Gunter Netzer non è stato solamente un grande giocatore entro i confini del manto erboso, che fosse quello del Bökelbergstadion di Mönchengladbach o il Santiago Bernabeu di Madrid. È stato il simbolo di un’epoca, di una filosofia calcistica ormai decaduta.
È il 1968 quando Martin Luther King e Robert Kennedy vengono assassinati in America. Siamo alla fine degli anni sessanta e l’establishment borghese che ha dominato gli anni del dopo guerra sta lentamente accusando i colpi di un ventennio di corruzione e politiche retrograde che hanno permesso ai giovani di opporsi a cotanta decadenza.
Il boom economico che seguirà cavalcherà l’onda della rivolta studentesca, dei movimenti per l’emancipazione femminile, della musica rivoluzionaria e delle morti celebri come quelle di Jimi Hendrix e di Jim Morrison agli albori del decennio successivo. In Germania, la Repubblica Democratica Tedesca viene riconosciuta dal Cancelliere Willy Brandt che apre al dialogo con la controparte orientale oltre il muro eretto nel 1961, mentre dal versante occidentale si alimenta la polarizzazione tra conservatori e rivoluzionari.
Puledri ribelli
È in questa temperie culturale che si sviluppa la nostra storia: in una Germania dove tutto si tingeva dei colori della politica, dall’arte alla musica, passando per il modo di vestire e di passare la domenica, il calcio occupò, come sempre del resto, un ruolo di primissimo piano. Se da una parte troviamo il placido orgoglio Bavarese che si rispecchia nelle domeniche allo stadio a tifare il Bayern Monaco, dall’altra i giovani, indisciplinati e talentuosi puledri di Moenchengladbach stavano assurgendo all’Olimpo del calcio tedesco come un’ondata rivoluzionaria incontenibile.
Il loro allenatore, Hennes Weisweiler, si ritrovò tra le mani una banda di ragazzi appena ventenni con capelli lunghi, piedi fatati e una folle passione per il contropiede: segnarono 3,45 goal a partita in quel campionato 1969/’70, quando per la prima volta iscrissero il Borussia Moenchengladbach nell’albo d’oro del calcio tedesco, segnarono undici (undici!) goal allo Schalke 04 e dodici (dodici!) al Borussia Dortmund e dominarono il campionato senza lasciare che le briciole agli avversari.
Era l’apoteosi della rivoluzione giovanile, della rottura con il vecchio establishment reazionario tedesco che non prevedeva un tifo diverso di quello dovuto ai principi del Bayern Monaco e in perfetta simbiosi con la piega che stava creandosi nell’Europa di inizio anni ’70. Manca però un protagonista, il vero e proprio artefice di tutto questo: un ragazzo alto, biondo e con un rifiuto totale per la corsa senza palla.
108 goal in 297 partite con il Borussia, 9 in 85 con il Real Madrid e un mondiale vinto con la Germania nel 1974: Gunter Netzer, il trequartista mancino con il 47 di piede.
Netzer: biondo, alto e fortissimo
Può mettere la palla su un trifoglio a sessanta metri.
Quando sei alto quasi uno e ottanta e sfiori il cinquanta di piede qualcosa dev’essere andato storto. Il magazziniere del Moenchengladbach non riusciva a trovare un paio di scarpini che andassero bene per quel biondone mancino che giocava così bene, ma che con la testa sembrava sempre essere da un’altra parte. Gunter Netzer, figlio di ‘Gladbach e nato a pochi anni dalla fine della seconda guerra mondiale, divenne l’icona per eccellenza della rivoluzione calcistica e politica del Borussia di quegli anni: la sua guerra ideologica con il Bayern Monaco iniziò in quel 1970 e si concluse nel 1973, quando salutò la sua amata Moenchengladbach per approdare al Real Madrid di Del Bosque e Benito.
Una lotta di stile, di pensiero, che portò Netzer a confrontarsi con il Kaiser del calcio tedesco Franz Beckenbauer perdendo la possibilità di incidere più di quanto realmente farà con la maglia della nazionale, ma trascinando dietro di sé tutta quella parte di nazione che delle concezioni vecchie e arcaiche incarnate nel Bayern Monaco degli anni ’70 non ne voleva più sapere.
Una volta, dopo la vittoria dell’Europeo del 1972 al termine del quale Netzer fu inserito nella top 11 del torneo dall’Uefa, Gunter vendette al Kaiser la sua vecchia Jaguar sportiva. Pochi giorni dopo Beckenbauer lo richiamò lamentandosi per lo stato pietoso in cui versava il bolide e Netzer si dismpegnò così:
Chi ha fatto l’affare tra me e Franz con la Jaguar? Ovviamente Franz, perché l’ha rivenduta a Overath subito dopo. Non fanno per lui le macchine sportive.
Diretto, conciso, in linea con la sua chioma bionda e la sua ribellione a qualsivoglia canone tedesco e internazionale si desiderasse possedere il numero dieci della nazionale tedesca. Perché poi, il problema di fondo, era proprio questo: Netzer era un regista a tutto campo, un trequartista dai piedi fatati che nella stagione dell’esordio con il Borussia mise a referto 17 assist permettendo al Borussia di ottenere la promozione, un indolente talento allo stato puro che non amava correre senza palla ma che attingeva a piene mani dal calcio totale degli olandesi, lontani solo 30 chilometri dal centro di ‘Gladbach.
Ineluttabile
Il 1972 è fondamentale per la vittoria del secondo campionato consecutivo per il Moenchengladbach ma soprattutto per la famosissima “partita della lattina”. A ‘Gladbach si giocano gli ottavi di Coppa dei Campioni e al cospetto di Netzer e compagni arriva l’Inter di Boninsegna e Mazzola. Una delle squadre più forti del pianeta giungeva dai puledri di Weisweiler per ottenere una qualificazione che risulterà storica: la partita di andata terminerà 7-1 per i padroni di casa con Netzer protagonista assoluto e Heynckes (proprio quel Jupp Heynckes) autore di una doppietta.
Nel corso del match Boninsegna verrà colpito però da una lattina di coca cola e, dopo il ricorso dei dirigenti dell’Inter e l’uscita dal campo del giocatore, l’arbitro decreterà nulla la partita di andata costringendo il Borussia a giocare in campo neutro il rematch. Si era però già giocato il ritorno, conclusosi a San Siro con la vittoria nerazzurra per quattro reti a due, decisivo in quanto a Berlino la partita terminerà a reti bianche facendo uscire il Borussia dalla competizione.
La rivincita, personale e storica, Gunter Netzer la prenderà il 23 giugno dell’anno successivo in coppa di Germania. A Düsseldorf si gioca la finale di Coppa di Germania tra Borussia Moenchengladbach e Colonia, derby della Renania accesissimo per la forza dei campioni uscenti e per la tradizione che un club come il Colonia portava in dote in quella finale.
I tempi regolamentari terminano sul risultato di uno a uno rendendo necessari i tempi supplementari per decretare il vincitore della Coppa. La straordinarietà del match risiede interamente nella figura di Netzer che, appena passato al Real Madrid, siede in panchina per diretta decisione del suo allenatore:
Se anche i tifosi mi dovessero lapidare, Netzer non giocherà.
Parole forti quelle pronunciate alla vigilia del match dal tecnico del ‘Gladbach, offeso e addolorato per la scelta madridista del suo numero dieci. La rivoluzione è però inarrestabile e nel corso dei supplementari, dopo un rigore sbagliato da Heynckes, Christian Kulik crolla a terra per i crampi chiedendo il cambio.
Netzer, incurante di quanto deciso dal tecnico, si alza dalla panchina e con una naturalezza propria solamente di un folle, entra in campo sostituendo il compagno infortunato. Inutile dire come tre minuti dopo il suo ingresso Netzer segni con il sinistro il goal partita prendendosi il boato dello stadio e il tripudio dei tifosi del ‘Gladbach.
Netzer: La classe non è vodka
Dopo quella partita Netzer diverrà il calciatore che risponderà sul campo all’acquisto di Johan Cruyff da parte del Barcellona: il tedesco giocherà nel Real Madrid dal 1973 al 1976 vincendo due campionati e due coppe di Spagna, portandosi a casa il Mondiale del 1974 e diventando un’icona del calcio tedesco esportato fuori dai confini della madrepatria.
A Madrid resterà offuscato dalla stella di Johan Cruijff, troppo anche per uno come Netzer, che al termine della sua carriera si reinventerà dirigente, commentatore e opinionista.
Un anticonformista nella nazione calcistica più cinica del mondo. Un George Best senza i drink: i locali notturni li usava per guadagnare, non per festeggiare.
Gerd Muller, cannoniere tedesco del Bayern Monaco, parlò così di Netzer in merito alla sua vita extra campo: imprenditore di se stesso, il ragazzone di ‘Gladbach investì il suo stipendio in un locale notturno chiamato “Lovers Lane” al centro della cittadina della Renania nel quale convergevano i giovani di tutta la Germania.
Un club esclusivo, in cui col tempo si inserì la selezione all’ingresso e che era stato arredato e concepito dalla moglie del calciatore, la fotomodella Elvira Lang, artista e rivoluzionaria anch’essa sull’onda del personaggio che decise di portare all’altare. Non una goccia d’alcol alla Best dunque, di cui ricordava la capigliatura e i modi all’interno del rettangolo verde, ma un totale cinismo imprenditoriale che gli permise, negli anni successivi, di far parte della cordata che acquistò i diritti del mondiale casalingo del 2006 e lo spedì nel pantheon dei commentatori e opinionisti televisivi in Germania.
Gli anni settanta furono il turning point della cultura contemporanea, il primo scricchiolio dell’establishment reazionaria che dalla fine degli anni ottanta vedrà il proprio declino finale. I protagonisti di tale decade hanno incarnato lo spirito rivoluzionario in ognuna delle sue forme, dall’arte allo sport passando per la politica e la musica: Netzer è stato, ed è tutt’ora, una rivoluzione incarnata e permanente, un indolente talento assoluto, colui che piace perché ha qualcosa da dire.
Non era bello Netzer, era la rivoluzione degli anni settanta con il capello biondo e un talento sconfinato.