Nella città di Granada, splendore e bellezza sono un aspetto palesemente visibile ogni giorno: le testimonianze arabe e ciò che la dominazione di Muhammad ibn Nasr ha lasciato al capoluogo andaluso lo hanno reso, negli anni, una pietra miliare del turismo mondiale. Che sia per la particolarità e per le pendenze dei suoi quartieri più storici o per lo strabiliante panorama visibile alle pendici della Sierra Nevada, i granadini, discendenti di quelli che un tempo si facevano chiamare Nasridi, sanno di poter stupire il mondo.
L’ombra dell’imponente fortezza dell’Alhambra avvolge la città a seconda delle giornate e delle stagioni. E se a livello paesaggistico questi giochi di luce regalano diversi punti di vista a chi ammira estasiato, per il mondo del calcio quest’ombra rischiava di diventare permanente, o quantomeno densa. Il sole sembra oggi giunto al Nuevo Los Carmenes, perché sebbene il Granada Club de Fútbol fosse reduce da una rovinosa retrocessione nella stagione 2016/2017 e da un deludente 10º posto in cadetteria l’anno successivo, in due anni e mezzo è giunto a giocarsi un quarto di finale di Europa League, contro il Manchester United. Stupire il mondo, per l’appunto.
La visione dei Pozzo e la rapida scalata del Granada
La storia calcistica del Granada è poco decifrabile sino a qualche anno fa, in quanto il suo percorso è costellato da lunghe parentesi lontane dai piani alti del calcio spagnolo, aspetto che non ha mai inquadrato questa compagine come una grande decaduta. La maggiore dolcezza a livello mediatico ha permesso alla società di lavorare nel tempo, di ricostituirsi e riformarsi sempre per migliorarsi, nonostante i forti periodi di difficoltà economiche in cui versava il club.
L’era moderna dei Nasridi del calcio parte della gestione della famiglia Pozzo, a partire dal 2009. Ai Pozzo va il merito di aver visto, con molti anni di anticipo, il potenziale del club e di tutto il movimento calcistico granadino. La proprietà italiana subentra infatti nell’estate del 2009, quando la squadra era impegnata nel complesso campionato di Segunda B, in terza divisione. La spinta del nuovo arrivo e la giusta dose di fato fanno la loro, in quanto grazie a due promozioni consecutive il Granada si ritrova in Primera División nel 2011, dopo un epico playoff contro l’Elche che lo riporta in alto trentacinque anni dopo.
Oltre ad aver compreso il potenziale della società, la famiglia Pozzo dà al Granada stabilità ed equilibrio, il vero pezzo mancante per moltissimi anni. I sei anni in Primera, diventata poi Liga, rappresentano il periodo più duraturo dei biancorossi al massimo livello: in quegli anni, grazie a strategie di mercato azzeccate ed ottimi organici, saranno molti i giovani calciatori che passeranno dal Los Carmenes riscaldando le folle. Dalle scoperte Yacine Brahimi e Youssef El-Arabi, passando per il ritorno spagnolo di Nolito e per la consacrazione di Odion Ighalo, divenuto ormai emblema di un’era a Granada a suon di gol.
L’equilibrio e la stabilità economica del club non collimano mai oltre il 15º posto, miglior risultato ottenuto dalla squadra in un paio di campionati. La gestione dei Pozzo, che nel mentre avevano puntato sul calcio inglese acquisendo il Watford Football Club nel 2012, portano la famiglia a vendere nel 2016.
La paura prima della rinascita
Il nuovo azionista di maggioranza è il gruppo cinese Link International Sports Limited, guidato da Jiang Lizhang.
Il nostro obiettivo è promuovere tutte le aree del club per continuare a fare la nostra storia in campionato e mettere tutti i mezzi affinché l’ente arrivi il più lontano possibile.
A ciò Lizhang aggiunge la volontà di “aumentare il legame con la città, la provincia ed i tifosi”. Il progetto suona in maniera estremamente dolce, soprattutto in un periodo in cui la città ha davvero iniziato ad abituarsi alla Liga. Nonostante le dimensioni contenute del capoluogo (circa 200.000 abitanti), nella tifoseria biancorossa si è ormai innestata la passione ed il calore ben noto a tantissime piazze calcistiche andaluse. Chi nasce a Granada in quegli anni ne diventa tifoso apprezzando lo spettacolo ed il folklore che i genitori non avevano potuto vivere precedentemente.
29 aprile 2017: per alcuni è la fine di una favola forse irripetibile. Per altri è solo una caduta. Il Granada esce sconfitto da Anoeta, contro la Real Sociedad, facendo ritorno in Segunda División dopo sei anni. Lo scivolone coincide con la prima stagione di presidenza cinese, tanto da gettare dubbi sulla volontà o sul reale interesse di Jizhang di continuare quest’esperienza dopo un piccolo rallentamento. Il gruppo resta però fermo sulle sue idee, non tentennando e cercando di ripartire dal primo momento. Nonostante qualche rallentamento, il percorso del Granada ritroverà la Liga due anni dopo, nel 2019.
L’abilità di Diego Martínez alla guida del Granada
Nella stagione 2018/2019, quella della promozione, il Granada aveva un’identità ben precisa: possesso palla prevalente, con un controllo del gioco e della velocità della partita tali da portare a termine numerosi risultati. Con 28 gol subiti, gli andalusi saranno la miglior difesa del campionato. Partendo dal concetto di difesa, il loro allenatore, Diego Martínez, rivolta l’identità tattica della squadra come un calzino.
Da ex adepto delle scuole sivigliane (ha allenato il Sevilla Atletico, la cantera sevillista), Martínez sa che per sopravvivere in Liga ci vorrà un’altra intensità. Ecco perché, da squadra di palleggio, a tratti compassata ma efficace, il Granada diventa una compagine arcigna, tosta nei contrasti, brava a ripartire. Fondamentalmente, il cambio di mentalità stupirà anche le avversarie più blasonate: il Barcellona sarà una delle vittime illustri del Nuevo Los Carmenes, un aspetto che riporterà alla luce quella squadra “ammazzagiganti” che sembrava il preludio del Granada di oggi negli anni settanta.
Da un 15º posto come massimo risultato, il Granada conclude il campionato in settima posizione, rimontando nel tratto finale della stagione e sfiorando la finale di coppa. Il mimetismo di Martinez si ripete anche nell’estate successiva: pur mantenendo l’identità arcigna e di garra, il Granada diventa ancora più verticale, con un gioco ancor più rapido ed un’efficacia di gran lunga superiore alla stagione precedente.
I nazari diventano una squadra spietata, capace di avere poche occasioni in una partita ma di realizzarle. E se in Spagna qualche punto è stato perso per strada a causa dei tanti impegni, in Europa League quest’aspetto è stato massimizzato, permettendo di sconfiggere il Napoli nei sedicesimi di finale ed il Molde negli ottavi di finale.
Fare mercato oculatamente
Se riuscire un anno è l’anticamera della stabilità, saper architettare una strategia vincente anche al secondo è qualcosa di estremamente vicino alla bravura. Se il Granada ha saputo mutare pelle senza snaturarsi, ciò è dovuto anche alle ottime strategie di mercato messe in campo dalla sua società e dal direttore sportivo Fran Sanchez.
Gli andalusi hanno saputo scovare profili interessanti come il centrocampista Yangel Herrera, classe 1998 in provenienza dalle giovanili del Manchester City nel 2019, in assoluto il miglior giocatore del biennio. Puntando si sulle colonne portanti del club, come Ángel Montoro o Víctor Díaz, ma anche su prestiti di giovani interessanti, acquisti dalla seconda divisione o rivalutazione di calciatori d’esperienza come Roberto Soldado, divenuto una delle figure di riferimento del club e guida spirituale in attacco a suon di gol.
Tutto nel Granada sembra aver funzionato in questi anni, tanto che il club cerca di migliorarsi anche dal punto di vista infrastrutturale: il progetto per il rinnovamento dello stadio è già sul tavolo assieme alla giunta cittadina, in modo da sublimare ed ampliare le aspettative ed i progetti di questo club. Il messaggio è chiaro: da queste parti l’Eterna Lucha (l’eterna lotta), citando il motto della squadra impresso sulle divise ufficiali, non termina mai. Il Granada ha ancora voglia di stupire l’Europa calcistica.