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CALCIO ESTERO

Federico Valverde lascia il segno

In Uruguay, i campi in erba scarseggiano persino in prima divisione, quindi immagina i campi per le squadre giovanili. Sono sporchi, duri, vai per battere un calcio d’angolo e c’è un animale vicino a te. Questo ti fa crescere, ti rende forte e combattivo. È adorabile tornare da una partita con la faccia e i capelli pieni di fango e i sassi nelle scarpe. La più bella esperienza che un ragazzino può vivere è salire sul pullman per il ritorno ogni weekend con la maglia della propria squadra addosso, dividendo con amici e famiglia il viaggio.

C’è tutto Federico Valverde in questo estratto di una sua intervista dello scorso aprile al Guardian. C’è
il suo amore per il gioco, c’è il suo passato ostico, c’è uno spirito di squadra fuori dal comune. C’è traccia di come un ambiente come quello di Montevideo ti plasmi inevitabilmente. Fede Valverde non è uno dei tanti, lui è un sopravvissuto. Crescere tra i campi di terra battuta e tornare a casa sporchi di fango non è qualcosa di così raro – molti giovani aspiranti calciatori italiani lo vivono tutti i giorni nella provincia -, alla fine. Sopravviverci, quello sì che è speciale.

Fino a quel fallo

Dal suo arrivo a Madrid, le priorità del centrocampista uruguaiano sono cambiate. Non basta più esibire la propria sagacia tattica davanti alla difesa (o proprio al centro della difesa, dove lo schierava Santiago Solari nel Castilla), serve un apporto superiore per imporsi in una squadra superiore come il Real. Ciò lo ha portato a dare libero sfogo ai suoi strappi, alla sua corsa, alla sua fisicità soprattutto nel ruolo di mezzala. Fede Valverde è un pendolo: fa avanti e indietro “finché non mi scoppiano le gambe”, ruba palloni e li smista abilmente, crea occasioni per i compagni e, se necessario, segna pure col suo destro, una qualità mai superflua. Quando era in Uruguay, si era capito avesse l’argento vivo addosso, lo si era visto nel Peñarol e soprattutto nelle giovanili della Celeste. Non a caso, su di lui non c’erano solo gli occhi del Real Madrid.

Tuttavia, Valverde doveva tenere fede a un segno che il destino gli inviava periodicamente da quando era piccolo. In un sogno ricorrente, racconta la madre Doris, indossava una casacca bianca ed era in un campo diverso, in mezzo a gente che parlava un’altra lingua e gridava il suo nome in coro. Il futuro era merengue per Fede Valverde, bastava solo lasciare che il tempo seguisse il suo corso.

Il tempo, il suo corso, l’ha seguito, e Federico Valverde in pochi anni è diventato un protagonista nel Real Madrid. Di lui, come detto, si parlava bene anche prima del debutto in prima squadra. Solo nella stagione 2019/2020 però, ci si è potuti rendere conto di che diamante grezzo avessero in casa i Blancos. Il primo ad accorgersene fu ovviamente Zinedine Zidane, che ha trovato l’asso nella manica del suo Real così come si pesca un coniglio bianco dal cilindro, e ha iniziato a buttarlo nella mischia.

Nonostante una manciata di presenze nella stagione 2018/2019, infatti, è stato due anni fa che Valverde ha iniziato a diventare un habitué del Santiago Bernabeu prima e dell’Estadio Alfredo Di Stéfano poi, nel post lockdown. Ben quarantasette le presenze in tutte le competizioni per lui nella stagione 19/20, condite da due goal e cinque assist. Un dato che sorprende in positivo, poi, riguarda i cartellini presi. Solo quattro i gialli – molto pochi per un giocatore che punta quasi tutto sulla prestanza fisica e la quantità -, da unire al singolo cartellino rosso preso nell’epica finale di Supercoppa di Spagna contro l’Atletico Madrid a Jeddah, in cui si è definito il ruolo determinante di Fede Valverde nel Real.

Di fatto, con un fallo da dietro da ultimo uomo, con un’espulsione voluta per il bene della squadra – da anteporre a tutto -, l’uruguaiano ha impedito a Morata di portare in vantaggio i Colchoneros, e il fato ha fatto il resto, come tutti ricordiamo. Per quell’azione, Valverde ricevette anche i complimenti di un altro personaggio sanguigno come lui, ossia Diego Simeone, l’allenatore avversario. Il che è tutto dire.

Simeone e Valverde
Il Cholo ha apprezzato (Foto: JuanJo Martin/Imago Images – OneFootball)

L’ultima annata di Valverde

La stagione 2020/2021 è stata invece piuttosto complicata per Valverde. 33 apparizioni in tutte le competizioni, tre goal (tra cui uno pesantissimo nel Clasico contro il Barcellona al Camp Nou) e un assist è stato il bottino del classe ’98, limitato da numerosi infortuni e anche dal Covid. Ciononostante, questo non gli ha impedito di tornare sempre utile alla causa merengue. Una delle caratteristiche per cui Valverde è apprezzato è sicuramente la sua enorme duttilità: come detto, lui nasce vertice basso di centrocampo, ma ha avuto modo di fare anche il difensore.

Poi Zidane se l’è inventato ala destra del suo tridente offensivo nel 4-3-3, trequartista centrale nel 4-2-3-1 e perfino terzino destro in una partita che già contribuisce ad alimentare il mito del nativo di Montevideo, il ritorno dei quarti di finale dell’ultima Champions League contro il Liverpool, in cui Valverde era pure acciaccato alla caviglia. Ora immaginatevi di dover passare una partita intera a seguire, a contenere, ad arginare l’impatto straripante di un calciatore come Sadio Mané con una caviglia malconcia in un ruolo che non vi appartiene.

A giudicare da come venne limitato l’esterno offensivo dei Reds in quella partita (terminata 0-0), direi che a questo punto è riduttivo riferirsi a Fede Valverde col soprannome di Pajarito, l’uccellino, un appellativo che si porta dietro dai tempi delle giovanili della nazionale uruguaiana e dovuto al suo moto perpetuo sul rettangolo verde. Forse meglio qualcosa come El Mosquito, che di certo non necessita di traduzioni.

Valverde contro Mané
Il duello con Sadio (Foto: Darren Staples/Imago Images – OneFootball)

Con la Celeste

Quando penso a Federico Valverde, c’è una parola che si materializza nella mia mente: garra. In Fede Valverde rivedo lo spirito degli uruguagi Charrúa, una tribù che abitava nei pressi del Rio de la Plata che decenni di letteratura hanno decantato e che all’arte dell’arrangiarsi hanno preferito le loro regole, il loro modo di vivere, anche a costo di morire. Una morte che hanno trovato nel 1831, quando venne comandato il loro genocidio. Troppo scomodi per il loro comportamento. Troppo opposti ai vertici. Fu il fratello dell’allora Presidente d’Uruguay Fructuoso Rivera, Bernabé Rivera, a orchestrare la spedizione
punitiva contro i Charrúa, decimando la tribù nel tristemente noto massacro di Salsipuedes. Nel nostro presente, è grazie a giocatori come Federico Valverde se oggi, al di là della retorica, possiamo ancora parlare di garra Charrúa.

La Copa América si è appena conclusa e ci ha mostrato un Uruguay per la prima volta in difficoltà dopo quindici anni: la vecchia guardia sta arrivando al tramonto della propria epopea, e apparentemente non ci sono i ricambi giusti per iniziare un nuovo ciclo. Tuttavia, sempre per quel mitologico spirito indomabile che contraddistingue i suoi rappresentanti, la Celeste ha alzato bandiera bianca solo ai calci di rigore nei quarti di finale contro la Colombia, dopo lo 0-0 nei centoventi minuti. In questo Uruguay, Valverde è il leader del centrocampo insieme alla spalla Rodrigo Bentancur. Il domani della nazionale del Maestro Óscar Washington Tabárez passa necessariamente da ragazzi come lui e lo stesso Bentancur, o Nahitan Nández e José Giménez, che per primi dovranno caricarsi sulle spalle una selezione scarica, bisognosa di nuovi talenti specialmente in difesa e in attacco, dove Godín, Suárez e Cavani ormai non bastano più.

Chiaramente, Valverde sarà anche l’uomo da cui ripartirà Carlo Ancelotti per la ricostruzione del Real Madrid, che si ritrova una squadra priva del suo gran capitán Sergio Ramos e dunque evidentemente a fine ciclo. I pretoriani rimanenti delle tre Champions League vinte ormai hanno tutti superato i trent’anni, per questo motivo sarà importante trovare le nuove fondamenta dei Blancos per le stagioni a venire. Alaba è già arrivato, Pogba è un altro chiaro obiettivo, Mbappé è il sogno dorato della Casa Blanca. Prima di tutti, però, Fede Valverde, che un sueño blanco lo aveva davvero, e ora che lo ha realizzato, ha il dovere di rendere onore alle fatiche e ai sacrifici suoi e di chi gli è stato intorno fin da quando giocava le prime partite come attaccante e piangeva perché toccava pochi palloni – fu la madre, poi, a chiedere al suo allenatore di allora di arretrarlo in mezzo al campo. Per il Pajarito è giunto il momento di spiccare il volo definitivo, e la stagione 2021/2022 può essere quella
giusta, infortuni permettendo, per la consacrazione sfiorata l’anno scorso.

Federico Valverde con la maglia dell'Uruguay
Nell’ultima Copa America (Foto: Imago Images – OneFootball)
Autore

Classe 2001. Studio Scienze della Comunicazione all'Università del Salento. Sono innamorato di tutti gli enganche del mondo.

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