È appena scoccato il minuto 37 della finale di ritorno della Coppa Italia Primavera 2018/2019, quando Dusan Vlahovic, attaccante della Fiorentina, viene servito sul versante destro della trequarti avversaria.
Il primo controllo di Vlahovic è difettoso: piuttosto che una giocata più conservativa il serbo preferisce allungarsi il pallone verso la bandierina e affrontare in velocità il difensore avversario, non calcolando nel modo corretto il suo posizionamento. Il difensore del Torino con cui duellava pare in netto vantaggio, ma Vlahovic non demorde e usando un po’ di malizia riesce a sbilanciarlo quel tanto che basta per sottrargli la sfera.
A quel punto il centravanti della Fiorentina entra in area dal lato corto, affronta Singo in uno contro uno e, sfruttando un’ingenuità di quest’ultimo, conquista un calcio di rigore. Vlahovic stramazza a terra, lancia uno sguardo all’arbitro che nel frattempo ha fischiato il fallo e in una frazione di secondo si rialza raccogliendo, senza indugiare, il pallone. Fatta sua la sfera accenna una mezza esultanza, punta dritto verso il dischetto e attende che le proteste di rito si esauriscano. Bersagliato dal pubblico con fischi ed epiteti razzisti, Vlahovic realizza il gol del vantaggio con un docile cucchiaio, indicando con i pollici il nome dietro la maglietta ed esultando in maniera rabbiosa sotto la curva avversaria.
Nella gara d’andata l’ex Partizan Belgrado aveva regolato gli avversari con una doppietta realizzata sul terreno del Franchi, i primi gol nello stadio in cui pochi mesi prima aveva esordito con la maglia della prima squadra. Quello realizzato tra gli spalti del Filadelfia sarà il 15esimo gol della sua stagione, a fine anno saranno 19 in 19 presenze tra campionato e Coppa Italia Primavera.
L’atteggiamento sfrontato con cui affronta il pubblico del Torino, da chi non teme nulla perché sicuro dei propri mezzi e quasi si alimenta del vento contrario, era evidente sin dai tempi del Partizan, quando Valerj Bojinov lo ricordava così:
Vlahovic a 15-16 anni era matto, ma matto vero: mi diceva “io divento il più forte di tutti, sono il nuovo Ibrahimovic di Belgrado, della Serbia. Giocherò nelle squadre più forti”. Mi piaceva questa sua arroganza, pensavo già allora che sarebbe diventato un giocatore forte.
Difficile trovare qualcuno che abbia incrociato il percorso di Vlahovic che non ne parli con toni entusiastici. Corvino, che lo ha scoperto e portato a Firenze assieme a Milenkovic, parla di lui come di un talento impossibile da non notare; Emiliano Bigica, suo allenatore ai tempi della Primavera viola, lo descrive come uno affamato e ossessionato dal calcio, mentre Prandelli si è lanciato in un paragone ardimentoso definendolo più forte di Adriano alla sua età.
Risulta anche difficile non credere a queste parole dopo aver osservato quello che Vlahovic sta facendo nella stagione in corso: con la doppietta al Bologna, i gol in campionato sono diventati 19 – il più giovane a raggiungere questa cifra in Serie A dai tempi di Altafini nella stagione 58’/59′ – di cui 15 nel 2021 (primatista in questa speciale classifica con Simy e Ronaldo) e 10 (!) nelle ultime 8 giornate. Nei top campionati europei, tra gli U21 solo Haaland ha numeri migliori dei suoi, mentre tra i nati nel nuovo millennio lui, lo stesso Haaland, Gouiri, Kean e David sono gli unici ad aver raggiunto la doppia cifra di gol. Insomma, è indubbio che quando si parla di Dusan Vlahovic lo si fa con la relativa certezza di trovarsi dinanzi ad uno degli attaccanti dal futuro più florido nel panorama mondiale.
Non bastano i gol belli
Il calcio di Vlahovic merita però un’analisi più approfondita, perché complesso da analizzare nelle sue diverse declinazioni. La premessa d’obbligo da fare è che Vlahovic è un calciatore istintivo. Difficilmente lo vedrete ricevere il pallone e attendere placidamente uno scarico sicuro; piuttosto, anche in condizioni di palese svantaggio, tenderà ad intestardirsi in giocate ambiziose. Questo, che al momento rappresenta il suo più grande limite, ci ha però permesso di vedere anche il lato più puro del suo talento, quello fatto di gol impensabili e colpi estemporanei da highlights su YouTube.
Il gol più celebre resta quello realizzato all’Inter nella passata stagione, ma in questa categoria ci rientrano di diritto anche il secondo al Cagliari e quello segnato al Napoli. I gol, entrambi realizzati lo scorso anno, sono pressoché identici nella conclusione a rete: a cambiare è solo il posizionamento degli avversari. In quello poco significativo ai fini del risultato realizzato alla Sardegna Arena, dopo un calcio da fermo Vlahovic replica l’uno contro uno avuto con Singo nella finale di Coppa Italia Primavera, ma questa volta piuttosto che cercare il contatto si crea una finestra di spazio per calciare in porta.
In quello dal peso specifico maggiore realizzato al San Paolo, invece, si ritrova sempre in isolamento con il diretto marcatore, ma con l’area sgombra. I tiri con cui realizza i due gol, come detto, sono identici: Vlahovic apre l’interno del piede sinistro e disegna una traiettoria arcuata indirizzata verso il palo lontano. Due gol bellissimi, che mettono in risalto la naturalezza con cui usa il mancino per calciare e, se realizzati da un centravanti alto 190 cm, ti fanno guardare lo schermo con occhi trasognati pensando che, beh, se fa questi gol, chissà in area di rigore cosa combinerà. Ecco, questo sillogismo la cui formulazione apparentemente non lascia dubbi sulla sua veridicità, con Vlahovic non ha dato subito i riscontri attesi.
Nella passata stagione, quella che minutaggio alla mano possiamo definire la prima in Serie A, dopo aver realizzato il quinto e il sesto gol del suo campionato alla 24esima giornata contro la Sampdoria, Vlahovic ha smesso di segnare, rimediando anche un espulsione diretta e una serie di panchine piuttosto prolungata. La striscia negativa si è momentaneamente interrotta ancora contro la Sampdoria – a cui Vlahovic ha segnato 4 dei 25 gol realizzati fino ad ora in Serie A – all’inizio di questa stagione, prima di ripiombare in un periodo di secca.
Secondo il modello di Understat dalla prima alla 14esima giornata, nonostante producesse 0,70 xG ogni 90 minuti, Vlahovic era tra i peggiori attaccanti del campionato nel rapporto tra gol attesi (6,15xg) e gol realizzati (4, di cui 2 su rigore). Peggio di lui solo Dzeko, che almeno in campionato sta vivendo una stagione paragonabile alla prima in Italia, e attaccanti mai stati in confidenza con il gol come Lasagna e Lapadula o a fine corsa come Palacio.
Nei primi mesi di stagione, anche Vlahovic sembrava patire la penuria tecnica, ma soprattutto tattica, che lo circondava. Per intenderci, una condizione simile a quella che sta vivendo, in maniera più prolungata, Gaetano Castrovilli. Un contesto caotico, la mancanza di punti di riferimento e una perdita di fiducia hanno quindi contribuito alla stasi nel percorso di crescita di Vlahovic, che continuava a far vedere colpi interessanti ma accompagnati da limiti altrettanto evidenti.
Il punto di svolta è stato rappresentato, con ogni probabilità, dal gol che nell’ultima gara dell’anno contro la Juventus ha stappato un match poi finito 0-3. Il controllo con cui ammortizza la verticalizzazione di Ribery, la corsa con cui tiene dietro de Ligt e il pallonetto con cui batte l’incolpevole Szczesny hanno ridato verve ad un calciatore apparso un po’ spento. Utilizzando sempre i numeri come strumento per misurare il cambio di passo effettuato, dalla gara successiva (la prima del 2021) fino a quella di Bologna, Vlahovic, al pari di Simy, ha fatto segnare il miglior rapporto tra gol realizzati (15) e gol attesi (10,72 xG). Oltre ad autentiche perle come il terzo gol al Benevento o quello al Genoa, Vlahovic ha iniziato a farsi sentire di più anche in area di rigore, migliorando nel posizionamento e nella comprensione degli spazi da attaccare.
Pregi e difetti di Dusan Vlahovic
Vlahovic non si può ancora definire un finalizzatore completo: dei 25 gol realizzati in Serie A, 7 sono arrivati su rigore, 15 con il fidato sinistro, 2 di destro (entrambi in tap-in) e solo uno di testa, anch’esso da posizione ravvicinatissima. Lo stesso Vlahovic ha parlato del suo colpo di testa in maniera molto critica, citandolo tra i fondamentali su cui deve lavorare molto. In questo senso anche nei duelli aerei deve migliorare: al momento ne ingaggia circa 8 ogni 90 minuti vincendone poco più del 40%. Cifre troppo basse per un attaccante della sua taglia.
Nella sezione miglioramenti da compiere va menzionato anche il gioco spalle alla porta e, parallelamente, l’uso del piede destro. Oltre a limitarlo in zona gol, dove tende sempre a cercare di coordinarsi con il mancino, anche negli appoggi più semplici la scarsa fiducia nel piede debole lo condiziona moltissimo, portandolo a commettere errori piuttosto vistosi.
L’uso del corpo invece, come ampiamente prevedibile, sta migliorando sensibilmente. Nell’ultima giornata ha sapientemente protetto il pallone in più di un occasione contro Soumaoro, un difensore ostico nei duelli fisici e tutt’altro che leggero quando ti si pianta alle spalle. Stasera, nella sfida del Franchi contro la Lazio, sarà interessante misurare i suoi progressi contro un marcatore di livello elitario come Acerbi. Avendo visto i miglioramenti fatti da Lukaku nel gioco spalle alla porta, nell’utilizzo delle braccia per tenere a debita distanza gli avversari, sarebbe suggestivo vedere Vlahovic nelle mani sapienti di Antonio Conte. Personalmente, non mi stupirei se dopo qualche mese diventasse impossibile da anticipare.
Quando può correre fronte alla porta, invece, Vlahovic è come se montasse a cavallo e trovasse fluidità galoppando. Per disarcionarlo, il fallo diventa la soluzione obbligatoria. Il giocatore robotico e macchinoso descritto spalle alla porta, quando può voltarsi si trasforma in un armadio a quattro ante che si abbatte sugli avversarsi facendoseli rimbalzare addosso. Oltre alla potenza che sprigiona, Vlahovic ha una sensibilità tecnica e una rapidità di piedi di livello più che discreto, grazie alle quali riesce a districarsi anche in spazi congestionati.
L’eccessiva confidenza nei propri mezzi lo porta ancora ad esagerare o a vedere poco i compagni, ma nei momenti in cui i suoi istinti si concretizzano Vlahovic sembra uno scherzo della natura, un extraterrestre planato sul nostro pianeta per presentarci una versione aggiornata della prima punta old style: un prototipo che oltre a fare a sportellare con i difensori è in grado di fare tunnel con la suola.
Del doman non v’è certezza
A 4 giornate dal termine del campionato, nel futuro di Vlahovic c’è solo la salvezza da ottenere – preferibilmente senza troppi patemi d’animo – con la Fiorentina. Solo successivamente sarà interessante valutare dove proseguirà la sua crescita. A Firenze, in un contesto in cui è ormai riconosciuto come l’ancora di salvezza a cui aggrapparsi, il suo gioco fatto di rischi continui e giocate ambiziose è germogliato rapidamente, finendo per oscurare gli angoli del suo gioco ancora da smussare.
In caso di cessione in un club di fascia alta (si parla con insistenza di Roma e Milan per l’Italia, ma anche di Borussia Dortmund in caso di addio di Haaland) sarà interessante vedere come e se sarà in grado di traslare il suo modo di stare in campo ad un livello superiore. Sicuramente, la tendenza ad abbassare la testa appena entra in possesso della sfera gli sarà giustificata meno, e la partecipazione alla manovra sarà una richiesta sempre più frequente. Come detto, è troppo presto per sviscerare queste tematiche; avremo un’intera estate per farlo, ma l’interesse che già da diversi mesi circola su Dusan Vlahovic è un’ulteriore conferma della rarità del suo talento.