Il calcio è un pretesto.
Per raccontare storie, per alzarsi in piedi sui seggiolini di uno stadio e gridare a gran voce. Il calcio è quello che c’è nell’attimo prima di un gol importante. L’ansia prima del fischio d’inizio e le lacrime dopo aver alzato al cielo una coppa.
Il calcio è questo è molto altro. Ci sono racconti divenuti favole, ci sono giocatori divenuti leggende e squadre passate alla storia per aver compiuto, semplicemente, un’impresa.
La stagione 1984/85 non è come le altre. Già dal calciomercato a tutti era chiaro che un uragano si stava per scagliare sulla Serie A: addii illustri e acquisti destinati a segnare un’epoca. Scommesse e nuove promesse pronte ad esplodere. Eppure i fari sono tutti puntati verso una singola città, i titoli dei giornali sportivi (e non) non possono far altro che seguire quasi increduli la trattativa che porterà in Italia, ai piedi del Vesuvio, un ometto che già da qualche anno sta sconvolgendo la scena. Un calciatore decisamente fuori dal comune. Il 10 per eccellenza.
Estate ’84
Se da un lato il palcoscenico politico italiano è in subbuglio per la morte di Berlinguer e le elezioni europee, il vero trend topic dell’estate ha occhi solamente per l’operazione di mercato che ha regalato al nostro calcio il giocatore più forte di sempre. O giù di lì.
Al Barcellona la stagione precedente, complice un infortunio, la stella di Diego non ha brillato come sperato. Al netto comunque di 11 gol in 16 presenze. In catalogna l’aria non è delle migliori e mister Ottavio Bianchi già pregusta il sapore di un acquisto che avrebbe cambiato le sorti di un’intera città.
Un’operazione da 13 miliardi e mezzo di lire, comunque troppo poco al netto dell’impatto che avrà l’argentino in Italia. Una trattativa di un mese, giorno più o giorno meno, iniziata probabilmente i primi di giugno, controversa sicuramente ma che ha portato al risultato da tutti (o quasi) auspicato.
È il 5 luglio 1984 e al centro di un San Paolo gremito quasi a fare le prove di una festa scudetto c’è sua maestà Diego Armando Maradona. Tutto quello che succederà dopo è un sogno dal quale probabilmente i tifosi partenopei non si sono mai svegliati. Com’è giusto che sia. Il calcio è questo.
E le altre?
A rispondere al fuoco ci pensarono l’Inter con l’acquisto di Rumenigge e la Fiorentina con l’innesto a centrocampo di un certo Socrates. Nello scalpore generale però, con i riflettori tutti puntati verso Napoli, c’è una squadra di provincia che già da qualche anno si stava imponendo a suon di solidità nel nostro campionato.
Nella stessa estate che portò Maradona in Italia, l’Hellas Verona di mister Osvaldo Bagnoli ingaggiò il tedesco Hans-Peter Briegel, terzino dal gol facile con un passato nell’atletica, e l’attaccante danese Preben Cenerentolo Elkjær Larsen, un omone di 183 cm capace di segnare un gol senza scarpino in faccia alla Juventus di Platini, Scirea, Rossi e Boniek. Il calcio è questo.
A chiudere il cerchio, Di Bartolomei dopo un decennio e più sulla sponda giallorossa del Tevere ha deciso di seguire Liedholm al Milan, Gentile lasciò la Juventus per approdare alla Fiorentina, e un giovane Gianluca Vialli si accasò alla Sampdoria dopo aver contribuito alla promozione dalla Cremonese l’anno prima.
Piccola nota a margine, il 1984 è l’anno in cui Sven Goran Erisson arriva per la prima volta su una panchina di Serie A. Alla Roma. Qualche anno dopo contribuirà prepotentemente a portare la Lazio sul tetto d’Europa.
Un intreccio di storie ed emozioni, di giocatori che in comune avevano soltanto la voglia di prendere a calci un pallone in stadi pieni e che hanno contribuito insieme a scrivere una pagina importantissima del libro che parla dello sport più bello del mondo.
Hellas Verona – Napoli
La prima di campionato al Marcantonio Bentegodi ha tutte le carte in regola per essere una passerella in grado di far sfilare Diego, una partita in cui a nessuno veramente importa del risultato ma che vede catalizzare i riflettori verso quell’attaccante argentino nato a Lanus appena ventiquattro anni prima e arrivato a suon di miliardi, di vecchie lire, dal Barcellona.
L’Hellas Verona spettatore non pagante con il compito ingrato di mettere a proprio agio quella che di lì a poco sarebbe diventata la stella più luminosa del firmamento calcistico.
Appena 26 minuti e per Maradona e compagni è subito chiaro che davanti non hanno una squadra di provincia con scarse ambizioni, ma una corazzata solida che di lì a qualche mese avrebbe alzato al cielo il primo, e per ora unico, storico scudetto. In gol subito Briegel, che chiuderà poi la stagione con 9 reti. Al raddoppio Galderisi con il primo degli 11 gol stagionali e dopo di lui Bertoni (per il Napoli, ndr) e Di Gennaro per il definitivo 3-1 e prima vittoria in stagione per l’Hellas Verona.
A fine stagione gli uomini di Bagnoli porteranno a casa il record di maggior vittorie (15) e quello del minor numero di gare perse (2).
Corsa allo scudetto
Il calcio, come detto, è un pretesto.
Con una vittoria alla prima di campionato contro il Napoli di Maradona, i presupposti per una stagione da ricordare sono tutti soddisfatti, una passerella la settimana dopo contro l’Ascoli poi ha contribuito semplicemente ha regalare all’Hellas Verona un primo posto in solitaria sotto lo sguardo attento delle super potenze della Serie A uscite tutte quante sconfitte dallo scontro con gli scaligeri nel girone d’andata.
La sconfitta arrivata solamente alla quindicesima giornata e un primo posto che sembra saldissimo sotto i piedi. Da un lato un Verona solidissimo e non intenzionato a regalare nemmeno un punto alle avversarie, dall’altro una staffetta tra la seconda e ottava posizione distanti tra loro appena 9 punti ma che non ha visto nessuna squadra veramente in grado di reggere il confronto.
La stangata finale alla penultima giornata, il 12 maggio. Con quattro punti di vantaggio sul Torino, gli uomini di Bagnoli vanno a giocarsi lo scudetto a Bergamo. Il toro invece ha la trasferta di Firenze. Due pareggi rispettivamente per 1-1 e 0-0 regalano il risultato tanto rincorso e aspettato da un’intera città.
All’ombra dell’Arena si alza al cielo lo scudetto.
Oggi non ci rendiamo conto di quale impresa abbiamo realizzato, ma sarà il corso del tempo a farcelo capire
Così commenterà la vittoria del campionato Domenico Volpati, roccioso centrocampista che saltò la festa scudetto per andarsi a sposare e che qualche anno dopo, appesi gli scarpini al chiodo, ha deciso di intraprendere la carriera di dentista proseguendo gli studi universitari. Come da desiderio della madre.
Nella stagione che ha regalato al nostro calcio Diego Armando Maradona, una squadra di provincia che di provinciale non meritava nemmeno il nome ha dominato e conquistato a suon di ottime prestazioni e solidità il tetto del nostro campionato. Nel giorno in cui ricordiamo l’esordio in Serie A dell’argentino più famoso di tutti i tempi, non possiamo strizzare l’occhio ad una vittoria che ha dato il via ad una favola.
Il calcio è un pretesto per parlare di uomini. Che giocano partite, vincono campionati, e scrivono la storia.