uniti nella settimana dopo il suo arrivo avevano il nome di Pulisic e il numero 11. C’è stato questo picco e speriamo che continui su questa strada».
Tutto questo perché, a tutti gli effetti, Pulisic è la personificazione del concetto di America nel calcio. Ed ogni suo nomignolo o ogni sua citazione, deve riportare agli States. Il senso di questo giocatore, per certi versi in missione, è anche questo. Un souvenir americano esportato in Europa.
Le parole di Giorgio Furlani vengono pienamente rispettate dai numeri degli introiti derivati dal mercato del merchandising. Per citare un paio di numeri: rispetto al giorno precedente all’arrivo dell’americano, quando il club rossonero ha annunciato Christian Pulisic ha registrato un incremento del 266% delle vendite generali dagli store del Milan. Naturalmente, grossa parte di questo aumento proviene dai soli Stati Uniti d’America (43% sul totale, mentre prima si fermavano all’esiguo 9% del totale), che conseguentemente diventano la prima nazione al mondo per numero di maglie rossonere acquistate. Ovviamente, nelle vendite delle maglie da gioco il 45% di esse riporta la personalizzazione “Pulisic” sulle spalle, e il 90% delle maglie di Pulisic sono state acquistate negli USA.
Cosa c’è laggiù, dietro all’America?
Non esiste l’America. È un nome che si dà ad un’idea astratta.
(Henry Miller)
In un senso calcistico è sempre stato così, come secondo l’americanissimo Henry Miller, seppur si riferisse a significati ben più profondi di questi. Perciò Pulisic è il nome che si deve dare a quel tentativo silenzioso che da anni prova a portare gli Stati Uniti dentro il mondo del calcio, o football, o meglio ancora, soccer.
Non sarà infatti un caso che Pulisic si può piantare sulla cartina geografica del calcio addirittura con il nickname di “LeBron James del soccer” – di certo un titolo che va più stretto al campione dei Lakers che al nostro esterno del Milan, per utilizzare un eufemismo. Allo stesso modo, non lascia spazio all’interpretazione il fatto che Pulisic sia da anni il volto, in quanto al calcio, della Puma nel “Nuovo Continente”. Oltre ai dati ed al discorso di marketing, c’è poi anche un fattore semplicissimo, ovvero che Pulisic è il giocatore manifesto nella selezione americana.
In fin dei conti, nella visione societaria del Milan, possiamo davvero intendere come Christian Pulisic rappresenti l’intoccabile motivo per cui gli americani dovrebbero seguire il calcio. Perché quello che il Milan cercava è tutto in quel Pulisic che fa da modello per i ragazzi dei college americani, o in quel Pulisic che ha un valore d’immagine inestimabile dentro aree oltreoceano che, in effetti, nessun altro calciatore potrebbe ricoprire così bene. Naturalmente, tutto questo capita in un club entrato in una nuova era con RedBird, in un periodo “storico” dove lo stemma del Milan si affianca a brand come quello dei New York Yankees o di LeBron James. È in un nuovo mondo più o meno fatato che si chiama Milan che, alla fine, c’è quel cognome europeo che si legge Pulisic e che contiene quell’insostenibile leggerezza dell’essere tanto immaginata, una “voglia” introvabile che soddisfa tutti i parametri dell’immaginario rossonero.
Pulisic, l’americano, è proprio un’idea espansionistica e non un concetto sportivo. Ma allo stesso tempo, invece, aggiunge di esistere alla grande anche sul campo, e fa tutti contenti.
E poi poco importa che l’americano abbia il cognome croato dal nonno paterno nato nell’isola di Ulbo in Dalmazia. Pochissimo importa se poi lui nasce a Hershey, che è la patria tutta americana del cioccolato, dentro la Pennsylvania verso la East Coast. Poco importa se l’esterno del Milan si è spostato già da bambino dai suoi States di nascita, ed importa ancora meno che abbia approfondito la conoscenza del gioco del football nei dintorni di Oxford, in Inghilterra.
In fin dei conti, conta molto di più che Pulisic abbia già girato tutta l’Europa tra Germania, Inghilterra e Italia, che stia ancora cercando qualcosa, passo dopo passo per tutta questa matassa di terre mondiali. E che così sembri ancora di più un americano alla conquista del mondo.
Dalla parte del Milan, invece, è un obiettivo importantissimo anche quello di seminare il germe del calcio laggiù, dentro l’America che piace tantissimo a Gerry Cardinale. Perché nessuno come Pulisic, in America, può vendere sotto un punto di vista tutto commerciale.
Non esistono esseri umani che possano rendere tanto facili dei cartelloni pubblicitari negli aeroporti, e dalle Montagne Rocciose al New Mexico, quanto questo nuovo numero undici rossonero. Nell’operazione Pulisic, c’è anche il Milan che ha sentito bene l’odore di quel 10% del giocatore a cui ha alluso Giorgio Furlani, che l’ha sfruttato tutto per sé per avvicinare il nome del Milan all’America (e ci è già riuscito). Uno che, dopotutto, si gode anche il restante 90% del giocatore, la parte sul campo.
Io, come gli altri, voglio cambiare il modo in cui il mondo vede il calcio americano.
(Christian Pulisic al The Guardian, 16/11/2022)
Insomma, qui con Pulisic non importano le radici europee, anche perché l’America è nata un po’ da qui e un po’ no. Piuttosto, come dall’essenza dei tanti poeti di quelle terre, se riesci ad essere famoso allora continua a girare ed a cercare una realizzazione personale, perché per come è quella cultura allargata tutta per Ovest, sicuramente riuscirai a restare per sempre uno dei loro.