Dopo il Gol dell’Anno, la Matricola dell’Anno, il Giocatore più Migliorato dell’Anno, l’Allenatore dell’Anno e la Riserva di Lusso dell’Anno, arriva la sesta ed ultima categoria nella settimana degli RdL Awards, i nostri premi per la stagione di Serie A 2020/2021 appena conclusa. Concludiamo con il Giocatore dell’Anno.
Come abbiamo stabilito questi ed i restanti premi? La nostra redazione ha espresso tre preferenze per categoria: 1 punto per il bronzo, 3 punti per l’argento e 5 per l’oro. Dopodiché, abbiamo calcolato chi fossero il terzo, il secondo ed il primo classificato per punti raccolti. Ed eccoli qui.
3° posto: Nicolò Barella, Inter (31 punti)
di Nicola Boccia
Imprescindibile. Dovendo scegliere un solo aggettivo per descrivere e sintetizzare l’apporto di Nicolò Barella alla causa nerazzurra che ha portato allo Scudetto non potrebbe essere che questo. E con ogni probabilità, non fosse stato per un gigante di 191cm capace di abbattere le difese di tutta Italia mettendo a segno 24 gol e 11 assist, staremmo qui parlando del miglior giocatore della Serie A 20/21. Una stagione che lo ha definitivamente consacrato non solo a livello nazionale, ma anche al di là dei confini nostrani.
Che fosse già parecchio forte era evidente, come del resto era risaputo avesse le potenzialità per diventare un calciatore di un’altra categoria. Meno lo era ipotizzare potesse diventarlo così a breve termine, tutt’altro conservando ancora ampi margini di miglioramento. Già, perché la maturità dimostrata (da sempre) in campo potrebbe ingannare, ma non bisogna dimenticare che il centrocampista dell’Inter rimane comunque un classe ’97, e visti i progressi fatti dalla stagione scorsa a quella appena finita, c’è ben davvero da sperare per il futuro. Perché in effetti i progressi fatti nell’ultimo anno da Barella sono davvero impressionanti. Gli si criticava lo scarso impatto in zona realizzativa, e ha iniziato ad essere determinante anche nei pressi della porta; gli venivano additate la troppa irruenza e le troppe ammonizioni e ha imparato a controllarsi, senza però che il suo gioco ne perdesse in aggressività e intensità. E ancora veniva criticato per essere troppo istintivo e poco riflessivo nelle giocate, mentre quest’anno ha dimostrato di saper gestire alla perfezione i tempi di gioco in base ai momenti della partita.
Insomma, in meno di un anno Barella ha colmato tutte quelle che potevano essere le lacune del proprio gioco, mostrandosi oggigiorno come un giocatore completo, a cui diviene davvero difficile poter trovare un difetto. Si è imposto come una delle colonne portati della squadra campione d’Italia ed è stato probabilmente l’immagine migliore per rappresentare lo spirito dato da Conte alla squadra. Quantità e qualità a disposizione dei compagni, senza che mai l’una escludesse l’altra, dando praticamente dato il proprio apporto in ogni zona di campo variando spesso gioco, sia abbassandosi a costruire e manovrare, in modo anche per liberare la fascia ad Hakimi – con cui ha formato una delle coppie più devastanti del campionato – sia dovendosi buttare esso stesso negli spazi lasciati liberi dai compagni: in quest’ultimo caso, emblematico il gol segnato contro la Juventus.
Inutile mettere in mezzo numeri: la stagione disputata dal centrocampista sardo va oltre meri dati statistici. Ha dimostrato di avere le qualità per giocare ai massimi livelli e la giusta mentalità per farlo a lungo, imponendosi con tutto merito come uno dei migliori centrocampisti a livello europeo. Dire il contrario equivarrebbe ad erroneamente sottovalutare quanto da lui fatto; a tal proposito, non a caso gran parte delle fortune della nostra nazionale agli Europei passeranno anche e soprattutto da lui. L’Inter ad oggi ha un grande punto interrogativo da risolvere in panchina, ma fortunatamente in campo le certezze di certo non mancano: Barella, ovviamente, è una di queste.
2° posto: Luis Muriel, Atalanta (36 punti)
di Cesare Milanti e Gianluca Losito
L’abbiamo detto, tanto nella categoria sull’Allenatore dell’Anno, quanto su quella della Riserva di Lusso dell’Anno: l’Atalanta, per la terza stagione consecutiva, ha raggiunto il 3° posto in classifica. Una situazione inedita per il nostro calcio, che senza il contributo di chi è presente nei due articoli di cui sopra, probabilmente non sarebbe potuto accadere. Anzi, sicuramente non sarebbe successo, senza Gian Piero Gasperini e Luis Muriel: il maestro che fa evolvere il suo allievo.
Il centravanti colombiano si è regalato e ha regalato al pubblico, di fede nerazzurra e non, la stagione che ci si aspettava da lui dai tempi di Lecce: continuità in tutto l’arco della stagione, la solita fantasia e contributo concreto alla causa atalantina. Per la prima volta in carriera, Muriel sfonda la cifra dei 20 gol in stagione: sono 22 per lui in Serie A, a cui si sommano altri 3 in Champions League e 1 in Coppa Italia. Numeri Ronaldeschi, quindi, non solo dal punto di vista tecnico (l’associazione più golosa e sfruttata da tutti), ma anche da quello statistico. Una stagione da bomber vero in cui Luisito è riuscito a superare le colonne d’Ercole della dimensione di riserva: un contributo, quello dalla panchina, che è rimasto sostanzioso, come spiegato ieri, ma che quest’anno è diventato solo un’appendice rispetto alle prestazioni di alto livello che sono arrivate anche partendo dal 1′. Al dato delle reti si aggiunge anche quello degli assist, 7, che lo rende il giocatore ad avere il maggior numero di gol+assist ogni 90 minuti nei principali 5 campionati europei (1,82), davanti a gente come Lewandowski, Mbappé e Haaland.
Dopo la scorsa stagione, che era stata fino a quel momento la migliore di Muriel, ci si chiedeva generalmente se il suo non plus ultra l’avesse messo in mostra, se non riuscisse a dare di più all’Atalanta e più in generale al calcio. Questa stagione ha sciolto il dubbio: Muriel è stato consistente dall’inizio alla fine, aggiungendo alla solita spensieratezza del suo gioco anche tanta solidità. Si è ricordato del dovere prima del piacere. Una stagione del genere ce la doveva fin dai primi anni di Udine e Lecce, e finalmente è arrivata: ciò che più soddisfa della stagione del colombiano è che lui è sempre rimasto lo stesso, non è diventato un giocatore più rigido, impostato; non ha smarrito la sua leggerezza in cambio dei gol.
Un’annata così va assorta a simbolo di questa folle stagione più di altre perché Muriel ci ha riportato alla gioia primitiva del gioco, quella che ti fa rimanere a bocca aperta per una bomba mancina spedita all’angolino. Ci ha fatto divertire, insomma: e nel frattempo ha anche raggiunto la Champions League. Se l’estate scorsa il quesito era su quale fosse la sua forma finale, a questo punto è meglio non farsi altre domande e aspettare speranzosi di vedere un Muriel ancor più incisivo, consapevoli di poter rimanere scottati.
1° posto: Romelu Lukaku, Inter (106 punti)
di Andrea Codega
I’m the fuckin’ best! Te l’ho detto, cazzo!
Non capita spesso che Romelu Lukaku, nel corso della sua carriera, sia stato associato a episodi di eccessiva cattiveria, arroganza o dimostrazioni di superbia. Anzi, il gigante belga anche in questi due anni in Italia si è fatto scoprire non solo per le sue abilità calcistiche, ma anche per il suo lato umano sensibile, trasparente e positivo. Ha festeggiato lo Scudetto – commosso – con una maglia dedicata ai nonni scomparsi, a cui un Romelu più giovane aveva promesso che avrebbe vinto qualcosa. Ha dimostrato un raro attaccamento verso i suoi compagni di squadra, per i quali si è erto a colonna e fratello maggiore, e non solo per una stazza fisica difficilmente pareggiabile.
Paradossalmente, è proprio uno dei tanti momenti che dimostrano la sensibilità e la splendida umanità di Lukaku che ha generato quella frase densa di sfrontatezza, e ha indirizzato lo Scudetto 2020/2021 in favore dell’Inter di Antonio Conte. Siamo al 26 gennaio, ai quarti di finale di Coppa Italia tra Milan e Inter: a ridosso della fine del primo tempo e sulla via degli spogliatoi, nell’intervallo, l’Italia vede un Lukaku mai visto sui campi nostrani. Irritato, arrabbiato, in cerca di vendetta dopo l’acre litigio in cui è incappato insieme a Ibrahimovic. Ciò che lo svedese dice nei confronti della madre dell’attaccante belga e i riferimenti a presunti riti voodoo feriscono profondamente Lukaku, a dimostrazione dell’attaccamento verso le sue origini, la sua infanzia, la fatica che ha fatto ad emergere nel mondo del calcio.
Da questo episodio, di cui si è tanto (eccessivamente) dibattuto, nasce la reazione che si è vista venticinque giorni dopo, nel derby del girone di ritorno vinto nettamente per 3-0. Una partita che, insieme alla vittoria per 2-0 sulla Juventus di circa un mese prima, funge da statement, da simbolo della superiorità nerazzurra in questo campionato. Quella partita non è solo il momento in cui l’Inter supera i rivali cittadini e si prende prepotentemente la vetta della classifica, ma anche l’occasione con cui l’Inter non si guarda più indietro e decide di guardare avanti, verso l’obiettivo dichiarato fin da inizio stagione: lo Scudetto.
La forza e la straripante prepotenza con cui l’Inter ha deciso di prendere le redini del campionato, senza lasciarle più, sono lo specchio del numero 9 nerazzurro, l’autentico trascinatore e uomo squadra di questa cavalcata Scudetto. Già da tempo apprezzavo il giocatore Lukaku, pur nutrendo alcuni dubbi sul suo valore assoluto, ma in questi due anni mi sono propriamente innamorato della sua figura: più volte si è parlato di come Lukaku si sia “caricato la squadra sulle spalle”, e probabilmente questa definizione è quella più calzante per raccontare il modo in cui il belga ha condotto l’Inter allo Scudetto dopo undici anni. Calzante non solo perché su quelle spalle ci starebbero veramente comode dieci persone.
Il gol simbolo della stagione di Lukaku non può che essere, dunque, proprio quel 3-0 nel derby di ritorno. All’interno di un’annata altisonante con 24 gol e dieci assist, che dimostrano la sua crescita nella capacità di associarsi con i compagni e con il suo hermano Lautaro Martinez, il modo in cui Lukaku si impossessa della palla a centrocampo e si scaglia con violenza verso la porta difesa di Donnarumma, senza che nessuno dei giocatori rossoneri sia in grado di ostacolarlo (anche per una disposizione disordinata dello scacchiere di Pioli in quel frangente), è il prodotto di un calciatore arrabbiato dall’episodio occorso a fine gennaio con Ibrahimovic, ma anche il frutto di un giocatore che nei due anni all’Inter e sotto il comando di Antonio Conte ha assunto un altro status, un’altra consapevolezza della sua forza e della sua capacità di essere un leader per i compagni, di determinare una partita e un’intera stagione.
Troppe volte, nel corso dei due anni, tanti tifosi e addetti ai lavori hanno considerato l’Inter come dipendente da Lukaku. Un pensiero fuorviante e soprattutto ingeneroso nei confronti dei diversi momenti in cui Antonio Conte ha sapientemente plasmato la sua architettura, che quest’anno ha vissuto le due fasi decisive a novembre, con l’abbassamento della linea difensiva (non a caso anche Skriniar meriterebbe il premio di MVP stagionale), e poi a gennaio, con l’inserimento in pianta stabile di Eriksen al fianco di Brozovic. L’Inter è una squadra corale, capace di giocare in diversi modi e con diverse soluzioni di gioco. Lukaku, all’interno di questo ampio ventaglio di possibilità, è stato sì uno dei principali catalizzatori del gioco nerazzurro, ma ancor prima di questo è stato il trascinatore emotivo e mentale, in una squadra in cui i giocatori che avevano già sollevato trofei importanti erano ben pochi.
Anche per Lukaku questo Scudetto è stato il trofeo più importante vinto in carriera. Un trofeo che ha indirizzato lui stesso, in prima persona: nella finale di Europa League contro il Siviglia, lo scorso agosto, l’ex United era stato sfortunato nel determinare la sconfitta della propria squadra con un clamoroso autogol e un grave errore nell’uno contro uno contro il portiere Yassine Bounou. Per i tre giorni successivi, come lui stesso ha ammesso, non ha voluto parlare con nessuno e si è rinchiuso in casa.
Il Lukaku che si è rivisto poche settimane dopo, all’inizio della stagione 2020/2021, è sembrato fin da subito più carico, più ossessionato dalla vittoria e più deciso; personalmente mi è sembrato anche più grosso e robusto, se mai avesse potuto ingigantirsi ancora di più, senza perdere una velocità e agilità di base troppo spesso sottovalutate, proprio alcune delle qualità messe in mostra in quel 3-0 contro il Milan. Un gol di forza, di prepotenza, di determinazione, di cattiveria. Realizzato da un giocatore che quest’anno si è reso ancor più consapevole, più forte, più grande sia in senso letterale che figurato: su quelle spalle Lukaku si è caricato l’Inter intera, ha dominato la Serie A e ha conquistato lo Scudetto.
I voti di RdL per il Giocatore dell’Anno e la classifica completa
Di seguito, tutti i voti della redazione di Riserva di Lusso per il Giocatore dell’Anno:
Ecco, infine, la classifica completa:
- Romelu Lukaku, Inter (106 punti);
- Luis Muriel, Atalanta (36 punti);
- Nicolò Barella, Inter (31 punti);
- Franck Kessie, Milan (19 punti); Rodrigo De Paul, Udinese (19 punti);
- Lorenzo Insigne, Napoli (12 punti);
- Theo Hernandez, Milan (9 punti);
- Milan Skriniar, Inter (8 punti);
- Juan Cuadrado, Juventus (5 punti); Zlatan Ibrahimovic, Milan (5 punti);
- Simy, Crotone (3 punti); Dusan Vlahovic, Fiorentina (3 punti);
- Manuel Locatelli, Sassuolo (2 punti);
- Simon Kjaer, Milan (1 punto); Domenico Berardi, Sassuolo (1 punto); Joaquin Correa, Lazio (1 punto).
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