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GRADONI

Gradoni: Fiorentina-Juventus 4-2

Ci sono partite che sembrano durare un’eternità, incontri che non sembrano avere un termine. Sfide che durano “una vita”, dove ogni azione compiuta può avere delle conseguenze irreparabili. Il karma, nella religione e nella filosofia indiana, incarna più o meno questo: il frutto delle azioni di un essere vivente può determinare una diversa rinascita nella gerarchia degli esseri ed un diverso destino nella vita successiva. Anche nello sport esiste implicitamente il concetto di karma e, probabilmente, il 20 ottobre 2013 ci sono stati degli eventi che potrebbero essere tranquillamente ricollegati a tale legge. Fiorentina-Juventus è stata la partita che, per i tifosi viola, è stata decisa e ricondotta sui giusti binari da una giustizia divina, portando Firenze in estasi per un intero pomeriggio (e, forse, anche qualcosa in più).

Fiorentina-Juventus è una partita di quelle che a Firenze si cerchia sul calendario. Come spesso mi era accaduto, aspettavo con ansia il giorno del sorteggio dei calendari per capire quando cascasse la partita del Franchi contro i bianconeri, a tal punto che, una volta scoperta la data, spegnevo la TV. Tutto quello che c’era da sapere era ormai conosciuto. La settimana precedente è stata un’agonizzante attesa delle ore 15:00 di quella domenica.

Fiorentina-Juventus, un’attesa diversa

Abbonato come ormai da diverse stagioni, avevo il mio posto in Curva Fiesole: avevo fissato l’appuntamento ai giardini di Campo di Marte con due/tre amici, come sempre. Ma Fiorentina-Juventus ha un’attesa diversa, è bello tastare con mano tutto il riscaldamento della squadra, è sempre eccitante vedere la preparazione della coreografia all’interno della Curva, motivo per il quale decidemmo di vederci con almeno un’ora d’anticipo rispetto al solito e di entrare allo stadio molto prima del fischio d’inizio.

La stagione precedente la Fiorentina aveva strappato al Franchi uno 0-0 che non rispecchiava minimamente l’andamento della gara: i viola dominarono, la Juventus di Conte si ritrovò dopo più di un anno di dominio in Italia ad essere annichilita davanti alla superiorità di un avversario. Una bella soddisfazione, ma rimaneva lontanissimo il ricordo dell’ultima vittoria al Franchi della Fiorentina contro i “gobbi”, in quel lontano 1998, quando Batistuta impugnò la chitarra per un assolo rock ‘n’ roll dopo aver toccato il cielo, schiacciando in rete di testa il pallone dell’1-0. Oltretutto nel 2011 ebbi “l’onore” di assistere ad una delle partite più umilianti della storia viola, sicuramente la pagina più triste vissuta personalmente in Curva: lo 0-5 che vide la città di Firenze schernita dai nemici di una vita.

I giocatori entrano in campo con il sottofondo dell’inno di Narciso Parigi, la Fiesole alza le proprie bandierine e crea una coreografia che richiama i colori che contraddistinguono la città: il viola della Fiorentina, il bianco, il rosso, l’azzurro e il verde dei quattro quartieri che si sfidano ogni anno nel Calcio Storico fiorentino.

Bastano i nostri colori per farvi sentire inferiori.

Il guanto di sfida è lanciato, anche soltanto giocando sulla maglia della Juventus che è formata da due colori che non sono neanche definibili tali. Lo diceva Isaac Newton, non certo io.

La coreografia dei tifosi viola (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images - OneFootball)
La coreografia dei tifosi viola (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images – OneFootball)

In Curva l’atmosfera è elettrica, bastano un paio di cori e l’ambiente è già in fibrillazione: la partita è molto bloccata, le due squadre si studiano e come in una sfida a scacchi entrambe le compagini aspettano l’errore dell’avversaria. La stagione è quella degli arrivi di Carlos Tevez da una parte e di Mario Gomez dall’altra, due grandi colpi che avevano fatto vibrare le due tifoserie, soprattutto quella viola che portò 25000 persone allo stadio per la presentazione del bomber tedesco.

Peccato però che si fosse già infortunato alla terza giornata. L’attacco viola è in mano a Giuseppe Rossi, piccolo talento cresciuto negli States dal carattere schivo ed introverso, con un paio di ginocchia che non volevano saperne di rimanere integre, ma dal talento smisurato: in poche giornate aveva già mostrato il suo talento alla città di Firenze, che si aggrappava alle sue qualità per provare ad affossare la Juve.

Omaggio a Bati… forse?

Ovviamente, in perfetto stile Fiorentina, quando una delle due squadre in campo attende l’errore altrui per punire l’avversario, la squadra che sbaglia è sempre la nostra. Gonzalo affossa Tevez in area di rigore con un intervento troppo ruvido, l’arbitro fischia. Calcio di rigore. La Curva Fiesole è storicamente un settore dal quale si percepisce ben poco di ciò che accade in campo, ma l’impressione di tutti quelli attorno a me è che il rigore ci fosse. Parte Tevez, Neto prova ad azzeccare l’angolo ma l’argentino aspetta il suo movimento e calcia centrale: 0-1.

L’ex City e United corre esultante e mima un gesto molto caro ai tifosi della Fiorentina: la mitraglia di Gabriel Omar Batistuta. Pioggia di fischi e offese a non finire, come da copione. Nella mia testa voglio – stranamente – pensare bene, e credere che quello di Tevez fosse un omaggio (oggettivamente fuori luogo) a quello che è stato il 9 più forte della storia recente albiceleste. Matteino, povero illuso…“, mi dirò pochi minuti dopo.

La mitraglia di Carlitos Tevez (Foto: Imago - OneFootball)
La mitraglia di Carlitos Tevez (Foto: Imago – OneFootball)

Lo stadio ovviamente accusa il colpo ma è consapevole del fatto che manchi ancora molto alla fine, c’è tanto tempo per sistemare tutto. Il tifo non cessa, la voglia di rifarsi dentro e fuori dal campo non manca. Ma evidentemente in campo non avevamo ancora concluso il nostro armamentario di errori: Cuadrado completa una diagonale tutto sommato corretta in area di rigore, intercettando un passaggio di Pogba.

Il problema è che alza uno stranissimo campanile che mette fuori causa Neto (che stava uscendo) e tutta la retroguardia viola. La palla finisce per diventare un regalo per lo stesso Pogba, che segna chiudendo l’involontario triangolo con l’esterno colombiano. Non solo. Ecco un’altra mitraglia sotto la Fiesole. Eh no, omaggio un c***o. Questo è francese, mica argentino. Questi ci stanno prendendo per il c**o.

Fine primo tempo, 0-2, nessun segno di ripresa da parte della Fiorentina e annessa umiliazione in casa nostra contro i rivali storici che ci fanno pure la mitraglia sotto la nostra curva. Attorno a me vedo soltanto teste basse e gente che sbraita temendo già il peggio.

Perlomeno evitiamo un’altra figura di m***a come quella dello 0-5.

“Sarebbe già un miracolo pareggiarla questa partita”, penso io.

L'altra mitraglia, di Paul Pogba (Foto: Luca Pagliaricci/Imago - OneFootball)
L’altra mitraglia, di Paul Pogba (Foto: Luca Pagliaricci/Imago – OneFootball)

Il secondo tempo inizia con un ambiente che appare scarico, non si intravede una reazione dai giocatori in campo, la tifoseria appare quasi rassegnata e non sembrano esserci i presupposti per raddrizzare la partita. Montella ci aveva provato inserendo Mati Fernandez al posto dell’infortunato Ambrosini, e successivamente sostituendo uno spento Aquilani con Joaquin.

A Firenze lo spagnolo era appena arrivato, tutti conoscevano finte e sprint del talento spagnolo, ma ancora non aveva dato modo alla sua nuova tifoseria di apprezzarlo in toto. Neto nel frattempo aveva salvato due volte, prima su Marchisio e poi su Llorente, mantenendo acceso il lumicino viola ma convincendo ancor di più lo stadio che ormai era andata così. Poi, la ventata che ha ravvivato il fuoco assopito.

Cambia tutto

Mati Fernandez entra in area in percussione, Asamoah prova l’intervento ma atterra il cileno. Calcio di rigore. Come spesso mi accadeva a quei tempi, avevo preso l’abitudine di girarmi verso la Curva per non guardare il tiro dal dischetto. Giuseppe Rossi va a calciare, mi giro: boato. 1-2. Poche cose al mondo possono cambiare lo stato d’animo di tante persone come un pallone che entra in rete. Negli occhi della gente è ritornato l’entusiasmo, si rivede quel fuoco passionale che arde su ogni seggiolino dello stadio.

E la squadra tocca con mano il tutto. Il tifo riparte assordante, la Fiorentina inizia una nuova partita e sembra essere cambiata totalmente la dimensione delle cose. Raramente ho visto settori come la Maratona, la Tribuna e la Curva Ferrovia così caldi, con le persone sempre in piedi a seguire i cori della Fiesole. Passano i minuti e i viola sono sempre più padroni del campo, ormai il fuoco del pubblico e quello della squadra sono diventati un’unica fiamma che inghiottisce tutto ciò che incontra.

A quindici minuti dalla fine arriva un qualcosa di sovrannaturale, di non definibile. Giuseppe Rossi si libera con una ruleta di Pogba e in un unico ed insensato momento di silenzio calcia in porta. Ho come la percezione di aver sentito due rumori in quell’istante, il collo del piede di Pepito che incoccia improvvisamente il pallone, e il dolce fruscio della sfera che si struscia contro la rete. Se quello dell’1-2 è stato un boato, il gol del pareggio scaturisce una vera e propria bomba all’interno del Franchi.

All’intervallo tutti pregavamo per provare quantomeno ad eguagliare i gol della Juventus, ma in quell’istante non c’è stata una singola persona tifosa della Fiorentina che non abbia pensato “adesso andiamo a vincerla”. Non ci sono più cori chiari e scanditi, ho ricordi di un continuo ruggito uscire dagli spalti, o perlomeno è quello che ho percepito in quei minuti in cui l’adrenalina ha totalmente sopraffatto la coscienza.

La Fiorentina spinge, il Franchi carica, la Juventus è chiaramente in bambola. Neanche due minuti dopo il gol di Pepito, Borja Valero accarezza un pallone che Cuadrado aveva tenuto con i denti, Rossi fa un taglio che sul momento pare superfluo, ma che libera una corsia che il todocampista spagnolo vede come un’autostrada: solo ed indisturbato c’è Joaquin, che stoppa con eleganza. Per qualche centesimo di secondo si percepisce perfettamente tutto lo stadio che trattiene il respiro. Lo spagnolo calcia con freddezza e trova un angolo magistrale alle spalle di un Buffon in uscita disperata. Esplosione.

Joaquin segna il 3-2 (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images - OneFootball)
Joaquin segna il 3-2 (Foto: Gabriele Maltinti/Getty Images – OneFootball)

Mi ritrovo ad abbracciare gente mai vista almeno sette file più in basso rispetto alla mia posizione iniziale, vedo gente che a fine ottobre è a petto nudo in preda al fuoco della follia. Anche lo speaker dello stadio prova a far urlare il nome del numero 17 al pubblico, ma la gente è in preda ad una gioia assordante che impedisce a chiunque di rendersi conto della richiesta che arriva dalle casse dello stadio.

Non c’è più nessuno che riesca a rimanere seduto, il clima è rovente, incandescente, un qualcosa che non avevo mai visto in uno stadio. La Juventus non ci sta e prova a ripartire: subito dopo un minuto prova a crossare dal fondo; Vidal, Tevez e tutta la batteria offensiva dei bianconeri tentano di far cadere il muro eretto in area di rigore dai viola, ma Gonzalo Rodriguez calcia via il pallone, il più lontano possibile.

Da questo momento la scena è quella di un qualsiasi film sportivo che abbia un finale epico: la Juve è tutta avanti, Borja Valero mette giù il pallone con una maestria tale da renderlo un passaggio in profondità per Cuadrado; l’11 viola inizia a prendere velocità, voglio pensare che fosse letteralmente spinto dal calore della gente, e serve al limite dell’area Rossi, che si ritrova da solo davanti a Buffon e con alle spalle tutta la Juventus che prova il disperato recupero. Mancino a giro, palla in rete. Stavolta è un grido al limite, quasi sordo, di chi ha urlato fuori tutto il dolore represso di 15 anni di sconfitte a domicilio contro il nemico più grande, di chi aveva subito anche l’umiliazione della mitraglia sotto la curva.

Non mi nascondo, sono quasi sicuro di aver versato diverse lacrime quel giorno. Non la definirei commozione, ma è un qualcosa che è esploso in me da un susseguirsi di emozioni in rapida successione. Lo definirei più un orgasmo multiplo, senza voler togliere niente a nessuno. E, ascoltando le sensazioni di tutti coloro che erano allo stadio quel giorno, credo che fosse una percezione comune. Sono sicuro di aver visto lo stadio pieno per almeno quindici minuti dopo il fischio finale, ricordo di aver visto una quantità innumerevole di persone che conosco fuori dallo stadio, gente che addirittura aveva visto la partita a casa, ma che aveva deciso di riversarsi in strada per manifestare la propria libidine.

Nessuno voleva uscire da quel sogno, nessuno voleva lasciare quell’angolo di mondo in cui, per una volta, è sembrata esserci una giustizia. Quel karma che dicevamo all’inizio. Ancora oggi, nella mia camera, custodisco gelosamente le bandierine della coreografia, una per colore. Su ognuna di queste ho scritto data, partita e risultato.

Perché, anche solo per novanta minuti, è bello vivere il film che hai sempre sognato.

E sono tre, parola di Pepito (Foto: AFLOSPORT/Imago - OneFootball)
E sono tre, parola di Pepito (Foto: AFLOSPORT/Imago – OneFootball)

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