Nell’estate 2019, ancora lontani dall’emergenza sanitaria, il Manchester United si è assicurato le prestazioni di Harry Maguire versando 87 milioni di euro nelle casse del Leicester. Oggi il centrale classe ’93 veste la maglia numero 5 dei Red Devils e sfoggia la fascia da capitano sul braccio sinistro. Qualcuno mugugna dalle parti di Old Trafford. Perché? Il povero Harry porta la divisa che un tempo fu di Rio Ferdinand, non un giocatore qualunque per i tifosi…
Lo chiamavano Ferdz. Per lo United ha dato tutto sé stesso, sudore e sangue, non lasciandosi sfuggire nessun traguardo o trofeo. Idolo di una tifoseria, leggenda di questo sport ed icona indiscutibile.
Ferdinand, campione tra i campioni
Forse non sarà il primissimo calciatore che vi tornerà alla mente parlando di quel Manchester United, ma d’altronde non è facile spiccare in una squadra del genere. A disposizione di Sir Alex Ferguson c’era un conglomerato di campioni: Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney, Carlos Tevez, Dimităr Berbatov, Paul Scholes… Si potrebbe continuare l’elenco, ma bastano questi nomi per farsi un’idea del potenziale della rosa. È oggettivo, però, che Rio sia stato un vero leader per questo gruppo.
Arriva dal Leeds United nel 2002. Il costo del suo cartellino (circa 42 milioni di sterline) lo proietta al primo posto nella classifica dei difensori più costosi della storia, sopra allo juventino Lilian Thuram. Il club punta forte sul nuovo acquisto, gli regala 46 presenze alla stagione d’esordio e lo accompagna per la prima volta in carriera sul tetto d’Inghilterra.
In patria arriveranno altre cinque Premier League, sei Community Shield e una FA Cup. La costante di questi successi è proprio Ferdz, perché passano gli anni, i difensori al suo fianco, da Brown a Smalling passando per Vidic, ma lui resta sempre una certezza.
A proposito di Nemanja Vidic: avete presente quel credo comune secondo il quale alcuni giocatori non renderebbero così tanto senza il proprio compagno di reparto? Ad esempio, tanti pensano che Bonucci senza Chiellini sia tutt’altro giocatore. Ecco, Vidic e Ferdinand sono rispettivamente i Bonucci e Chiellini d’oltremanica. Va riconosciuto a Rio il fatto di essere stato la chioccia calcistica del serbo e di averlo messo nelle condizioni ottimali per sfoggiare tutte le sue qualità. Ne uscì fuori un duo storico per il Manchester United.
A controprova di questa tesi c’è il fallimento di Vidic in Serie A. Fu una meteora degna di questo nome all’Inter: 28 presenze al di sotto delle aspettative al primo anno, poi i problemi fisici, l’esclusione dalla lista per la stagione 2015/16 e il ritiro prematuro. A questo punto è lecito chiedersi se sia giusto dividere egualmente tra lui e Ferdinand il merito dei successi della difesa del Manchester degli anni d’oro.
Mosca, la Champions e Giggs
Quando vinci la Champions League tutto il resto passa in secondo piano. Non che quel successo cancelli gli altri, ma quel momento coincide spesso e volentieri con il ricordo più dolce della carriera di un calciatore. Anche per Rio Ferdinand è così. Torniamo indietro nel tempo, al 21 maggio 2008.
Stadio Luzhniki, Mosca. Manchester United e Chelsea stanno per dar vita al primo derby tutto inglese in finale di Champions. È solo la terza volta nella storia della competizione (dopo Real Madrid-Valencia e Juventus-Milan) che si affrontano all’ultimo atto squadre della stessa nazione. A guidare i Red Devils al momento dell’ingresso in campo è Ferdinand, fascia ben stretta e occhi sulla coppa. Alla sua destra c’è John Terry, che solitamente è la sua spalla in nazionale, ma quella sera rappresenta l’ultimo ostacolo da superare. Dopo aver sognato sulle note dell’inno della Champions, si parte.
È un match senza esclusione di colpi, non una guerra ma un qualcosa che ci si avvicina. Il primo grido di gioia arriva dalla curva occupata dai supporters dello United al 26′ quando CR7 realizza il gol dell’1-0 colpendo di testa un pallone messo al centro da Wes Brown. Rio si fa tutto il campo per andare a festeggiare col portoghese.
Mentre è nel mucchio, però, predica calma. Sa che la partita è lunga e che la reazione del Chelsea non si farà attendere. Il muro rosso sembra reggere bene, poi Frank Lampard nota una crepa, una seconda palla vagante, e ci si fionda: 1-1 a una manciata di secondi dall’intervallo. Tutto da rifare.
Nella ripresa i Blues alzano il ritmo. Dal limite dell’area diventa un tiro al bersaglio: Essien alto, Ballack a lato. Prima del tentativo di Drogba che si spegne sul palo, c’è tempo per un caso da moviola: Malouda finisce a terra per un presunto tocco di Ferdinand, ma per il signor Michel non c’è nulla. Lo United ha veramente rischiato di andare al tappeto, per poi essere salvato dal triplice fischio.
Ai supplementari il copione non cambia. La traversa dice di no al solito Lampard. Anche lo United ha un’occasione ghiotta con Giggs, ma Terry si supera e devia in corner. Al 117′ si accende una rissa nella quale Drogba viene allontanato dal campo per aver dato una manata in volto a Vidic, ma manca così poco tempo che gli effetti della superiorità numerica sono praticamente nulli.
Ai rigori sbaglia l’uomo più atteso, Cristiano Ronaldo, ma per sua fortuna il capitano del Chelsea John Terry scivola col piede d’appoggio e non c’entra la porta con il pallone della vittoria. Altri due turni ad oltranza fino alla parata di Edwin van der Sar su Anelka. L’ha spuntata il Manchester United.
Per la premiazione Rio Ferdinand è ancora formalmente il capitano, nonostante nel corso della gara sia subentrato Ryan Giggs. L’onore di ricevere la coppa dalle grandi orecchie spetta a lui e non al gallese, ma qui Ferdz mette da parte l’egoismo e si dimostra uomo-squadra: riconosce i “gradi” del suo compagno e gli propone di condividere con lui quel momento. L’istantanea dei due che alzano insieme la coppa è bellissima, la festa non è da meno.
Destini incrociati
Se c’è un evento in grado di fare da spartiacque nella storia del club, questo è l’addio di Sir Alex Ferguson. Al termine del rocambolesco 5-5 tra il West Bromwich Albion di un Romelu Lukaku appena ventenne e il Manchester United neo-campione d’Inghilterra, il tecnico che era stato alla guida dei Red Devils per ben 27 stagioni si congeda. Finisce un ciclo. Quella Ferguson era stata un’era felice a Manchester e chiunque avesse preso il suo posto in panchina non avrebbe avuto vita facile. Tale sorte toccò a David Moyes.
La stagione 2013/14 va a rotoli e Moyes viene esonerato. Fu l’occasione per Rio di togliersi qualche sassolino dalla scarpa:
Non credo che l’abbia fatto volontariamente, ma ha creato un’atmosfera negativa. Con Ferguson non era mai successo. Ci ha persi lentamente, di settimana in settimana. Non mi piaceva giocare per lui.
Sembrava essersi rotto l’incantesimo che teneva lo United ai vertici del calcio inglese. Ferdinand capisce la situazione e, vuoi per questo, vuoi per l’età che avanza, decide di fare le valigie. Torna al QPR, lì dove tutto aveva avuto inizio e a soli 10 anni si divertiva a fare il centrocampista offensivo. A maggio 2015 arriva la matematica retrocessione, ma quello non sarà il suo dispiacere più grande.
Il 2 di quel mese muore la moglie Rebecca Ellison. Il tumore al seno se l’è portata via proprio quando sembrava che la malattia si stesse facendo meno aggressiva. Per Rio è un dolore troppo grande. Lascia il calcio giocato e si perde nell’alcolismo.
Nessuno è pronto per una perdita così. Avessi Rebecca qui per un solo minuto le direi che la amo e che crescerò i nostri splendidi figli come le ho promesso: sarò loro padre e madre allo stesso tempo. Non riesco a dormire la notte, di giorno l’unica cosa che posso fare è cancellare tutti i miei piani e chiudermi in me stesso.
Nel lutto siamo tutti uguali, campioni e tifosi. Ma di una cosa siamo certi: se difenderà il futuro dei propri figli come difendeva in campo, allora non c’è rischio che Rio disonori la promessa fatta a sua moglie.