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CALCIO ITALIANO

Vogliamo vedere ancora giocare Giuseppe Rossi

L’illusione che porta con sé il nuovo giovane in rampa di lancio del calcio italiano è un qualcosa di atavico. Ogni anno, o anche meno, esce un nome su cui l’opinione pubblica si esprime fortemente, assegnandogli l’etichetta del predestinato. La maglia azzurra, vera ossessione di quasi tutti noi, aspetta sempre qualcuno. Lo stiamo sperimentando quest’anno con Lorenzo Lucca, ci siamo passati di recente con Kean e meno di recente siamo rimasti scottati nell vedere che fine ha fatto Macheda. Ma durante la mia adolescenza, nonostante fosse passato pochissimo tempo da un Mondiale vinto, il Messia sembrava essere Giuseppe Rossi.

Un nome così classicamente italiano con tutto il fascino di essere in realtà cresciuto Oltreoceano. Una narrativa che ci affascinava ancora più del solito: il prossimo miglior giocatore italiano sarà lui, l’italiano d’America. L’opinione pubblica poi, non può che pendere dalle labbra di uno come Enzo Bearzot, che appena lo incrocia spende parole dolcissime per lui. Lo soprannomina Pepito, paragonandolo a Paolo Rossi e anzi, aggiungendo che secondo lui poteva avere un ventaglio ancora più ampio di frecce al suo arco.

Giuseppe Rossi in ritiro con l'Italia
Pepito in allenamento nel raduno pre-Mondiale 2014 (Foto: Filippo Monteforte/AFP-Getty Images-OneFootball)

Una passione di famiglia

Emigrati dal centro Italia (padre abruzzese, madre molisana) nei primi anni ’70 la famiglia Rossi si è stabilita in New Jersey, tra le cittadine di Teanock, dove Giuseppe nasce nel 1987, e quella di Clifton dove invece crescerà e si formerà come uomo e calciatore.  A garantirgli la formazione da calciatore sarà proprio papà Fernando, mister della squadra scolastica e giovanile di Clifton. Il forte legame con l’Italia, lo porta ogni estate nel Belpaese per le vacanze. Ed è proprio durante un soggiorno estivo che gli osservatori del Parma notano il dodicenne italo-americano. I gialloblu lo tratterranno in Italia per farlo entrare nelle giovanili del club di Tanzi, all’epoca a pieno diritto nell’alta borghesia del calcio italiano ed europeo.

Quando, nel 2004, il crack Parmalat coinvolge anche l’Associazione Calcio Parma, persino nei pezzi pregiati delle giovanili c’è un “si salvi chi può”. A notare Rossi è il Manchester United di Sir Alex Ferguson che per 200.000 euro porta con sé il diciassettenne del New Jersey. La stagione 2004-05 la passa nelle giovanili, in prima squadra solo una manciata di minuti in League Cup (attuale Carabao Cup). La stagione seguente è quella dell’esordio in Premier. La data è il 15 ottobre 2005 e Pepito è chiamato a sostituire una leggenda come Ruud Van Nistelrooy, che ha appena siglato il gol del doppio vantaggio contro il Sunderland. Passano solo una decina di minuti, quando Giuseppe Rossi e i suoi diciott’anni con un tiro sporco e debole, piazzano il gol del definitivo 1-3 sul secondo palo. La narrazione del predestinato, lo travolge.

Segnerà nuovamente all’esordio anche con il Villarreal, in quella che è stata di gran lunga la sua esperienza migliore in assoluto. Il culmine della sua epopea, dopo un breve intermezzo nuovamente in Italia, ancora una volta al Parma, è con il Submarino Amarillo. Quattro stagioni in continuo crescendo. L’ultima di queste, in particolare, la stagione 2010-11, dove in coppia con Nilmar fa fuoco e fiamme in Liga, conquistando la qualificazione in Champions League, e in Europa League, bloccato solo dal super-Porto di Hulk, Falcao e James Rodriguez in semifinale. Chiude quella stagione e probabilmente anche le pretese di essere un giocatore di primissimo livello, con 31 gol, 11 assist e l’interesse del Barcellona di Pep Guardiola.

Pepito festeggia uno degli ultimi gol con la maglia del Villarreal nel preliminare di Champions League contro i danesi dell'Odense
Pepito festeggia uno degli ultimi gol con la maglia del Villarreal nel preliminare di Champions League contro i danesi dell’Odense. (Foto: Josep Lago/AFP-Getty Images-OneFootball)

Un cristallo italo-americano

Agli albori della sua quinta stagione al Madrigal, Pepito sa bene che quella potrebbe essere l’ultima in una squadra di non primissima fascia. Sa che potrebbe diventare presto la stella di una squadra che può lottare per i titoli nazionali o addirittura per la Champions League. Un film di inizio millennio con protagonista Johnny Depp, aveva un famoso excipit, in cui il protagonista diceva di aver perso brandelli di cuore qua e là. Ad ottobre 2011 Rossi comincia il suo personale calvario, perdendo brandelli di ginocchia qua e là. La partita contro il Real Madrid del 26 ottobre è probabilmente la biforcazione più importante della vita dell’italo-americano. Al Bernabeu Rossi riporta la rottura del crociato anteriore sinistro.

Le tabelle di marcia, prevedevano un rientro lento, ma parlavano chiaramente della possibilità concreta di partecipare all’Europeo del 2012. In primavera però, durante la riatletizzazione, il ginocchio cede ancora. Il calvario si allunga, il campo si fa più lontano; a corollario di queste sfortune, il Villarreal, orfana di Pepito, retrocede mestamente, passando in una sola stagione dal paradiso all’inferno. Il secondo infortunio è ancora peggio del primo, i tempi si allungano vertiginosamente, potrà tornare in campo a primavera inoltrata del 2013. Incurante di ciò, la Fiorentina a gennaio lo preleva dal Villarreal in Segunda Division, continua a curarlo, a riabilitarlo, lo coccola. Ci crede. Il 19 maggio 2013 dopo quasi 20 mesi di assenza dai campi, Pepito ritorna in Serie A, sostituendo Juan Cuadrado nell’ultima giornata.

A settembre 2013 sembra pronto per una ripartenza vera. Nella Fiorentina di Vincenzo Montella è un punto fermo e nel girone d’andata fa obiettivamente vedere di ché pasta è fatto. Torna in Nazionale, dove parla di “nuovo inizio”, realizza una straordinaria tripletta alla Juve più forte della gestione Conte, realizza in 18 partite 14 gol e 4 assist. La stagione che porterà i vice-campioni d’Europa al Mondiale in Brasile, sembra arricchirsi di un’importantissima freccia nell’arco di Prandelli.

Giuseppe Rossi in gol nel suo magic moment in Viola.
Giuseppe Rossi in gol nel suo magic moment in Viola. (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images-OneFootball)

A gennaio c’è un derby di campionato. Fiorentina-Livorno. Un contrasto con Rinaudo, un urlo, un tonfo. Incredulità generale: lo stadio, il telecronista, persino chi come noi guardava da casa. Tutti col fiato sospeso. Qualche anno dopo, a Sfide, Pepito dirà “Non ho sentito dolore, solo tristezza.” Tornato in campo a fine maggio, Prandelli lo porterà nel pre-Mondiale ma non se la sentirà di spingersi oltre. Un’altra occasione in maglia azzurra sfumata.

La preparazione estiva porta con sé altri acciacchi, come sempre, per chi viene da infortuni così importanti. Si evidenzia un sovraccarico del ginocchio. Altri problemi, altre operazioni. Anche la stagione 2014-15 passa via, senza colpo ferire. In quella seguente Rossi è emarginato da Paulo Sousa. Non lo vede o, più probabilmente, pensa di non avere il tempo di aspettarlo.

Rossi in Confederations Cup nel 2009
A causa degli infortuni la sua unica esperienza azzurra rimarrà in Confederations Cup nel 2009. (Foto: Claudio Villa/Getty Images-OneFootball)

Rossi e i ritorni

Come per tutti i migranti la carriera e, quindi, la vita di Rossi, è facile da legare al viaggio. Ma ad essere veramente precisi, è il nostos il vero leitmotiv della carriera di Pepito. Il continuo ritorno, come ciò che ci viene narrato da Omero con l’Odissea, è la sua carriera. Quando a Firenze, comincia a non giocare da sano, il suo cuore lo porta nuovamente in Spagna. Questa volta al Levante. Segna qualche gol, dà un contributo, pur non riuscendo ad evitare la retrocessione del club valenciano. Ad agosto è nuovamente a Firenze e viene nuovamente girato in prestito in Spagna, al Celta Vigo.

La sua stagione non sembra esaltante, non gioca molto, segna anche meno, finché in aprile, con un’altra grande tripletta stende per 3-1 il Las Palmas. Giuseppe Rossi torna uomo copertina in Liga? Sì, ma una settimana dopo, contro l’Eibar parte titolare. Gioca una partita discreta finché non s’infortuna di nuovo. Ancora al ginocchio sinistro. La prognosi è tremenda, almeno 6 mesi di stop. La stagione finisce nel vuoto: finito il prestito, la Fiorentina lascia che il suo contratto vada naturalmente a termine. Nell’estate 2017 Giuseppe Rossi è ufficialmente svincolato.

Il 5 dicembre dello stesso anno, viene presentato dal Genoa; il ritorno questa volta non è in un luogo geografico, ma con una persona. Il tecnico di quel Genoa, è Davide Ballardini, che ben quindici anni prima aveva avuto la fortuna di allenare Pepito nelle giovanili del Parma. Purtroppo la stagione non andrà comunque nella direzione sperata, Rossi giocherà pochissimo e segnerà una sola rete, un gol dell’ex contro la Fiorentina a maggio.

Finisce nuovamente svincolato. Qualche tempo dopo, una strana storia di doping, conclusasi solo con una nota di biasimo. A Pepito dopato, obiettivamente, non ci credeva quasi nessuno. Fragile sì, ma non debole da cedere alla tentazione del peggiore degli illeciti. Poi tanti, tantissimi ritorni. Si allena un po’ col Manchester United, poi in New Jersey, poi nuovamente col Submarino Amarillo. L’opinione pubblica comincia a dimenticarlo. O meglio, comincia a ricordarlo come uno di quelli che poteva essere e non è stato.

Nel 2020 post-pandemia firma un contratto col Real Salt Lake, la prima volta di Giuseppe Rossi in MLS. Gioca poco, segna un solo gol, contro i Portland Timbers e quando c’è da presentare il roster per la stagione 2020-2021, non viene confermato. Svincolato, di nuovo. Ma non molla e non smette di allenarsi come dimostrano i social.

L’occasione della Spal

La cosa che verrebbe da chiedersi è se Pepito non si sia stancato. Di fare e disfare. Di tutti gli sforzi per riprovare ad essere qualcosa che ormai non sarà certamente più. A novembre 2021, si mette ancora una volta in gioco. Offre a noi appassionati un’altra occasione per ammirare qualcosa che possa anche solo vagamente ricordare il suo talento. Il contratto gli viene offerto dalla Spal e il campionato che si trova ad affrontare è una competizione lunga e difficile come la Serie B.

Ma per lui non è mai abbastanza. Continua a crederci, a giocare, a voler dimostrare di poter ancora dire la sua, seppur ad un livello molto più basso di quello che gli sarebbe spettato. Il primo gol è subito un colpo grosso da tre punti, in trasferta a Cosenza, alla seconda presenza (prima da titolare).

Ma il capolavoro arriva qualche settimana dopo a Vicenza. Al venticinquesimo del primo tempo, riceve un pallone al limite dell’area. Il Vicenza ha praticamente tutta la difesa schierata, lui parte con uno slalom, si porta il pallone dal destro al sinistro e supera il primo uomo. La corsa sembra destinata a finire, ci sono ben due difensori pronti a chiuderlo. Eppure lui li sfida, continua a portarsi il pallone da un piede all’altro e c’è un momento del video in cui sembra passare attraverso il corpo del difensore alla destra del teleschermo. Si trova oltre, solo contro il portiere, ma con il difensore attaccato alla schiena. Con la spinta dello slalom tocca il pallone di punta, quanto basta per indirizzarlo verso il palo lontano. Un gol impossibile.

Un gol che tutti gli amanti del calcio, tutti quelli che hanno creduto tanto in lui, sperano possa continuare a fare. Perché una storia di migrazione, sfortuna e calcio è quanto di più empatizzabile esista per noi italiani.

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