Compie oggi 75 anni uno dei volti più rappresentativi ed emblematici del calcio tedesco: Franz Beckenbauer. Ripercorriamo insieme la sua carriera pluridecennale.
2 Settembre 1945. Dopo sei lunghissimi anni (e un giorno), l’atto di resa giapponese alle potenze alleate sanciva finalmente l’epilogo della Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto più sanguinoso nella storia dell’umanità aveva ridotto l’Europa ad un cumulo di macerie e un calcolo approssimativo parlava di 50 milioni di morti, tra militari e civili. Chi ebbe la peggio fu naturalmente la Germania, la nazione che, seguendo l’ormai defunto Adolf Hitler e le sue mire espansionistiche, aveva dato il via a tutto quanto. Le quattro potenze alleate (USA, Francia, Inghilterra e URSS) frammentarono il suo territorio (e Berlino) in altrettante sfere di influenza: le prime tre, unendosi, avrebbero formato la futura Repubblica Federale Tedesca, mentre la porzione orientale, spettante ai sovietici, sarebbe rimasta divisa dalle altre ancora a lungo.
Oggi i tedeschi si riferiscono al 1945 chiamandolo Stunde Null (ora zero), in ricordo del faticoso processo di ricostruzione che il popolo dovette sopportare negli anni seguenti. Un ruolo importante in questa ripartenza fu assunto dalla città di Monaco. E proprio a Monaco, nell’anno zero, per di più nel mese di settembre, veniva alla luce colui che avrebbe portato la Germania sul tetto del mondo, almeno dal punto di vista sportivo: l’11 settembre 1945 nasceva infatti il calciatore tedesco del secolo, Franz Beckenbauer.
I primi passi
La sua storia comincia nel quartiere popolare di Giesing, oggi facente parte del distretto 17 (Obergiesing-Fasangarten) della capitale bavarese. La sua famiglia vive in condizioni umili, è una di quelle che ha subito di più le ripercussioni economiche della guerra: il padre Franz Beckenbauer Sr è un postino, la madre Antonie una semplice casalinga. Ha anche un fratello, Walter, di quattro anni più grande. Nonostante la disapprovazione del padre, che lo vede solo come un passatempo inutile, Franz dimostra sin da piccolo una grande passione (e propensione) per il calcio. E ad indirizzarlo verso questo sport non è solo la necessità di sfuggire dalla drammatica realtà circostante, ma anche un segnale premonitore: lo zio Alfons aveva giocato per un paio d’anni come attaccante nel Bayern Monaco e nell’ATSB (un’organizzazione sportiva operaia di carattere socialista), prima che venisse sciolta dai nazisti nel 1933.
A nove anni inizia a giocare, come attaccante, nelle giovanili dell’SC Monaco 1906, club del distretto di Obergiesing. I campi sono a pochi passi proprio dalla casa dei Beckenbauer. Ma il suo sogno è di vestire, un giorno, la maglia della sua squadra del cuore, il TSV Monaco 1860, all’epoca la più prestigiosa della città. E l’occasione si presenta quando Franz ha tredici anni. Il Monaco 1906 non ha più i fondi per poter continuare a gestire le sue squadre giovanili, così i ragazzi a fine stagione saranno costretti a cercare una nuova sistemazione. Nessuno di loro ha dubbi: il Monaco 1860 è la prima scelta, anche perché gli osservatori dei Löwen seguono da tempo molti di loro, il giovane Beckenbauer su tutti.
Ma quello che succede subito dopo è l’esempio lampante che nella vita non si debba mai dire mai. Il destino (per chi ci crede) vuole che in un torneo giovanile della città arrivino in finale proprio il Monaco 1906 di Franz e i coetanei del Monaco 1860. L’atmosfera è tesa, ci si gioca tutto, soprattutto i primi vorrebbero fare una bella figura contro i futuri compagni. Beckenbauer è, come sempre, quello che fa girare di più la testa ai difensori avversari, finchè uno di loro, un certo Gerhard König, non la perde definitivamente: un intervento troppo duro, seguito da alcuni scontri verbali, porta alla goccia che fa traboccare il vaso. Quando l’arbitro si allontana, Gerhard tira uno schiaffo a Franz, cambiando per sempre le sorti del calcio tedesco.
Sì, perché, dopo quel gesto, il giovane Beckenbauer, in preda ad un misto di rabbia ed orgoglio, si rifiuta categoricamente di trasferirsi nella sua squadra del cuore, preferendo un club (all’epoca) meno prestigioso della città, ossia quel Bayern Monaco in cui aveva giocato lo zio Alfons. Per rendere ancora più evidente la fatalità di questo episodio, basta pensare che König (il quale non è mai diventato un calciatore professionista, bensì un ristoratore) in realtà fosse un portiere e che quel giorno si trovasse casualmente in difesa per delle assenze irrimediabili.
Nel 1958 Franz Beckenbauer entra così a far parte delle giovanili del Bayern Monaco. Die Roten (I Rossi) erano stati fino a quel momento ai margini del calcio tedesco, vincendo un solo campionato nella stagione 1931/32 e una Coppa della Germania meridionale in quella precedente. Nei primi anni Sessanta però qualcosa inizia a cambiare: un nuovo presidente, l’imprenditore edile Wilhelm Neudecker, acquista il club e viene ingaggiato come allenatore l’ex mediano della nazionale jugoslava Zlatko Čajkovski. Nel frattempo, Franz sta ancora compiendo il suo cursus honorum nelle giovanili del club, dove raggiunge risultati sempre migliori: la sua visione di gioco inaudita e la precisione dei suoi lanci lo hanno reso un calciatore più eclettico, capace di giocare anche lontano dalla porta.
Il Beckenbauer libero sta già nascendo. Il tutto coronato da una mentalità e una serietà atipiche per un ragazzo ancora adolescente, il quale, anche nella vita privata, dimostra una certa precocità: nel 1963 si scopre che la sua ragazza Brigitte aspetta un bambino, ma lui, pur volendo mantenere il rapporto, non ha in mente di sposarla seguendo quella che lui considera un’usanza medievale.
La scalata con il Bayern e l’esordio in Nazionale
Finalmente arriva l’esordio in prima squadra: il 6 giugno 1964 si gioca il primo turno dei playoff di promozione in Bundesliga (il Bayern giocava ancora nella Regionalliga Süd) contro il St. Pauli. La partita finisce 4-0 e Beckenbauer segna anche il suo primo gol da professionista. Ma la squadra sarebbe stata comunque eliminata nei turni successivi.
La consacrazione di Franz e del suo Bayern arriva nella stagione seguente. Il tecnico Čajkovski lancia come titolari tre ragazzi giovanissimi per cui stravede: uno è il portiere Sepp Maier, il secondo è un attaccante di nome Gerd Müller (criticato fino ad allora per il suo fisico) e il terzo è Beckenbauer, che segna 18 gol in 39 presenze giocando come esterno sinistro a centrocampo. La squadra viene inevitabilmente promossa in Bundesliga. Il Bayern, anche se quasi nessuno ne è ancora consapevole, ha intrapreso la strada che dall’inferno lo porterà in paradiso. E come guida non avrà né Virgilio né Beatrice, bensì gli incredibili pupilli di Čajkovski.
Pronti via ed è subito derby con il Monaco 1860 all’esordio in campionato. Il Bayern perde 1-0 ma tiene testa e dimostra di aver ridotto di molto il gap che lo separava dai cugini. Infatti, anche se i Leoni a fine stagione vincono il campionato, i Rossi si aggiudicano per 3-0 il ritorno e arrivano secondi a pari punti con il Borussia Dortmund e a -3 dal primo posto. Inoltre, il 4 giugno 1966 mettono in bacheca la Coppa di Germania, vincendo 4-2 contro il Duisburg (con gol finale di Beckenbauer), e hanno accesso, al primo tentativo, ad una competizione europea: la Coppa delle Coppe 1966/67 che, neanche a dirlo, vinceranno, in finale con il Rangers di Glasgow. Ed è solo l’inizio di un’ascesa inarrestabile, in cui l’unica cosa ad arretrare è la posizione in campo di Franz, ormai trasformato da Čajkovski in un vero e proprio mediano d’impostazione.
Il Mondiale 1966
Le orchestre da dirigere, nel frattempo, sono diventate due, visto che il CT Helmut Schön lo vuole con sé in Nazionale. L’esordio arriva nel 1965 contro la Svezia, in una gara di qualificazione ai successivi Mondiali d’Inghilterra. Mondiali in cui Franz è uno dei protagonisti della cavalcata dei tedeschi, che si arrendono ai padroni di casa solo in finale. Nel primo match segna subito una doppietta contro la Svizzera con due tiri dalla distanza potenti e angolati; mette il proprio sigillo anche nei quarti contro l’Uruguay, ma è contro l’Unione Sovietica che dimostra quanto può essere decisivo.
La Germania, che è già avanti per 1-0, cerca a tutti i costi il gol del raddoppio per assicurarsi l’accesso alla finale, ma l’impresa sembra impossibile: l’URSS ha tra i pali il portiere più forte del mondo, Lev Jašin, che rispedisce al mittente tutte le conclusioni tedesche. Ma, all’improvviso, Beckenbauer, sugli sviluppi di un corner, riceve palla dall’attaccante Helmut Haller e tira un missile da fuori area, che si insacca alla destra di Jašin, il quale può solo sfiorarla. Un gol sorprendente quanto essenziale, per il quale lo stesso portiere sovietico si congratulerà con lui. In finale però, Franz riceve il compito di marcare la stella Bobby Charlton (al quale viene chiesto di fare lo stesso con Franz) e i due campioni si annullano a vicenda, divenendo quasi spettatori della vittoria inglese, determinata dalla tripletta di Hurst e dal suo leggendario gol fantasma.
Il “sergente di ferro” e il Kaiser
La stagione 1967/68 vede un calo delle prestazioni per Beckenbauer e le sue squadre: la Germania non riesce a qualificarsi agli Europei che si tengono in Italia (qualificazioni durante cui, peraltro, Franz non viene quasi mai convocato) e il Bayern non riesce ad andare oltre il quinto posto in Bundesliga e la semifinale di Coppa delle Coppe, chiudendo l’annata con zero titoli. Ecco perché arriva subito un cambio sulla panchina bavarese: Neudecker manda via Čajkovski, con il quale i giocatori avevano instaurato un rapporto fin troppo confidenziale, e chiama Branko Zebec, un vero e proprio “sergente di ferro”. Sveglia all’alba, divieto di fumo e di consumo di alcol, allenamenti durissimi: questo il suo mantra.
Con lui e le sue regole, i ragazzi ritrovano subito la motivazione e i risultati: nel 68/69 sono la prima squadra nella storia del calcio tedesco a vincere il double nazionale, con il campionato che mancava dal 1932. In questo periodo si colloca probabilmente anche la nascita del soprannome Kaiser. Alcuni sostengono che nasca quando Franz si fa fotografare, durante una trasferta a Vienna, accanto al busto dell’imperatore asburgico Francesco II. Altri propongono una seconda tesi, secondo cui alla base c’è un fallo commesso da Beckenbauer, nella finale di Coppa di Germania contro lo Schalke 04, ai danni di Stan Libuda, soprannominato dai suoi tifosi Re della Vestfalia. In ogni caso, mai scelta fu più appropriata.
Un periodo di transizione
Gli anni Settanta si aprono con delle cocenti delusioni. Sul piano nazionale il Bayern trova un nuovo rivale, il Borussia Mönchengladbach, salito da poco alla ribalta grazie ad un gruppo di giovani talenti (seguendo un percorso molto simile a quello dei bavaresi). Su tutti spiccano il terzino Berti Vogts, il centrocampista Günter Netzer e la punta Jupp Heynckes, che viene soprannominato l’Anti Müller. Tra le due compagini si apre una sfida anche a livello di idee e di stile di gioco: mentre il Bayern fa del possesso palla il suo punto di forza, Hennes Weisweiler ha allenato la sua squadra ad attendere l’avversario e a sfruttare al massimo il contropiede. Per due volte consecutive il campionato si decide all’ultima giornata e per due volte trionfa il Borussia. Nel frattempo i ragazzi di Zebec subiscono anche un esordio shock in Coppa dei Campioni, venendo eliminati al primo turno dai francesi del Saint-Etienne.
Sul piano internazionale, Franz fallisce per la seconda volta l’occasione di portare a casa la Coppa del Mondo, stavolta piazzandosi al terzo posto ai mondiali di Messico 1970. E pensare che la competizione comincia anche nel verso giusto: dopo tre vittorie su tre nel girone, i tedeschi si prendono la rivincita contro l’Inghilterra nei quarti. Con i suoi sotto per 2-0, Beckenbauer segna il gol che accorcia le distanze e dà il via alla rimonta, completata nei tempi supplementari. In semifinale, però, arriva l’Italia. La partita si gioca allo Stadio Azteca di Città del Messico e rimarrà alla storia come “La partita del secolo”.
La Germania arriva al match da favorita, viste anche le difficoltà riscontrate dagli Azzurri nelle gare precedenti. Ma i 120 minuti di autentica follia che seguono cancellano ogni pronostico. Dopo il gol in apertura di Boninsegna, la squadra di Valcareggi si chiude in difesa e resiste all’assedio per più di ottanta minuti, finché il milanista Schnellinger non pareggia in pieno recupero. Non mancano le polemiche: l’Italia si lamenta con l’arbitro per la concessione di un eccessivo extratime, la Germania rivendica un calcio di rigore per un fallo di Cera su Beckenbauer, il quale, cadendo, subisce una lussazione della spalla. Franz, viste le sostituzioni già esaurite, decide di rimanere in campo con il braccio fasciato, dal 66′ fino al termine dei tempi supplementari. E sono proprio i tempi supplementari la causa dell’eccezionalità e dell’immortalità di questa semifinale. Una serie di errori e di colpi fortuiti genera ben cinque reti: i tedeschi vanno subito in vantaggio, per poi subire il sorpasso italiano, pareggiare ancora e andare per la terza volta sotto, con la rete del definitivo 4-3.
La svolta
I Mondiali del 1970 sono l’ultima competizione in cui Beckenbauer è impiegato da Helmut Schön come mediano: a partire dall’Europeo del 1972 Franz viene inserito in pianta stabile tra i quattro di difesa, dove svolge il ruolo di libero, da lui portato al massimo delle potenzialità e della fantasia. Inoltre, a partire dal 1971, viene nominato nuovo capitano della Nazionale.
Forse sarà un caso ma, subito dopo l’attuazione di queste mosse, Beckenbauer e la Germania iniziano a vincere tutto il vincibile. Si parte proprio dagli Europei del 1972, in cui la squadra dà prova della maturità raggiunta. Prima sbaragliano senza grosse difficoltà i padroni di casa del Belgio in semifinale, per poi vincere la finalissima con un sonoro 3-0 ai danni dell’URSS. Beckenbauer si dimostra il migliore dei suoi: è praticamente in tutte le parti del campo, pronto a sostenere le azioni offensive (che spesso e volentieri partono da lui) ed ora anche a neutralizzare quelle avversarie. Un torneo fantastico che lo porta a vincere il primo Pallone d’oro della sua carriera.
Nella stagione seguente si assiste al primo round di una delle sfide “tra titani” più caratteristiche ed emblematiche della storia calcistica: quella tra Beckenbauer e Johan Cruijff, fuoriclasse olandese dell’Ajax. I Paesi Bassi vivono in quegli anni una vera e propria età dell’oro. Non solo la Nazionale, ma anche i club dominano il panorama europeo, come testimoniano la Coppa dei Campioni vinta dal Feyeenord e le tre consecutive dell’Ajax. Ed è proprio in questa competizione che avviene il primo incontro tra i due fuoriclasse, precisamente nei quarti.
Il doppio confronto è come una finale anticipata, dato che si incontrano le due favorite alla vittoria del torneo. Da una parte l’Ajax, campione in carica e con una squadra pazzesca; dall’altra il Bayern, ora guidato da Udo Lattek e costituito dal blocco tedesco che ha appena vinto l’Europeo. Ma già dopo la sfida di andata si capisce che non ci può essere storia: dopo un primo tempo passato a studiare gli avversari, gli olandesi accelerano nel secondo, rifilando quattro reti agli increduli bavaresi. Finisce 4-0 e la vittoria tedesca per 2-1 nel ritorno è pressoché inutile. Un’eliminazione cocente per Beckenbauer e i suoi, soprattutto per la consapevolezza del grande divario ancora da colmare, come evidenziato dal match d’andata.
La Coppa dei Campioni
Una delusione che si rivelerà però molto costruttiva se si pensa a ciò di cui saranno capaci l’anno successivo, il 1974. Il Bayern riesce a trionfare per la terza volta consecutiva in Bundesliga, impresa fino a quel momento inedita per il calcio tedesco. In Coppa dei Campioni superano con fatica gli svedesi dell’Åtvidaberg (per poi acquistare subito Torstensson, il loro giocatore migliore) e i tedeschi orientali della Dinamo Dresda nei primi due turni. Poi, una serie di coincidenze, come l’eliminazione simultanea di Ajax (indebolito dalla partenza di Cruijff) e Liverpool, spalanca loro le porte della finale di Bruxelles.
L’avversario è l’Atletico Madrid, squadra già allora conosciuta per la tendenza a difendersi strenuamente. Il Bayern infatti non trova spiragli utili per tutta la durata del match, sbloccato dagli spagnoli solo al 114′, nei tempi supplementari. I tedeschi sentono già sulle spalle il peso e l’umiliazione della sconfitta, quando un tiro dalla distanza di Schwarzenbeck pareggia i conti al 119′. Il morale si capovolge completamente: quello dei madrileni precipita, il Bayern è sulla cresta dell’onda. E la replica che viene giocata due giorni dopo (non si usavano ancora i calci di rigore in finale) ne è la dimostrazione: i tedeschi annullano l’Atletico vincendo per 4-0. Beckenbauer, da capitano, può alzare al cielo la sua prima Coppa dei Campioni, la prima anche per un club tedesco.
Avevamo già vinto,prima ancora di scendere in campo. Lo sentivamo. Lo sapevamo.
Il Mondiale
Ma non è ancora finita, perché nel 1974 si giocano anche i Mondiali, peraltro in Germania. Franz è consapevole che questa potrebbe essere la sua ultima occasione, dopo il secondo posto del ’66 e il terzo del ’70. Ora è lui il capitano, ed è suo dovere alzare la coppa nel cielo di Monaco (guarda caso). Nel primo turno, i tedeschi faticano a dimostrare la loro superiorità, perdendo anche per 1-0 contro la Germania Est. Accedono comunque al secondo girone, dove le cose iniziano a girare nel verso giusto: decisiva la gara ricordata come Il diluvio di Francoforte, in cui, favoriti dalle condizioni atmosferiche, battono la sorprendente Polonia, già artefice delle eliminazioni di Inghilterra ed Italia. La finale è quella che si pronosticava ormai da mesi: ancora una volta i tedeschi avrebbero dovuto ostacolare il calcio totale degli olandesi. Di nuovo Beckenbauer contro Cruijff.
L’Olanda ha tra i suoi sostenitori milioni di appassionati da ogni parte del mondo, divertiti e attratti dal rivoluzionario stile di gioco imposto dall’Arancia Meccanica di Rinus Michels. Pronti via e gli olandesi sono in vantaggio già al secondo minuto su calcio di rigore, dopo un’ingenuità di Hoeness. Ma qui inspiegabilmente la propensione offensiva di Cruijff e dei suoi viene meno, lasciando spazio alla risposta dei tedeschi, i quali, ormai abituati alle rimonte, prima pareggiano con un altro calcio di rigore e poi, su contropiede, vanno avanti con gol di Müller. Per tutto il secondo tempo l’Olanda cerca di riaprire la gara, ma alla fine a trionfare è la Germania, brava a resistere grazie agli interventi di Vogts e Beckenbauer. Il quale realizza il sogno di alzare la Coppa del Mondo, da capitano, nella città che l’ha visto nascere.
Gli ultimi anni
Nel 1974 la carriera di Beckenbauer raggiunge il suo apice (eppure non vince il Pallone d’oro, andato invece a Cruijff). In poco più di dieci anni, Franz aveva vinto tutto ciò che c’era da vincere. E ancora lo avrebbe fatto (senza però il fascino e la gioia degni delle prime volte), se si pensa che subito dopo la prima Coppa dei Campioni, ne sarebbero seguite altre due: quella del 1974/75 contro il Leeds e quella del 1975/76 contro il Saint-Etienne. Nel 1976 arriva secondo agli Europei in Jugoslavia, con finale persa solo ai rigori contro la Cecoslovacchia, per poi ricevere a fine anno, per la seconda volta, il premio individuale più ambito da qualsiasi calciatore.
Ma ogni campione che si rispetti, prima o poi, ha bisogno di cambiare aria e di sottoporsi a nuove sfide. Nel 1977 Franz accetta un lucroso ingaggio da parte dei New York Cosmos, entrando a far parte di una lunga tradizione di fuoriclasse che in quegli anni decidono di chiudere la propria carriera nei ricchi club statunitensi. In realtà dietro questa scelta si cela anche qualcos’altro: in patria era scoppiato un nuovo scandalo riguardo la sua vita privata. Senza aver divorziato dalla moglie Brigitte, Beckenbauer aveva infatti iniziato a frequentare la fotografa Diana Sandmann: secondo molti non il comportamento che si conveniva al capitano di una nazionale. Nazionale che peraltro è costretto a lasciare in seguito al suo trasferimento, vista la scarsa considerazione riservata ai campionati non europei.
La vita di Franz è completamente rivoluzionata, ma la capacità di vincere è l’unica cosa che non cambia neanche negli States: in tre anni arrivano tre campionati. Nel 1980 torna per un biennio in Germania, vincendo un’altra Bundesliga con l’Amburgo, prima di chiudere la carriera, nuovamente ai Cosmos.
La panchina della Nazionale Tedesca
Finisce così la storia del “calciatore tedesco del secolo”, ma se il Kaiser sembra ancora oggi avvolto da un’aura mitologica lo si deve anche alla seguente esperienza da CT della Nazionale tedesca. Dopo i fallimentari Europei del 1984 e le dimissioni di Jupp Derwall, infatti, viene chiamato sulla prestigiosa panchina. Questo pur non essendo in possesso della licenza: il suo ruolo ufficiale diviene quello di team manager e viene affiancato da un assistente. L’esordio arriva a 39 anni, con una sconfitta contro l’Argentina. Nel 1986 la Germania si qualifica senza entusiasmare ai Mondiali in Messico. La squadra si presenta senza grosse pretese, e il pronostico sembra essere confermato dopo i risultati deludenti del girone (la sconfitta per 2-0 contro la Danimarca su tutti).
Ma poi, passo dopo passo, nella fase ad eliminazione diretta la squadra riesce ad andare avanti e a raggiungere la finale contro l’Argentina di Maradona. La partita viene persa per 3-2, ma la Germania dà prova di un forte attaccamento alla maglia e dimostra di aver dato il massimo. Per questo, al ritorno in terra tedesca, Beckenbauer e i suoi ragazzi vengono accolti con un clima di festa nonostante la sconfitta. Curioso un aneddoto riguardante questa competizione: Beckenbauer aveva rispedito a casa il portiere Uli Stein, il quale, non nuovo ad episodi del genere, aveva detto del CT, per criticare le sue convocazioni: “Da uno che pubblicizza zuppe (Beckenbauer anni prima aveva pubblicizzato una nota marca di minestre) ti puoi aspettare solo una minestra di cetrioli”.
Nel 1988 partecipa agli Europei in casa, dove viene però eliminato in semifinale, non potendo nulla contro l’Olanda di Van Basten, Gullit e Koeman. Ai successivi Mondiali in Italia la squadra torna ad essere una delle favorite, visto l’inserimento di giovani campioni come il trio interista Brehme – Matthaus – Klinsmann. Inoltre, tutto il popolo tedesco, e quindi pire i ragazzi della nazionale, arrivavano carichi di gioia e positività dopo la caduta del Muro di Berlino e la tanto agognata riunificazione tedesca. Anche a livello calcistico c’è la volontà di dimostrare di essere finalmente tornati: per questo i tifosi tedeschi partono per seguire in massa le partite del Mondiale. Il torneo va proprio secondo i piani, con i ragazzi di Franz che arrivino a giocare la finale, nuovamente contro l’Argentina di Maradona.
Stavolta però le cose vanno in un modo diverso: il fuoriclasse argentino, già in declino, è particolarmente innervosito dai fischi dei sostenitori italiani. In più, per bloccarne la creatività, Franz lo fa marcare a uomo dal difensore dello Stoccarda Guido Buchwald: scelta che si rivelerà decisiva. Per tutta la partita nessuna delle due squadre riesce ad imporre il proprio gioco e il match viene inevitabilmente deciso da un rigore: dopo non averne assegnato uno molto simile, se non più chiaro, l’arbitro concede il penalty in seguito ad un fallo di Sensini ai danni di Voller. A trasformarlo è Brehme all’ 85′. Il risultato non cambia più e la Germania vince così il terzo mondiale della sua storia, raggiungendo Italia e Brasile. Il Kaiser è il primo a vincere la Coppa del Mondo sia da giocatore che da allenatore: in seguito sarebbe stato raggiunto dal brasiliano Mario Zagallo e dal francese Didier Deschamps.
Dopo la vittoria, Franz lascia la panchina della Nazionale per accasarsi al Marsiglia, dove però rimane per soli tre mesi. A partire dal 1991, compie un nuovo passo, entrando a far parte della dirigenza del Bayern Monaco, dapprima come vicepresidente e poi come presidente, dal 1994 al 2009. In mezzo, due brevi periodi in cui si siede sulla panchina del club come traghettatore: nel primo caso vince la Bundesliga 93/94, nel secondo la Coppa Uefa nel 1996 ai danni del Bordeaux. Quando si dice che uno ha la vittoria nel DNA.
Beckenbauer dirigente
Ricopre a lungo anche il ruolo di vicepresidente della Federcalcio Tedesca, membro del Comitato Esecutivo FIFA e anche del Comitato organizzatore della Coppa del Mondo 2006, da lui fortemente voluta in Germania. L’organizzazione dei Mondiali 2006, peraltro, è una delle macchie della vita di Franz: a distanza di anni viene condannato per corruzione e riciclaggio di denaro. Le stesse accuse gli vengono rivolte anche in merito all’assegnazione della Coppa del Mondo 2018 in Russia. Un’altra critica ricevuta è quella di non aver partecipato all’inchiesta riguardante l’utilizzo di lavoratori migranti nella preparazione dei Mondiali 2022 in Qatar, dopo la denuncia di Amnesty International: il dirigente bavarese aveva cinicamente risposto che non vedeva i presupposti per poter parlare di schiavitù.
Sulla vita di Franz Beckenbauer si è detto tanto, anche di negativo. Le accuse di corruzione sono delle macchie indelebili per cui molti non lo perdoneranno, così come le scelte eticamente discutibili nella sfera privata: i tre matrimoni, conditi da cinque figli e alcune relazioni extraconiugali, lo hanno spesso posto nell’occhio del ciclone mediatico e del biasimo generale. Ma niente di tutto ciò può lontanamente scalfire l’immagine seria ed elegante che Franz si è creato negli anni da calciatore e allenatore.
Per i tedeschi (e non solo) Beckenbauer è una figura quasi mistica, è come la personificazione del calcio, gioco dal quale non è mai stato in grado di separarsi completamente. Parla poco, e se succede non lo fa mai invano. Ecco perché hanno fatto scalpore le dichiarazioni di due giorni fa, in cui il Kaiser sostiene di provare per la prima volta paura nei confronti della morte, a causa del peso degli anni e dei dolori fisici, ma anche della sofferenza dovuta alla morte di uno dei suoi figli, Stephan, avvenuta nel 2015. Ma siamo sicuri che ancora una volta riuscirà a trasformare le difficoltà in un valore aggiunto, come ha saputo dimostrare nella sua lunga e vincente carriera.
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