L’inizio di stagione di Federico Dimarco è stato protagonista di un buon inizio di stagione che gli è valso la prima chiamata azzurra e una marea di contenuti dedicati sui social, dove spesso e volentieri la gente storpia il suo nome. Quello stesso nome che ad Appiano Gentile girava già da un bel po’, dal lontano 2004 quando era ancora un bambino. Per gli addetti ai lavori non c’erano dubbi sul suo futuro in nerazzurro, ma va detto che di tempo ce n’è voluto forse più del previsto.
Fino a quest’estate Dimarco aveva vissuto una vita da rimandato: mai promosso, mai bocciato, presenza fissa al ritiro estivo e primo dei partenti subito dopo. Questa volta, però, sembrerebbe essere uscito da quel limbo. Ma come l’ha fatto? È qui perché si è veramente meritato l’Inter o perché rientra nel progetto di ridimensionamento del club?
Da enfant prodige alla girandola di prestiti
Nel 2010 Christopher Vogler pubblicava un saggio destinato a spopolare intitolato Il viaggio dell’eroe. Al suo interno il professore della UCLA sosteneva che ogni storia di successo, che sia quella di un romanzo o di un film, prevedeva un percorso di maturazione del protagonista, chiamato ad uscire dalla propria zona di confort e a guadagnarsi la sua fortuna sostenendo una serie di imprese. Il fato che ha scritto la storia di Federico Dimarco sembra aver seguito alla lettera le tappe individuate da Vogler.
All’età di 17 anni, a due fusi orari di distanza rispetto alla sua Calvairate, Dimarco faceva il suo esordio con l’Inter. Nessuna partita di cartello, solo una trasferta ininfluente ai fini della qualificazione in casa del Qarabag, ma quella notte di UEFA Europa League sembra l’inizio di qualcosa di magico. Quel ragazzino si era fatto tutte le trafile nelle giovanili nerazzurre e ora faceva finalmente capolino in prima squadra, preso per mano da Roberto Mancini e coccolato dai tifosi.
All’ultima giornata di quella stessa stagione, la 2014/15, fa anche la sua prima presenza in Serie A a San Siro contro l’Empoli. Viene dunque riconfermato in rosa per l’annata successiva, ma questa volta qualcosa non va: credeva che una volta fatto il grande salto avrebbe potuto lottare di settimana in settimana per scendere in campo, senza rendersi conto che era troppo presto. Senza rendersi conto, più che altro, che Mancini non poteva continuare a tenergli la mano così a lungo, che doveva staccarsi e iniziare a camminare da solo verso il futuro che sognava. È spiazzante. Finisce per giocare solo con la Primavera, poi a gennaio passa in prestito all’Ascoli in Serie B.
Quello ad Ascoli-Piceno sarà il primo di quattro prestiti in squadre italiane (Empoli, Parma, Hellas Verona e Ascoli, appunto), ai quali si aggiunge la tanto breve quanto sfortunata avventura in Raiffeisen Super League con il Sion nel 2017/18. Ma è proprio questa lontananza forzata dalla squadra che l’ha cresciuto ad aiutarlo a mettere a fuoco il suo obiettivo: diventare un giorno quello che tanti ancora non lo ritenevano, un giocatore da Inter.
A partire dal suo approdo a Parma inizia a mandare segnali importanti alla sua vecchia società. Uno in particolare, come uno scherzo del destino, è il gol messo a segno in un Inter Parma 0-1 di settembre 2018. Collo-esterno sinistro a giro da una distanza proibitiva, con la palla che diventa imprendibile per Handanovic e finisce la sua corsa in rete. Chissà se si era ripromesso di non esultare in caso di gol all’Inter; in quel caso, però, la gioia per aver messo alle spalle mesi difficili era troppa per essere contenuta.
Cura Juric
Lo squillo di San Siro e in generale le discrete prestazioni dell’anno da crociato non sono passate inosservate, anzi sembrano aver funzionato perché Antonio Conte – al suo primo anno alla guida dell’Inter – decide di trattenere Dimarco. Ai blocchi di partenza è dietro a tanti altri, i nerazzurri si stanno rinforzando e questo è sotto gli occhi di tutti. Il classe 1997 rappresenta una pedina senz’altro funzionale, ma fin troppo poco utilizzata: 102 minuti tra Serie A e Coppa Italia nella prima metà di stagione. Per non fermare la sua crescita non c’è altra scelta che un nuovo trasferimento in prestito.
Da un lato c’è la gioia di andare a giocare con più continuità; dall’altra la delusione per non essere riuscito a convincere fino in fondo il mister e l’ambiente interista. Ad accoglierlo è l’Hellas Verona, neopromossa ma squadra rivelazione del campionato. I bookmakers si danno pace: come possono i gialloblù essere così in alto in classifica se la rosa non ha avuto tanti innesti rispetto a quella che ha chiuso al 5° posto la scorsa Serie B? Le fortune dei veronesi sono tutte riconducibili a Ivan Juric, tecnico che sarà fondamentale per il cammino di Dimarco.
Discepolo di Gian Piero Gasperini, Juric mette in campo un 3-5-2 battagliero, propositivo e imprevedibile. In questo scacchiere Dimarco si è inserito molto bene, pur faticando nel pre-lockdown. La sua permanenza dura una stagione e mezzo (Inter ed Hellas si accordano infatti per il prolungamento dell’accordo) e frutta 50 presenze, 5 gol e 8 assist. Chi si meraviglia dei suoi numeri in zona gol forse trascura il passato del ragazzo, esterno offensivo poi arretrato sulla linea di difesa. Le qualità tecniche, poi, non si discutono.
E per quanto queste statistiche siano incoraggianti, non rendono l’idea del reale step fatto da Dimarco a Verona. Se gli esterni a tutto campo sono importanti per il gioco di Juric, i terzi di difesa sono fondamentali: oltre a far partire l’azione, hanno infatti la licenza di spingere e creare superiorità numerica nella metà campo avversaria. Il giocatore di proprietà dell’Inter è stato ripetutamente schierato da terzo nella difesa a tre scaligera e ha così ampliato la sua cassetta degli attrezzi, facendone un difensore oltre che un laterale completo.
La prima partita che ho fatto con Mancini […] mi ha schierato mezzala: non sapevo dove andare. Dall’anno scorso invece, quando ho imparato bene a fare il terzo e fare il terzo con Juric è come fare la mezzala, mi sono sempre divertito moltissimo.
Dimarco è diventato un giocatore da Inter
Le porte girevoli dell’ultima finestra di mercato hanno visto spostarsi non solo giocatori, ma anche allenatori. Juric firma col Torino e richiede espressamente a Cairo l’acquisto di Dimarco, rientrato all’Inter dall’Hellas Verona a fine prestito. Anche sulla panchina nerazzurra però c’è un nuovo comandante, quel Simone Inzaghi che in continuità il suo passato biancoceleste – nonché con il suo predecessore Conte – prosegue sulla strada del 3-5-2 e che decide di blindare il tuttofare milanese. Questa volta Dimarco sembrerebbe essere entrato concretamente nei piani dell’Inter.
Vien da sé che, dal momento che Inzaghi ha deciso di tenerlo, è perché finalmente è diventato un giocatore da Inter, giusto? In realtà non è così facile. La conferma di Dimarco è frutto del duro lavoro portato avanti nelle due precedenti stagioni, della sua maturazione tattica e psicofisica, ma si inserisce in un contesto particolare. L’Inter campione d’Italia è, come la maggior parte delle società, in grande difficoltà economica e non può che operare con un occhio di riguardo alle proprie casse. L’operazione Dimarco, se lo si considera come il rimpiazzo naturale di Ashley Young, permette all’Inter di risparmiare non poco sul monte ingaggi: l’inglese prendeva 3 milioni netti all’anno, l’italiano 500 mila euro (e sta trattando il rinnovo per 1 milione). Quanto può aver influito tutto ciò nella decisione finale sul suo futuro?
Chiarito l’aspetto economico, diamo a Cesare quel che è di Cesare. Perché alla fin dei conti è il campo a parlare per Dimarco. Prima di Inter-Juventus non era mai rimasto novanta minuti seduto in panchina, tra l’altro convincendo sia da terzo che da esterno sinistro, paradossalmente anche nella dolorosa serata del rigore sbagliato contro l’Atalanta. In 11 presenze ha già messo a referto 1 gol e 2 assist. Non un gol qualunque, un bolide da calcio di punizione al Ferraris contro la Sampdoria per coronare la sua prima in carriera da titolare con la squadra della sua città.
Perché l’apporto di Dimarco non si limita alla spinta, alla generosità e all’imprevedibilità. In un momento in cui la squadra deve fare a meno di uno specialista come Christian Eriksen, il suo mancino può rappresentare una valida alternativa per tutte le palle inattive. È vero che si candida allo stesso ruolo anche Hakan Çalhanoğlu, ma il gol contro la Sampdoria lo fa partire con qualche bonus in questa staffetta.
Quindi, una volta per tutte: Dimarco non è un giocatore da Inter perché Inzaghi lo ha confermato, piuttosto Inzaghi lo ha confermato perché Dimarco – finalmente – è diventato un giocatore da Inter.