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NAZIONALI

Gli Europei al microscopio: Francia, Germania, Portogallo e Ungheria

L’ultimo girone da analizzare in questa competizione continentale itinerante è quello più ricco di talento. Ecco al microscopio il Gruppo F di Euro 2020, con Francia, Germania, Portogallo e Ungheria.

Anche Euro 2020 sarà della Francia?

di Gianluca Losito
La Francia esulta in vista di Euro 2020
Una vera e propria corazzata (Foto: Anthony Bibard/FEP/Panoramic/Imago Images – OneFootball)

Riavvolgendo il nastro delle competizioni internazionali per nazionali, è difficile trovare una squadra che arriva con i favori del pronostico così tanto concentrati su di sé come la Francia di Didier Deschamps, che si appresta a disputare l’Europeo da campione mondiale e vice-campione europea in carica, a coronamento di un percorso iniziato al mondiale brasiliano del 2014, quando la Francia fu eliminata solo dalla capocciata di Hummels ai quarti di finale.

Un risultato che in terra transalpina fu accolto più che positivamente, dopo i due flop consecutivi in Sudafrica e Polonia-Ucraina, che ha dato il via ad un’escalation che ha visto i Galletti diventare la miglior nazionale del globo. La squadra francese sembra essere disegnata appositamente per scacciare via tutte le perplessità che si possono creare nei suoi confronti, siano queste di natura tecnica, tattica o carismatica. A partire dal pericolo appagamento: rispetto alla spedizione russa, ci saranno 15 reduci e 11 novità, bilanciando in maniera abbastanza equilibrata gli elementi con il metallo pesante già a casa e quelli intenzionati ad arricchire il proprio palmarès con un trionfo con la maglia della Madrepatria.

Gli undici novelli, ipoteticamente schierabili per altro perfettamente sul terreno di gioco con un 4-2-3-1 piuttosto aderente ai princìpi del tecnico ex Marsiglia e Juventus, annoverano tra le loro fila diversi calciatori che potrebbero essere tra i pilastri di questa spedizione, portando in dote qualità e motivazione. Come menzionato sopra, Les Bleus giocano un 4-2-3-1 attento ed equilibrato, con una difesa prudente (ma non catenacciara) che punta sulle individualità e la compattezza di reparto (anche se quest’estate potrebbe alzare la linea, a seconda di chi scenderà in campo), mentre dalla cintola in su si caratterizza per la sua verticalità spiccata, arrivando a portare a ridosso della trequarti diversi dei suoi elementi tecnicamente migliori, che da lì possono dare sfogo alla loro creatività o far valere le maggiori doti atletiche.

In porta si posizionerà capitan Lloris, leader del gruppo, che in questa stagione è tornato a difendere i pali del Tottenham dopo lo spaventoso infortunio che l’aveva colpito nell’annata precedente. L’estremo difensore degli Spurs è un sottovalutato cronico: per la quarta stagione consecutiva il suo differenziale tra Post-Shot xG ed i gol effettivamente subiti è risultato positivo. Alle sue spalle il neo-milanista Maignan, alla prima competizione internazionale coi Bleus, e l’eterna riserva Steve Mandanda.

In difesa, come del resto negli altri reparti, c’è l’imbarazzo della scelta. L’unico sicuro del posto da titolare dovrebbe essere Varane, mentre attorno a lui i ballottaggi sono diversi e ricchi di qualità, nonché di varianti tattiche. Per lo slot da secondo centrale, potrebbe addirittura configurarsi un mexican stand-off tra Koundé, Lucas Hernandez e Maestro Kimpembe. Ognuno di loro ha motivazioni solide per ambire a questo ruolo, con i primi due che potrebbero tornare utili anche utilizzati da esterni bassi. Dei tre, l’unico oro mondiale è il classe 1996 in forza al Bayern Monaco, che questa stagione si è sdoppiato tra il ruolo di centrale sinistro (ruolo originario e più propenso alle sue caratteristiche) e quello di esterno basso, sempre sul lato mancino; tra le partite di quest’anno, è degno di noto il ritorno dei quarti di Champions League contro il Paris Saint-Germain, in cui ha offerto una prestazione maiuscola nonostante l’uscita dal torneo dei bavaresi.

Koundé parte teoricamente alle spalle dei due colleghi, ma per la seconda stagione consecutiva si è rivelato uno dei più forti centrali della Liga e non solo: l’esplosività lo aiuta nell’anticipo, l’intelligenza calcistica gli permette di svolgere al meglio i compiti del centrale a 360°, dalla marcatura all’impostazione. Difatti, le spiccate qualità tecniche permettono al difensore originario del Benin di aiutare sia costruendo dal basso sia, soprattutto, in conduzione palla al piede; Koundé eccelle anche nel dribbling e, come già detto, non si fa problemi a difendere campo alle sue spalle grazie a un’elevata velocità di punta, motivo per cui potrebbe anche essere spostato sulla fascia destra.

Tuttavia, la scelta sugli esterni bassi dovrebbe ricadere a sinistra sul fratello di Theo e a destra su Benjamin Pavard, un altro reduce del 2018, utile come terzino più difensivo ma presente anche nella metà campo avversaria: con Mbappé sulla sua fascia, è necessario avere un giocatore che riesca a fargli arrivare la palla anche da corridoi esterni, tanto che la Francia costruisce e attacca perlopiù sulla fascia destra. Con Kimpembe designato titolare al centro, dopo una stagione in cui si è affermato definitivamente nella sua Parigi, e Koundè come prima riserva, Lenglet rimane sullo sfondo. Per i ruoli di esterni bassi, Leo Dubois a destra e Lucas Digne a sinistra rappresentano le soluzioni più offensive. Il secondo in particolare ha effettuato un percorso di crescita con la maglia dell’Everton, che l’ha portato ad essere uno dei terzini più creativi della Premier League.

Dal duo in mediana passano speranze e paure dei Bleus, che vengono distribuite equamente tra gli immensi polmoni di uno N’Golo Kante che questa stagione non ha bisogno di commenti – anzi, di uno sì: Pallone d’Oro – e di un Paul Pogba mai troppo continuo nella tempesta Mancuniana dell’ultimo quinquennio, ma sempre ad alto livello in nazionale. Grazie al Polpo i campioni del mondo hanno una valvola di sfogo per il gioco anche per vie centrali, con l’ex Juventus sempre pronto a verticalizzare o dialogare con Griezmann, che negli anni è stato faro tecnico di questa formazione. Il trequartista di origini francesi ha avuto degli anni travagliati in Catalogna, soprattutto alla luce del fatto che un lavoro come quello di cui si occupa in nazionale è responsabilità del compagno con la 10 quando gioca in maglia blaugrana; ma proprio per l’assenza di un compagno così ingombrante, in nazionale è tutt’altra storia.

Per piegare le azioni alla sua volontà, la Francia si serve principalmente di due fattori: grande fisicità e dominio aereo quando colpisce da fermo, mentre su azione manovrata preferisce portare nella trequarti avversaria il maggior numero di uomini possibili, perlopiù in maniera diretta, sicché questi con la loro creatività riescano a bucare le maglie avversarie. Un innesto ricco di materia grigia arriva grazie al ritorno con la maglia color blu navy, dopo 6 anni di esilio, di Karim Benzema: ennesimo giocatore che non ha bisogno di commenti (ve l’avevo detto: sembra facile parlare di questa squadra, ma ogni volta ci si ritrova a dire “ok, questo è fortissimo, sapete già tutto”. Ed è effettivamente così).

Sul franco-algerino c’è un dubbio di natura fisica, con l’infortunio subito contro la Bulgaria in amichevole che rischia di minare il suo percorso (ma ha dichiarato pochi giorni fa di sentirsi di nuovo al 100%) e uno di natura tattica: la squadra è stata abituata a giocare con un centravanti che lavorasse più di sponda quale Giroud, mentre Benzema è più abituato a tenere palla per cercare la soluzione migliore e più raffinata. In ogni caso, un vecchio adagio dice che i calciatori di talento riescono sempre a trovare la via per intendersi tra loro, e ciò che non manca ai giocatori impiegati nella fase offensiva francese è di sicuro quello. Vige un dubbio su una posizione intrisa di epica in questa squadra, quella dell’esterno sinistro: presa in rassegna da Matuidi fino a poco tempo fa, ora che il giocatore cresciuto nel Saint-Etienne si è dato al calcio minore persiste una sorta di vuoto che potrebbe essere occupato da Rabiot, Lemar o Tolisso.

Pensandoci, non è un caso che questo ruolo sia una prerogativa dei centrocampisti mancini in forza alla Juventus, poiché dal loro lato si muove un giocatore come Ronaldo che non collabora in fase difensiva (anche se all’epoca del Mondiale russo non era ancora arrivato in maglia bianconera, ma si applica per ciò che ha dovuto fare dopo Blaise). A rafforzare la candidatura del classe 1995 anche la sua predisposizione per la corsa in campo aperto, tanto che spesso e volentieri è stato paragonato ad un animale di razza equina proprio per il suo passo galoppante; un marchio di fabbrica che si incastra perfettamente con lo stile reattivo impostato dal commissario tecnico dei Galletti.

Tra Lemar e Tolisso chi dovrebbe andare al ballottaggio è il centrocampista dell’Atletico Madrid, che durante questa stagione è stato protagonista di un’inaspettata metamorfosi, che l’ha visto passare dai ranghi di oggetto misterioso ad un ruolo principale e fondamentale nella cavalcata trionfale dei Colchoneros in Liga. Mezzo sinistro di un 3-5-2 in fase di possesso, quarto sulla fascia mancina in un 4-4-2 scolastico in fase di non possesso: Simeone non ha voluto rinunciare quasi mai ad un calciatore che dal punto di vista tecnico non si discute (ambidestro quasi puro, bravissimo nel dribbling secco e nel dialogo nello stretto) ma che era rimasto in un limbo motivazionale pericoloso per almeno un paio d’anni. Il machiavellico camaleontismo unisce il Cholo e Didì, con quest’ultimo che saprebbe di poter contare su un ulteriore calciatore abilissimo nella rifinitura, utile sia in ripiegamento che di fronte all’area di rigore.

Il banchetto offensivo si completa con le presenze niente affatto di contorno di Wissam Ben Yedder, che ha regalato l’ennesima stagione di grande calcio a Monaco, e Marcus Thuram, reduce da una stagione in doppia doppia tra tutte le competizioni (11 gol e 12 assist in 40 partite tra tutte le competizioni). Un concentrato di talento, esperienza e fame rari difficilmente si sono visti. Questa squadra ha tutto: elementi che possono guidarla in momenti difficili, altri vogliosi di alzare il loro primo trofeo internazionale, maghi del pallone che possono inventare qualsiasi cosa da un momento all’altro.

Il girone è di quelli da far impazzire: Germania all’esordio, per altro sul terreno casalingo dei teutonici all’Allianz Arena; Portogallo, in un revival della finale di Parigi nonché incontro tra le squadre che arrivano con più hype a questo torneo; Ungheria, sicuramente più abbordabile, ma da non sottovalutare per due motivi: il vantaggio casalingo della Puskas Arena e il blocco difensivo di 5 uomini (e si sa che la Francia ha più difficoltà nello scardinare questo tipo di retroguardie). Insomma, questa Francia può solo vincerlo l’Europeo, ed è proprio per questo che fallirà.

La Germania è chiamata a una ripartenza

di Nicola Boccia
La Germania esulta in vista di Euro 2020
Riscatto in vista? (Foto: Imago Images – OneFootball)

Il calcio è un gioco semplice: 22 uomini rincorrono un pallone per novanta minuti, e alla fine la Germania vince.

Era una delle ultime notti magiche di un’estate italiana, quando queste parole venivano per la prima volta pronunciate, almeno stando alla narrativa popolare. Era la sera della semifinale tra Germania e Inghilterra (vinta dai primi ai calci di rigore), quando un Gary Lineker piuttosto amareggiato sintetizzò con questa semplice massima un concetto già all’epoca chiara a tutti, e che con il passare degli anni sarebbe diventato il mantra per ribadire l’incredibile, a volte persino odiosa, capacità dei tedeschi di arrivare sempre sino in fondo a qualsiasi competizione.

Il Mondiale del 2018 – e se vogliamo anche la prima edizione della Nations League – ha per la prima volta infranto quella che ormai sembrava essere una legge non scritta, ma apparentemente infrangibile, con quell’eliminazione ai gironi che ha inevitabilmente segnato una frattura all’interno del percorso della nazionale, evidenziando come per una volta qualcosa fosse andato storto nella programmazione dei tedeschi. Non è certo un caso l’abdicazione di Joachim Low al termine dell’Europeo, come del resto non lo sono i ritorni in squadra di due come Muller e Hummels, segno inequivocabile del bisogno di ritrovare una compattezza ormai persa.

La Germania arriva a questo Europeo ridimensionata, per quanto possibile, nelle aspettative, ma inevitabilmente con l’obbligo di dover arrivare quantomeno tra le prime otto, anche per riscattare un ultimo periodo non proprio dei più brillanti: basti pensare alle abbastanza recenti sconfitte sonore con Spagna e Macedonia. In questo senso il sorteggio non è stato di certo dei più benevoli, data la presenza degli alemanni in quello ch’è stato ribadito univocamente, e di certo non a torto, “il girone della morte”, in cui si troveranno a fronteggiare i campioni in carica del Portogallo e la Francia campione del mondo, con l’Ungheria a far (non me ne vogliano) da vittima sacrificale alle ambizioni delle big.

Nonostante il momento storico non proprio esaltante, i tedeschi rimangono una formazione dal tasso qualitativo imbarazzantemente alto. Inutile dire chi vi sarà tra i pali, mentre alla difesa della porta potrebbero esserci già le prime sorprese. Nelle ultime uscite precedenti l’inizio del torneo, il CT ha infatti testato in entrambe le occasioni un’inedita difesa a tre, a differenza dell’usuale schieramento a 4, che potrebbe diventare più che un semplice esperimento. In questo modo si sfrutterebbe la massiccia presenza di centrali difensivi e si sopperirebbe allo stesso tempo alla mancanza di un terzino destro realmente capace di incidere – come invece potrebbe fare sulla sinistra Gosens -, sfruttando il passato di Kimmich da terzino, che in ogni caso avrebbe possibilità di accentrarsi in quanto il terzo centrale di riferimento dovrebbe essere Klostermann, in grado di occupare la posizione di terzino in fase di possesso palla.

Il centrocampo deciderà indubbiamente molto delle sorti della squadra nella competizione. Che sia a 4 o a 3 poco importa, a Kimmich si affiancheranno in ogni caso Gundogan e Kroos (Goretzka pronto subito alle loro spalle), con il primo reduce da quella che forse è stata la sua migliore stagione in carriera, ma con soprattutto il secondo che dovrà caricarsi ancora una volta sulle spalle il peso di dover far girare nella giusta maniera gli ingranaggi della squadra. Non è certo un caso se il calciatore del Real Madrid è finito sulla nostra copertina. La sua annata non è stata una di quelle da narrare ai posteri – apparendo oltretutto nel finale di stagione spesso un po’ affaticato -, ma la squadra di Low ha per forza di cose bisogno del miglior Kroos per poter far bene. Pur avendo al fianco compagni non troppo dissimili, in particolar modo riguardo le doti di palleggio, le geometrie e i tempi di gioco del 31enne sono impareggiabili. Mai come quest’anno la Germania avrà bisogno di gestire e rallentare il gioco, non avendo a propria disposizione la stessa forza di dominare gli avversari come in passato, e in fare ciò sarà appunto imprescindibile il lavoro del nostro uomo copertina, capace di governare i momenti della partita come nessuno e dotato di una leadership e di un’esperienza che lo rendono un vero e proprio totem all’interno del rettangolo di gioco.

Nel reparto avanzato la situazione dovrebbe essere meno chiara, e sinceramente non darei niente per scontato. A tal proposito la mancanza di una vera prima punta rende tutti gli elementi a disposizione dell’allenatore capaci di giocare in quello che (trequartista o meno poco cambia) sarà il trio offensivo. L’ottimo finale di stagione dovrebbe aver fatto guadagnare ulteriori posizioni ad Havertz, il quale in un tridente ideale potrebbe essere affiancato da Sané, entrambi alle spalle di un Werner che sarebbe fondamentale per dare quantomeno un punto di riferimento alla squadra. Tuttavia la batteria offensiva dei tedeschi lascia ampi margini di manovra, anche perché formata da giocatori in grado di coesistere alla perfezione tra di loro: ai nomi già citati si aggiungono Volland, Muller e Gnabry.

Come già detto, quella che si affaccia al torneo non sarà (o almeno non dovrebbe, mai dare per morti i tedeschi) la classica Germania, con l’Europeo che segnerà inevitabilmente uno spartiacque per la nazionale: starà al percorso compiuto dirci se in negativo o in positivo. Il girone certo non aiuta, anche se la formula della competizione lascia grandi possibilità di passare il turno anche alle terze classificate. Le partite contro Francia e Portogallo saranno importanti soprattutto per cercare di ritrovare quelle certezze che ormai a questa formazione sembrano mancare da qualche anno a questa parte, e per testare a che punto sia il processo di crescita. Plausibile aspettarsi di tutto, da una precoce eliminazione ai gironi fino ad un cammino che potrebbe arrivare anche all’atto decisivo.

Euro 2016 -> Euro 2020: è un Portogallo più forte

di Andrea Codega
Il Portogallo esulta in vista di Euro 2020
Il miglior Portogallo da tanto tempo a questa parte (Foto: Imago Images – OneFootball)

Il Portogallo di Fernando Santos arriva a Euro 2020 con un paradosso gigantesco: A Seleção das Quinas, così come viene soprannominata, si presenta alla competizione europea con il dovere di difendere il titolo conquistato nel 2016 con una squadra nettamente e incredibilmente più forte di quella che cinque anni fa riuscì a sollevare, contro ogni pronostico, il trofeo più ambito nella finale contro la più quotata Francia, grazie a un goal di Eder.

Le enormi distanze tra la formazione tipo che si era presentata agli Europei di cinque anni fa in Francia e quella che presumibilmente si presenterà quest’anno sono presto dette. Da Cedric Soares a Joao Cancelo sull’out di destra (avvicendamento tutto nerazzurro), da una linea mediana formata da Danilo Pereira e/o William Carvalho con Adrien Silva, Renato Sanches e Joao Mario – questi due autori di una cavalcata stellare, per la verità – a un ventaglio di scelte che si apre con Bruno Fernandes, Bernardo Silva e vede aggiungersi giocatori di grande qualità come Sergio Oliveira e Ruben Neves; da un reparto offensivo che poteva affidarsi, sostanzialmente, al solo Cristiano Ronaldo e a Nani, a una selezione che ora può contare anche sull’astro nascente Joao Felix, su un Diogo Jota assai positivo nella sua prima annata a Liverpool e su un redivivo Andrè Silva, atteso dallo scomodo ruolo di punta di scorta, proprio alle spalle del fenomeno portoghese col numero 7.

La Nazionale di Fernando Santos dovrà dunque difendere un titolo conquistato grazie all’amalgama del gruppo con una selezione, ora, composta da individualità di livello assoluto, tra le migliori del panorama internazionale. Per un Cristiano Ronaldo che rimane un giocatore capace di decidere una partita da solo ma sembra aver intrapreso la via di un lento declino – non in termini numerici quanto prestazionali -, la Nazionale iberica può innanzitutto contare su due terzini tra i migliori al mondo nelle rispettive posizioni: a destra Joao Cancelo che si è rivelato uno dei principali punti di forza del City 2020/21 targato Guardiola, a sinistra il sottovalutato Raphael Guerreiro. Due terzini di spinta ma soprattutto di altissima tecnica e qualità: due caratteristiche che spiccano per il ruolo rivestito dai due giocatori e per il modo in cui lo interpretano, ma soprattutto due comuni denominatori dell’intero pacchetto portoghese.

Anche dal centrocampo in su, infatti, le parole d’ordine sono la qualità e la fluidità del sistema. Tra un Ronaldo che fungerà da numero nove ma che comunque svarierà a piacimento, i due terzini che offriranno la necessaria ampiezza e un Ruben Neves nelle vesti di regista davanti alla difesa, le zone centrali del campo saranno occupate – alternativamente – da Renato Sanches, Bruno Fernandes, Joao Felix, Diogo Jota e Bernardo Silva. Il primo sta pian piano ritornando nel pieno delle sue potenzialità dopo la vittoria della Ligue 1 con il Lilla, da protagonista. Il secondo ha inanellato diciotto mesi stellari con la maglia del Manchester United: diciotto gol e undici assist nell’ultima Premier League sono numeri altisonanti per un trequartista, un giocatore da cui passerà tanto della produzione offensiva portoghese ma da cui tutti si aspettano grandissime prestazioni, tanto da poter essere uno dei possibili MVP della competizione, specialmente se il Portogallo dovesse farsi largo nel torneo. Joao Felix ha avuto un’annata di luci e ombre con l’Atletico Madrid, ma è in grado di cambiare le partite con una giocata illuminante tanto quanto gli altri due giocatori sopracitati, per una squadra dal potenziale offensivo enorme.

La quota “solidità” sarà invece garantita da Ruben Dias, probabilmente il miglior difensore dell’anno nell’intero panorama europeo alla sua prima stagione con il Manchester City, e dall’eterno Pepe, aiutati dalla possibile presenza di un mediano fisico come Danilo Pereira davanti a loro. In porta, invece, il sempre affidabile Rui Patricio, che nelle competizioni con la propria Nazionale ha sempre regalato prestazioni di altissimo livello.

Il valore di questo Portogallo è dunque inestimabile: non ha punti deboli lungo la sua variegata e nutrita ossatura e il suo potenziale offensivo è secondo solo a quello della Francia, grande favorita del torneo. Proprio i lusitani possono costituire la principale alternativa alla Nazionale transalpina, che cerca la rivincita dopo la finale del 2016. A cinque anni di distanza, il Portogallo si ripresenta agli Europei da detentore del titolo ma con una squadra infinitamente più forte, talentuosa e completa. Ci farà divertire e potrebbe vincere nuovamente.

Ungheria, fanalino di coda?

di Lorenza Suriano
L'Ungheria esulta in vista di Euro 2020
L’Ungheria destinata a fanalino di coda? (Foto: Jonathan Moscrop/Sportimage/Imago Images – OneFootball)

Il 12 novembre 2020, in casa sua alla Ferenc Puskas Arena di Budapest, l’Ungheria stava vivendo un incubo, sotto 1-0 contro l’Islanda nello spareggio decisivo, dopo un girone di qualificazione terminato a al quarto posto a due punti dal Galles su cui avrebbe avuto tanto da recriminare con se stessa. In 4 minuti, tra l’88’ e il 92’, l’incubo si è trasformato in favola, col gol di Nego a pareggiare i conti e quello di Szoboszlai a staccare il pass per l’Europeo.

Un sigillo per certi versi simbolico, il primo tassello di un predestinato con un talento che sulle sponde del Danubio non si vedeva da troppo tempo. La sua speranza è quella di riportare il calcio ungherese ai fasti di un tempo, ma purtroppo sarà costretto a provarci dopo Euro 2020. La pubalgia, che già gli ha impedito di esordire con il Lipsia negli ultimi 5 mesi, lo ha costretto a rinunciare alla convocazione. Grosso dispiacere per lui e la sua nazionale, ma anche per gli appassionati di calcio curiosi di vederlo all’opera in un contesto di questo livello.

All’Ungheria allenata da Marco Rossi, uno di quegli italiani che dopo anni di serie inferiori hanno cercato e trovato fortuna all’estero, comunque non mancano gli uomini di qualità, a partire da Peter Gulacsi, guardiano della porta del Lipsia dal 2015 ed erede di Gabor Kiraly, figura di culto per i suoi pantaloni della tuta (pigiama?) grigi, nonché detentore del record di anzianità nella storia della competizione (40 anni e 86 giorni). Davanti a Gulacsi a guidare il terzetto di difesa ci sarà il compagno di club Willi Orban, l’elemento principale tra i giocatori di movimento, abituato a battagliare nei campi di Bundesliga e Champions League. Alla sua sinistra occhi puntati sul ventitreenne Attila Szalai, proveniente da un’ottima seconda parte di stagione al Fenerbache che lo ha prelevato a gennaio dall’Apollon Limassol: affrontare avversari come Ronaldo, Werner e Benzema potrebbe trasformare questo Europeo in un’importante rampa di lancio per lui. Sul centrodestra invece dovrebbe agire il più modesto Fiola, mestierante del Fehervar (vecchio Videoton).

Nella linea a 5 sulla destra dovrebbe esserci il promettente Bendeguz Bolla, capitano dell’under 21 anche lui in forza al Fehervar con cui ha messo a segno 5 assist. Il ragazzo ha però zero presenze con la nazionale maggiore in competizioni ufficiali, quindi non è da escludere che Rossi possa preferirgli il più esperto Lovrencsics. La fascia sinistra è invece affare di Kevin Varga, esterno sinistro del Kasimpasa in Turchia, ma a partita in corso potrebbe vedersi Szabolcs Schon, il più piccolo del gruppo, miglior giovane del campionato ungherese col MTK Budapest (4 assist e ben 9 gol) e appena volato a Dallas in MLS.

In mezzo al campo la coperta è corta. Oltre a Szoboszlai, infatti, la compagine magiara ha perso anche Kalmas, giocatore meno talentuoso, ma che per attitudine ne avrebbe potuto assumere i compiti. I punti fermi sono gli stessi di Euro 2016, ossìa Adam Nagy e Laszlo Kleinheisler. Il primo è un mediano di ottime letture e molto bravo nel gioco corto, qualità che proprio in quell’estate lo fecero conoscere all’Europa, tanto da fargli strappare un contratto con il Bologna. In Italia, poco abituato ai ritmi, fece fatica, ma ora ha trovato buona continuità al Bristol in Championship. Il secondo invece, attualmente in forza all’Osijek in Croazia, è il giocatore deputato a dare imprevedibilità grazie alle sue abilità nello stretto e un buon destro da fuori. Accanto a loro il ballottaggio è tra Siger e Schafer, con quest’ultimo che sta prendendo quota nelle ultime amichevoli, ma occhio anche a Loic Nego, che qualcuno ricorderà come il primo acquisto di Walter Sabatini alla Roma, dove non ha mai esordito.

Davanti si affiancheranno due giocatori dalle storie per certi versi opposte, con Adam Szalai, centravanti storico e capitano, a fungere da perno dell’attacco nonostante una stagione deludente al Mainz (soltanto due gol), mentre a ruotargli intorno ci sarà Roland Sallai, un’altra vecchia conoscenza del calcio italiano che Maurizio Zamparini andò a pescare personalmente dalla Puskas Akademia per il suo Palermo, dove trovò il connazionale Norbert Balogh. Entrambi si dimostrarono talentuosi, ma calcisticamente piuttosto immaturi. A differenza dell’ex-compagno, un po’ sparito dai radar, Sallai però si è finalmente consacrato al Friburgo come un giocatore importante, e ora è pronto a prendersi la scena anche in nazionale. In panchina l’alternativa principale è Nikolics, uno che sa come buttarla dentro.

Il gruppo F, l’ultimo ad esordire, sembra essere proibitivo, con poche possibilità anche in ottica terzo posto vista la presenza della super favorita Francia e di altre due superpotenze come Germania e Portogallo. Paradossalmente però, l’avere poche pressioni se non quella di fare una buona figura potrebbe essere un punto a favore e giocandosi tutto in tre sole partite questo non consente di escludere sorprese. L’Ungheria inoltre ha dalla sua, almeno per le prime due gare, anche il fattore campo con un pubblico voglioso di farsi sentire. Sicuramente al prato della Ferenc Puskas Arena, otto mesi dopo l’ultima volta, non dispiacerebbe essere teatro di un’altra favola.

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