Bergamo ha imparato a conoscere la Champions League. Senza spettatori, certo, ma le gioie calcistiche che solo la massima competizione europea può raccontare sono arrivate nelle case dei tifosi atalantini nel corso della scorsa estate, con un’Atalanta corsara nella fase ad eliminazione diretta. Settimana scorsa, invece, non c’è stato spazio per le gioie. Solo dolori, per la precisione cinque, tre dei quali confezionati da Diogo Jota.
Il lusitano classe 1996, nato nei primi di dicembre a Massarelos, piccola freguesia di Porto, terza città più popolosa del Paese, è solo l’ultimo di una serie di acquisti mirati a puntellare il reparto offensivo dei Reds. Obiettivamente, sta vivendo un momento di forma da capogiro, con la tripletta all’Atalanta che è solo la punta di un iceberg che, settimana dopo settimana, si compatta sempre più. Partiamo proprio da questa punta.
Um, dois, três… Jota!
Nella regione del Nord, affacciati sull’Oceano Atlantico, non è per nulla raro incontrare gruppi di ballerini intenti a muoversi avanti e indietro per allietare i presenti a passi di Chula, folkloristica danza portoghese. Colui che ha purgato gli uomini di Gasperini viene proprio da lì, e chissà che non abbia fatto proprie talune movenze.
Passi piccoli, esigui, quasi impercettibili. Tutto il contrario dei suoi movimenti in campo, mirati al pressing costante sugli avversari in fase di costruzione o su accelerazioni fulminee che, gioco forza, mettono in allarme le difese. Molto simili, però, al tocco che vale il momentaneo 0-1 contro i nerazzurri, dopo aver sfruttato un lungolinea di Alexander-Arnold.
Abbiamo accennato al pressing ed alle accelerazioni, ma la seconda rete alla banda di Gasperini è il prodotto di anni ed anni di controllo palla, stop sui filtranti in profondità, affinamenti del connubio tra gli scarpini e la sfera. Lancio calibrato di Joe Gomez dalla retroguardia degli inglesi, Jota controlla con il destro, elude un Hateboer arrivato in ritardo, se la sposta sul destro e batte di potenza Sportiello, senza avere il bisogno di angolare la conclusione.
La terza ed ultima rete, la quinta complessiva da parte del Liverpool, pare una fotocopia del gol che ha aperto le marcature nel giovedì più nero che azzurro al Gewiss Stadium. Mané lancia con il mancino Jota, che come nel primo tempo brucia in velocità un difensore avversario, in questo caso Palomino. Un rimpallo fortuito favorisce il portoghese, che, superato Sportiello, non deve far altro che confezionare il regalo nella cassetta della posta orobica alle spalle dell’estremo difensore dell’Atalanta.
0-5, tripletta del numero 20, quarta rete in tre presenze nella Champions League 2020/2021, coraggio e comparto tecnico da vendere. Ma, inaspettatamente, c’è di più. Per scoprilo dobbiamo fare un passo indietro, tenendo a mente come prestazioni del genere non siano nuove al nuovo attaccante dei Reds. In carriera, infatti, aveva timbrato altre quattro triplette:
- Wolverhampton-Espanyol 4-0, del 20 febbraio 2020;
- Wolverhampton-Besiktas del 12 dicembre 2019;
- Wolverhampton-Leicester 4-3 del 19 gennaio 2019;
- Nacional-Porto 0-4 dell’1 ottobre 2016.
Se in precedenza abbiamo analizzato l’ultima prestazione da protagonista, ora è necessario intraprendere il percorso alla lontana, tornando a Porto. Anzi, in un’altra freguesia, Paços de Ferreira.
Stepback lusitano
L’analisi della tripletta ai danni dell’Atalanta non è stato esclusivamente un mero sfoggio delle qualità dell’ennesimo giocatore di livello nella scuderia di Jorge Mendes. Semplicemente, Diogo Jota è sempre stato così. O meglio, ha sempre fatto in modo che ci si ricordasse di lui per ciò che mostra in campo. Può esserci una tripletta, come accaduto pochi giorni fa, può essere una prestazione incolore: sovviene il ricordo della sua presenza.
L’ha sempre dimostrato, fin dai tempi in cui l’arancione del Wolverhampton ed il rosso fuoco del Liverpool erano ancora orizzonti lontani da immaginare. Fin da quando negli spogliatoi sparsi per tutto il Portogallo, dall’Alentejo al Nord, passando per Algarve e Lisbona, il giallo acceso combinato ad un verde trifoglio su maniche e colletto.
Gli anni al Paços, nel cui settore giovanile entra a partire dai 17 anni, uscendo dal portone principale nel luglio 2016, lo catapultano in una dimensione cercata per svariati anni, quando vestiva le canotte d’allenamento del piccolo Gondomar, club rimasto nel cuore a Diogo. Il diretto interessato, infatti, non solo l’ha portato in Champions League giocando a Football Manager, ma ha deciso di agire nel concreto per la sua gente, sponsorizzando la squadra come testimoniano le parole del presidente Álvaro Cerqueira:
Lui era felice. Ha detto che è stato un onore per lui essere associato al club dove ha iniziato e dove è stato per 10 anni.
Ricordi che profumano di passato, quello che avrebbe potuto aver un risvolto differente proprio nell’estate 2016, come anticipato in precedenza. L’Atletico Madrid intravede un cospicuo potenziale nel giocatore, ma prima di buttarlo nella mischia sotto l’egida di Simeone lo lascia ancora una stagione in patria. Il salto, ad ogni modo, è grande.
Sì il salto rimane consistente, nonostante la distanza da percorrere al centro di allenamento non sia così elevata. Dal piccolo club di periferia, con cui colleziona 18 reti e 14 assist in 47 partite, sbarca nel secondo club più titolato del Paese, non molto lontano dai campi in cui ha iniziato a palleggiare in tenera età.
In una delle ultime gare disputate in maglia Paços, il destino vuole che chi la vittima sia proprio quella compagine che gli aprirà le braccia pochi mesi più tardi, quando diventerà a tutti gli effetti un giocatore del Porto: segna e fa impazzire la difesa dei Dragoni. Gioca talmente bene sull’out di sinistra che Nuno Espírito Santo non può non dargli spazio.
Alla quarta presenza, dopo essere partito dalla panchina nelle prime tre uscite, lo manda in campo dall’inizio. La risposta è uno dei flashback del Gewiss, con il numero 19 che si prende gioco degli avversari sul campo del Nacional, prima di farli letteralmente a brandelli: tre reti, l’inizio di una serie di prestazioni convincenti, come se questo stupisse. Il Porto perde solamente due gare in campionato, quelle in cui Diogo Jota non gioca nemmeno un minuto.
Un dettaglio che incide, che permane nella testa del tecnico portoghese, il quale l’estate successiva viene annunciato come nuovo allenatore del Wolverhampton. Scende di categoria, ma il progetto ha il suo perché: convincerà anche una sua recente conoscenza a seguirlo in uno dei campionati più temuti d’Europa. La Championship diventa uno dei tanti terreni da conquistare.
A suo agio
Erano quattro le triplette prima della notte magica in Champions League. Una ha rappresentato la prima prestazione da evidenziare con la maglia del Porto, le restanti tre inquadrano altrettante sfide in cui ha eviscerato per l’ennesima volta uno spirito di combattimento fuori dal comune.
Nessuna, però, arriva nella prima annata con la maglia degli Wolves, da cui viene annunciato poco tempo dopo l’approdo del suo ultimo allenatore in terra portoghese. L’operazione è un prestito con diritto di riscatto fissato a 14 milioni, troppo succulenta per non essere portata a termine. E infatti, trascorsa la prima stagione, nella quale sigla 17 reti (!) e 6 assist da ala sinistra in Championship, il Wolverhampton lo acquisisce a titolo definitivo, aprendo le porte ad un ritorno in Premier League atteso per sei anni.
Il salto di categoria non si fa notare nelle prestazioni, ma i numeri sono sintomatici di una difficoltà perlomeno iniziale. Fino a dicembre non segna nemmeno un gol, ma la rete decisiva nel 2-1 al Chelsea lo sblocca, per poi dare il via ad una delle tre prestazioni di cui sopra: 4-3 da capogiro al Leicester City, con tanto di voce spezzata per il telecronista nel finale su assist di Raul Jimenez, compagno di reparto ideale e punta dalla classe sopraffina.
Come ormai noto, arriveranno altre due triplette, una volta preso definitivamente confidenza con il livello della Premier League. Nella prima stagione, infatti, i Wolves di Portogallo, vista la grande abbondanza di lusitani in campo (lo stesso Jota, Ruben Neves, Rui Patricio e Joao Moutinho su tutti), conquistano l’accesso ai preliminari di Europa League, dove spezzano i sogni del Torino di Mazzarri.
È Europa, dunque, quando Bergamo era ancora lontana. Il Wolverhampton si fermerà ai quarti di finale, eliminato dal Siviglia poi vincitore. Ciò che non si dimenticherà di quella competizione, però, saranno i due 4-0 consecutivi contro Besiktas (in 11 minuti, dopo essere subentrato al 56′!) ed Espanyol: altri due palloni portati a casa Jota, altre due gare in cui il popolo in giallo lo erige a conquistatore d’Inghilterra, visto che il DNA lusitano non mente.
Eppure non vince. Non ha lo status per farlo, non ha i mezzi necessari al suo fianco, eccezion fatta per un Portogallo straripante nella Nations League 2019, che però diciamocelo, conta quel che conta. E poi nella sfida decisiva contro l’Olanda non scende in campo, lasciando il palcoscenico a Gonçalo Guedes, Bernardo Silva e Cristiano Ronaldo.
Ha bisogno di un salto di qualità, una squadra che lo possa valorizzare in teatri più affascinanti del Molineux Stadium. Sapete già di quale colore sia tinta la risposta.
Klopp voleva Jota
La sensazione è che la continuità ottenuta nelle ultime partite disputate dal Liverpool, che esse sia sotto la Kop (ancora vuota, a malincuore) o lontano da Anfield poco importa, non sia come accennato frutto di un caso.
Le belle prestazioni non mi fanno mai venire il mal di testa. Per il modo in cui difende l’Atalanta, sapevamo che schierare Diogo sarebbe stato ottimale. Ad ogni modo, il mondo talvolta tende ad essere un bruttissimo posto: quando qualcuno brilla, si mette in discussione un giocatore che sembra aver giocato 500 partite di fila con noi.
Il riferimento non è esplicito, ma permane chiaro. Nonostante sia scorretto distogliere l’attenzione da Roberto Firmino, il meteorite Jota è atterrato sulla sponda Reds del Mersey ed i riflettori non possono che esaltare quanto già il portoghese brilli di luce propria. E ancora, non può essere un caso: Klopp lo voleva perché si plasma alla perfezione con il suo stile di gioco.
Come fa notare The Athletic, il numero 20 del Liverpool è una vera e propria macchina da pressing sugli avversari in costruzione di gioco. Morde le caviglie come un mediano, ma lo fa guardare in faccia i difensori e/o chi occupa la cabina di regia. In più, come sottolineato da Ultimo Uomo, un’altra caratteristica propria del fenomeno lusitano in rampa di lancio è il tempismo con cui sfrutta le probabili occasioni in fase offensiva, specialmente come nel caso dei filtranti lunghi, come avvenuto contro l’Atalanta.
È consapevole di dove andrà il pallone e talvolta lo fa persino notare ai compagni di squadra. È consapevole, inoltre, come sottolinea nell’intervista dopo la tripletta agli orobici, di non aver ancora scritto e revisionato il capitolo più appassionato del suo romanzo.
Non sono sicuro che questo sia il miglior momento della mia carriera, ma segnare è ciò che contraddistingue il mio modo di giocare a calcio.
Parole e musica del diretto interessato. Poco da dire, se non che tendiamo a fidarci: attendiamo quel momento Diogo, va bene anche senza preavviso.