Spesso per tratteggiare le caratteristiche della personalità umana si usa il gioco degli opposti: furbo/ingenuo, intelligente/stupido, onesto/ipocrita, umile/superbo. Una delle dicotomie più sottili e sfumate è quella che contrappone la timidezza alla spavalderia. Mentre altri tratti personali sono in un certo senso immanenti, parte fondante della persona, il timido e lo spavaldo possono ritrovarsi nello stesso corpo a seconda dei momenti e delle situazioni.
Il comportamento di una persona è il vestito che indossa, o la maschera per dirla con Pirandello, che muta a seconda delle situazioni sociali in cui si trova. Tutti quanti, nessuno escluso, adattano il proprio atteggiamento in base alla loro comfort zone, o comunque si trovano nella loro vita a fare passi indietro in alcuni frangenti e balzi in avanti in altre. Un fenomeno del genere si verifica quasi scientificamente sul terreno da gioco, quello in erbetta, per certi calciatori unti allo stesso tempo da un abbacinante talento ma anche da un carisma differente da quello di altri. “Fuori dal campo è timido, ma quando l’arbitro fischia diventa un altro”, dicono spesso. Gonzalo Villar fa parte di questi esseri particolari, macchine non di scienza ma di emozioni, che riescono ad accendersi e spegnersi come un interruttore non appena il pallone rotola sul terreno di gioco.
Villar ed una nuova avventura
Arrivato a Roma nel gennaio 2020 dall’Elche, per una cifra oggi considerabile irrisoria (4 milioni di euro + 1 di bonus), per traiettoria il suo percorso è paragonabile a quello di un altro centrocampista che riempie gli occhi degli spettatori, Marco Verratti. Entrambi, difatti, hanno preferito l’esperienza all’estero – o sono stati preferiti, a seconda dei punti di vista – prima ancora di fare una presenza nel campionato di prima divisione della loro terra natìa. Dalla Serie B alla Ligue 1 per il prestigiatore di Manoppello, dalla Segunda División alla Serie A per il talento murciano. Villar, in un’intervista a Panenka dell’aprile 2020, dice:
Talvolta mi trovo a pensare: “Sono passato dalla Segunda alla Serie A senza debuttare in Liga”. Non conosco molti giocatori che hanno fatto questo percorso. Il mio sogno dall’età di cinque anni era giocare in Primera in una delle quattro grandi: è successo, ma in Italia, perché la Roma è una delle quattro squadre più forti in Italia.
Come si può notare, mostra anche una certa ambizione che probabilmente mal si sposa con una diffusa scaramanzia tipica dei colori giallorossi. I primi mesi in maglia giallorossa per Gonzalo non sono una strada spianata verso il successo: diverse panchine, tanti ingressi a partita in corso e una sola partita da titolare, la matta vittoria in casa del Cagliari per 3-4 del 1 marzo, l’ultima partita giocata dalla Roma prima del lockdown.
In quell’incontro, Gonzalo viene impiegato per la prima volta al fianco di Cristante, nella cerniera mediana a due uomini che in quel momento deve proteggere tre trequartisti e una punta, ma che nell’evoluzione tattica attuata da Fonseca diventa successivamente un doble pivote utile sia a innescare i tre uomini offensivi che a partecipare all’azione offensiva (nella figura di Veretout in particolare). L’evoluzione a livello di disposizione degli uomini in campo da parte del tecnico portoghese rappresenta dunque una delle chiavi di volta del costante miglioramento di Villar nell’ultimo anno: nonostante ciò, nel breve pre-campionato che ha preceduto la stagione in corso, v’era un dilemma sulle zolle di campo più congeniali allo spagnolo, tanto che nelle amichevoli è stato impiegato sia nei due uomini dietro la punta che in quelli fronte alla difesa.
Dubbi dissolti immediatamente dopo le prime partite ufficiali: sebbene nei primi due mesi non sia stato molto lo spazio a sua disposizione, il suo impiego è sempre stato in mediana, con qualche incursione in zone più avanzate dovuta più ai compiti assegnatigli che non ad un ruolo di partenza. Un processo naturale, quello di regressione verso il centro del campo, atto ad esaltare i pregi e a nascondere i difetti del numero 14 in maglia capitolina: scarsa contribuzione in zona gol, ma gran qualità nel gestire la palla sotto pressione, unita ad una fase di non possesso solida.
Nella spregiudicata Roma di settembre e ottobre che schiera Pellegrini e Veretout in mediana con Pedro e Mkhitaryan alle spalle di Edin Dzeko, lo spazio di Villar è limitato a ritagli di gara in Serie A e a slot da titolare nella mai troppo lodata Europa League, palcoscenico per talenti di ogni provenienza, geografica e tattica (una competizione democratica si potrebbe dire). Così, nelle prime cinque partite del girone internazionale in cui è coinvolta la squadra giallorossa, viene messo in vetrina il nuovo abito d’alta moda griffato Roma, che ripaga in pieno la fiducia mostrando lampi di genio.
In numeri: un totale di 14 dribbling riusciti (su 14 tentati), 16 Shot Creating Action (azioni che portano ad un tiro) ed un aggregate 90% di passaggi riusciti, epigrafe concreta del salto di qualità effettuato in autunno. Un miglioramento sensibile, che però pretendeva la prova del fuoco della Serie A per ricevere un definitivo bollino di prestigio. Se il posto da titolare Villar se lo è fattivamente guadagnato in Coppa, è in campionato che si è guadagnato i titoli dei giornali: la sua presenza accanto a Veretout è diventata nel corso di pochissimo tempo imprescindibile. Prima che nessuno se ne accorgesse è diventato difficile immaginare una Roma senza il suo metronomo, l’elemento che detta il ritmo a seconda della fase della partita.
Quando è ripreso il campionato giocavo al massimo 7-8 minuti alla fine delle partite. Ma una delle qualità che mi riconosco è la forza mentale. Non mi sono mai allenato a testa bassa pensando che tanto non avrei giocato. Giocavo inizialmente solo in Europa League, ma volevo confrontarmi con la Serie A. Contro il Parma a novembre ho fatto una bella partita, abbiamo vinto e forse lì ho iniziato a pensare che il mister poteva ritenermi un giocatore importante.
Spiega così Villar ai microfoni del Tempo, interpellato il mese scorso. La mancanza di fretta ed al contrario la grande pazienza nell’aspettare il proprio momento, ha rappresentato – e forse continua a rappresentare, nel suo continuo anelare al miglioramento – un elemento fondamentale dell’esperienza romana di Villar. Arrivato assieme ad Ibañez in un mercato poco reclamato, si è fatto spazio nella rosa costruita da Gianluca Petrachi con la timida educazione che lo contraddistingue fuori dal terreno di gioco e con la tenacia mostrata al suo interno: un percorso compiuto in punta di piedi, come quando protegge palla e si libera dell’insidia avversaria con un movimento agile e slanciato.
L’importanza di Villar nell’impianto di gioco della Roma
Come già detto, per guadagnare il posto da titolare ci sono voluti diversi mesi, ma una volta inserito in pianta stabile è diventato difficile immaginare una Roma senza Gonzalo Villar. Al di là delle caratteristiche tecniche, di lui lascia impressi un particolare: la continuità nel corso sia della partita stessa che nel campionato. Da un calciatore alla prima stagione intera in una lega di prima divisione europea, ci si aspetterebbe qualche defaillance; al contrario, raramente Villar sbaglia la partita, segnalandosi tra i migliori in campo, o comunque tra quelli meno peggio, anche quando la Roma perde o pareggia.
Nello sviluppo tecnico dei capitolini, per fare un paragone motoristico, l’ex Elche è l’ABS della Roma, ovverosia lo strumento che permette una frenata senza sbandamenti. A Panenka dice:
Una delle mie caratteristiche principali è volere sempre il pallone, mi piace molto quando la squadra gira al mio ritmo. Talvolta sbaglio, ma cerco sempre una soluzione, non mi nascondo e non ho paura. Quando finisco una partita e ho toccato 70 palloni mi dico: “Che partidazo hai fatto, Gonzalo!”.
Nel campo da calcio, questo si traduce nel ruolo che spesso è definito come quello dell’equilibratore: in un undici verticale e che spesso non riesce a controllare i ritmi della partita, il metronomo spagnolo è quel giocatore a cui offrire la palla per addormentare il gioco o per prendere fiato, a seconda della situazione di gioco richiesta da una specifica fase della partita.
In una lunga chiacchierata prima della gara di ritorno contro la Juventus, in cui ha mostrato gran lucidità e consapevolezza anche rispetto ad altri aspetti del suo gioco, ha raccontato così: a Diario As:
Penso di essere cresciuto in personalità, nel senso che entro in partita con l’idea che devo rapportarmi alla palla di più e meglio, senza andare ad occupare lo spazio di un compagno di squadra. Ma essere sempre un’opzione per passare la palla, riceverla e dare di nuovo un’opzione al compagno di squadra. Preferisco toccare la palla 100 volte in una partita, come nella partita contro il Parma, facendo giocare bene la squadra, che toccandola 20 e segnando il gol della vittoria.
Si è dimostrato molto autocritico per quanto riguarda l’utilizzo del corpo nella fase di non possesso, che non è la sua specialità ma in cui si difende discretamente (2,43 contrasti p90, sopra la media del ruolo di 2,26):
Da più giovane difendevo molto poco. Mi sentivo come se fossi un giocatore di qualità, ma è sempre stato il mio partner a fare il lavoro sporco. Poi ti rendi conto nel calcio professionistico che questo non può andare bene e tanto più nella posizione in cui sto giocando ora. Giocando con Veretout, lui ha più libertà di pressare e io, oltre a calciare il pallone e mantenere la posizione più a lungo, devo fare un lavoro più difensivo. Questa è una delle cose che ho provato di più. Mi sta rendendo molto più completo.
Non fa mistero, invece, del suo amore viscerale per il gesto del dribbling, che lui utilizza per ogni evenienza: sia in fase difensiva per proteggere palla, sia per saltare una linea di gioco avversaria.
Con Pacheta (il suo tecnico all’Elche) ho imparato a distinguere quando ricevere palla e rimuoverla rapidamente e quando guidare e superare una linea di pressione. Mi sembra fondamentale nel calcio di oggi, così fisico e tattico, dove non ci sono vantaggi, che un centrocampista riceve tra due avversari e riesce a liberarsi, superare una linea e connettersi con il compagno di squadra. Se ne lasci uno indietro, è 11 contro 10 e se ci sono due contro nove, hai già generato il vantaggio.
In questa stagione completa 2,16 dribbling p90, meglio del 97% dei pari ruolo nei 5 principali campionati europei. Risulta anche il calciatore con la maggior % di riuscita (87,1%) tra quelli che hanno tentato più di 20 dribbling. Un calciatore dalle qualità evidenti, spagnolo per carta d’identità e caratteristiche. Quando gli si chiede quali siano i suoi modelli di riferimento, pungolato in particolare su Dani Parejo e Iniesta, lui risponde:
Cerco di imparare da loro per correggere i miei errori e cerco di apprendere da quei giocatori che giocano in maniera simile alla mia. Ho visto diversi video YouTube di Iniesta perché è un maestro nella conduzione del pallone, avanza molto senza essere particolarmente rapido, come faccio io alle volte. Di Parejo ammiro la capacità dii spezzare linee di pressione con un passaggio solo, oltre che la sua tranquillità
Nelle statistiche riguardanti la distribuzione e la progressione del pallone, Villar eccelle: 6,27 palle al piede progressive p90 (media ruolo di 4,39) e 90% di precisione nei passaggi, su 63 di media completati ogni 90 minuti.
Tra difetti e prospettive future
Particolarmente evidente è la carenza principale del suo gioco, cioè l’assenza dalla zona gol. Addirittura, nella sua carriera sono arrivati solo 1 gol – nella scorsa stagione all’Elche – e 2 assist. Più in generale, in Villar sembra carente una certa dimensione verticale del suo gioco, sia in fase di possesso che di non possesso. Nella Roma non gli è richiesto di contribuire massivamente alla fase offensiva, perché al suo fianco c’è un predatore di spazi quale Jordan Veretout, ma un centrocampista con le sue qualità tecniche dovrebbe per certo affinare il fondamentale del tiro, nel dettaglio dalla media distanza: quest’anno dal suo piede sono arrivati solo 7 tiri, nessuno di questi nello specchio. Sul rapporto di equilibri col collega francese, Villar svela scherzosamente nell’intervista al Tempo:
“Qualche volta prima della partita dico a Jordan: “Mi raccomando, alterniamoci ogni tanto”. Lui dice “Sì, sì”, ma non lo fa mai e in area ci va sempre lui.
Mentre invece, sul complicato rapporto con le conclusioni nello specchio, è sincero:
La verità è che io sono più votato al passaggio, è una cosa che ho dentro di me. Se vedo un compagno libero la passo, non calcio in porta. Ma è vero che ogni tanto dovrei essere un po’ più egoista.
L’assenza per infortunio di Veretout aiuterà a capire meglio se quella di Villar è una carenza strutturale oppure un adattamento alle caratteristiche del compagno di reparto. Già contro il Genoa, uno squillo è arrivato: conduzione palla dal cerchio di centrocampo fino al limite dell’area e destro dolcissimo stampato sul palo. Certo, ci si aspetta dunque una maggior incisività almeno per l’ultimo passaggio: 0,39 passaggi chiave p90 rimangono pochi.
Per quanto concerne il suo futuro, ha ribadito a più riprese che si vede saldo a Roma, con un ruolo tecnico e caratteriale di rilievo: magari da semplice membro del mini-clan degli spagnoli, composto da lui, Carles Perez, Pau Lopez e Mayoral, e che fa capo a Pedro, a vero e proprio leader di questa frangia iberica pacifica della Roma.
Di sicuro con un’ambizione debordante – “In una Roma forte che lotta ogni anno per lo scudetto e che compete in Champions League” – e con al suo fianco diversi compagni di squadra con più anni di crescita sulle spalle – “Giovani come Zaniolo, Pellegrini, Ibanez, Mancini tra due-tre anni, quando saremo tutti più maturi, possono formare una squadra che lotta per vincere”. A proposito della Spagna, tra pochi giorni sarà nella selezione spagnola che tenterà l’assalto all’Europeo Under 21, con i gironi che si disputeranno nelle prossime due settimane e le fasi finali invece rinviate ai primi di giugno.
In questa formazione potrà comporre un centrocampo di altissima classe con Zubimendi e Riqui Puig, due tra i talenti più brillanti di una nazionale, quella spagnola, sempre molto florida. L’assegnazione da parte del selezionatore Luis de la Fuente della maglia numero 10 al metronomo romanista, numero per eccellenza dei giocatori di classe, è un ulteriore bollino di qualità. Per partecipare a Euro2020, invece, avrà bisogno di un autentico miracolo, che quasi sicuramente non avverrà. Tuttavia, l’obiettivo principale per il futuro rimane il debutto e la successiva affermazione nella Nazionale maggiore spagnola, che viene vista dal centrocampista come porto finale, al di là di quello che succederà nei club.
Come già detto la concorrenza è folta, e in Serie A del resto hanno giocato per anni centrocampisti spagnoli dalla classe infinita che però non hanno trovato la maglia delle Furie Rosse – Luis Alberto, Borja Valero e Callejon, ad esempio -, ma per certo, quantomeno su questo punto di vista, il Chupón, come veniva chiamato da ragazzo, vorrebbe percorrere un’altra strada. Una strada tutta sua, ricca di paesaggi esteticamente appaganti, ma minimali quanto allo stile, per parafrasare una famosa frase dedicata a Riquelme e declinata sullo stile di gioco di Villar. Sky is the limit.
Dati numerici relativi al campionato, tranne ove espressamente indicato. Fonte: FBref