21 novembre 2022, ore 19.00, Qatar-Ecuador. Chi sa cosa aspettarsi dalla nazionale del Golfo? Nessuno. O meglio, pochi al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. I padroni di casa di questa edizione dei Mondiali sono al loro esordio nella competizione, e fino ad alcuni anni fa erano una presenza marginale nel calcio mondiale. Nel 2019, però, il Qatar ha vinto la sua prima Coppa d’Asia, mentre cinque anni prima era stato in grado di sollevare il trofeo della competizione continentale per U-19. Tra i due successi, Akram Afif era diventato il primo calciatore qatariota a esordire in uno dei top cinque campionati europei – nello specifico, la Liga spagnola.
In tutto questo, il Qatar ha anche recentemente raggiunto la sua migliore posizione di sempre nel ranking FIFA, con il 51° posto. Ma come siamo giunti a questo punto? Nessuna golden generation fiorita per caso a Doha e dintorni. Nessun santone della panchina intervenuto a far toccare nuove vette alla nazionale. Nessun colpo di fortuna. In Qatar negli ultimi 18 anni si è lavorato meticolosamente su un progetto, con metodi talvolta discutibili, che ha portato la nazionale ad essere una delle migliori d’Asia alle soglie di una Coppa del Mondo disputata in casa.
L’Aspire Academy, l’università del calcio qatariota
Nel 2004, mentre in Cina la nazionale del Qatar raccoglieva l’ultimo posto nel girone di Coppa d’Asia, a Doha veniva fondata la Aspire Academy. Nata su iniziativa della famiglia reale Al-Thani, prendeva sede nell’Aspire Zone, un enorme complesso polisportivo costruito l’anno precedente. Questa accademia viene creata con la precisa volontà di farne un centro di formazione sportiva d’eccellenza, dove sviluppare i campioni di domani. L’Aspire Academy offre ai giovani che ospita anche un percorso scolastico, occupandosi del loro sviluppo sotto ogni aspetto. Da qui sono usciti la maggior parte dei campioni d’Asia 2019, oltre a campioni di altre discipline, come l’oro olimpico Mutaz Essa Barshim.
I soldi, abbiamo detto, li mette la famiglia Al-Thani, ma il know-how è tutto europeo. Lo sviluppo dell’accademia stessa sin dalle sue origini si deve a Josep Colomer, lo scopritore di Messi, mentre l’attuale direttore sportivo è Markus Egger, per anni nella divisione calcio della Red Bull. Assieme a loro tanti altri, come l’italiano Valter Di Salvo e Bora Milutinovic, oltre a un nutrito contingente di allenatori soprattutto spagnoli. La gestione degli aspetti commerciali è stata invece per anni in mano alla Bonus Sports Management di Sandro Rosell, ex presidente del Barcellona. Squadra che nello stesso periodo sporcava per la prima volta la sua maglia con uno sponsor, Qatar Airways.
Contestualmente allo sviluppo dell’accademia di Doha, nel 2007 nasce il progetto Football Dreams. Si tratta di un’imponente struttura di scouting, diffusa in modo capillare in Asia, Sud America e soprattutto Africa, che ha l’obiettivo di scovare i migliori talenti e portarli all’Aspire Zone. I giovani calciatori accorrono a migliaia in tutte le sedi dei provini, che sono solo la prima tappa del percorso molto severo di selezione che può portarli a Doha o alla filiale di Dakar. L’Aspire Academy descrive questo sistema come un “progetto umanitario unico“, ma più di qualcuno storce il naso. Sono molte infatti le ombre del sistema, e la permanenza dei ragazzi in Qatar è legata solamente al loro rendimento sportivo.
Un Paese dalla naturalizzazione facile
A seguito della creazione di Football Dreams, più parti hanno accusato il Qatar di sfruttare il progetto per allargare il bacino di calciatori a sua disposizione. L’Aspire Academy ci tiene a specificare che non è così, ma visti i precedenti in altri sport non è così facile dargli fiducia. Uno Stato così piccolo, in cui meno della metà degli abitanti possiede la cittadinanza qatariota, non può che vedere nella naturalizzazione la strada più facile per costruire squadre competitive. Basti pensare alla nazionale di pallamano finalista mondiale nel 2015, composta quasi solo da giocatori naturalizzati (e lautamente stipendiati a questo scopo).
Nel calcio le regole sono più stringenti, ma bastano comunque cinque anni trascorsi sul territorio tra i 10 e i 18 anni per poter essere convocabili. La regola è stata pensata dalla FIFA per i ragazzi che si trasferiscono per motivi extra-calcio, ma potrebbe portare la stellina ghanese Isaac Nuhu, diplomato Aspire, a giocare per il Qatar. Sono sempre cinque anche gli anni che devono trascorrere dopo il diciottesimo compleanno per naturalizzare i calciatori maggiorenni. Ironia della sorte, il processo che ha portato alla forma attuale di questa regola è partito proprio a causa del Qatar. Nel 2004, infatti, la federazione qatariota provò a convincere a suon di milioni Ailton, capocannoniere della Bundesliga, a giocare per la nazionale del Golfo, ma la FIFA bloccò tutto.
Alla Coppa Araba disputata nel dicembre scorso la nazionale qatariota vedeva tra le sue fila un portoghese, un algerino, un francese, due iracheni, un bahreiniano, un egiziano e due sudanesi, oltre ad alcuni giocatori nati a Doha da genitori stranieri e quindi sprovvisti inizialmente della cittadinanza. Durante la Coppa d’Asia 2019, invece, scoppiò un caso attorno a Bassam Al-Rawi e Almoez Ali (22 e 23 anni ai tempi). Le regole attuali per la naturalizzazione sarebbero arrivate di lì a un anno, ma i due, nati all’estero da genitori stranieri, già disputavano partite con la nazionale. Il Qatar fu accusato di aver falsificato i certificati di nascita delle madri dei giocatori, ma la vicenda si chiuse con un nulla di fatto.
Da Doha all’Europa
Eupen, circa 19.000 abitanti, è una tranquilla cittadina belga, capitale della comunità germanofona del Paese. Qui, nel 2013, si è presentata l’Aspire con 4 milioni di euro al seguito, utili per acquistare la squadra locale, il KAS, ed estinguerne tutti i debiti. Per far fare il grande salto verso l’Europa ai diplomati all’Aspire Academy, mantenendone il controllo, serviva una squadra di proprietà. La scelta è ricaduta su una squadra belga per le regole estremamente permissive sulla cittadinanza e per l’assenza di limitazioni sugli stranieri schierabili. L’alternativa sarebbe stata il Portogallo, che ha regole altrettanto vantaggiose, ma i giovani dell’accademia parlano principalmente francese.
Nel piccolo centro sportivo della città belga arriva ogni anno una nuova infornata di giocatori dell’Aspire, che hanno pian piano soppiantato la maggioranza di giocatori belgi. L’arrivo dei nuovi innesti ha fatto sì che il KAS Eupen diventasse una presenza stabile nella prima divisione belga, anche grazie all’arrivo di tecnici di respiro internazionale come Claude Makélélé e Jordi Condom (ex giovanili del Barcellona). Alcuni dei protagonisti di queste stagioni in Pro League hanno poi spiccato il volo verso squadre più importanti, ma tra questi c’è un solo qatariota, quell’Akram Afif già citato in apertura del pezzo. In ogni caso l’attuale punta della nazionale ha raccolto solo 9 presenze a Gijon, prima di tornare in Qatar, all’Al-Sadd.
All’acquisizione del KAS Eupen è seguita nel 2015 quella della Cultural Leonesa (terza divisione spagnola), da cui sono transitati due attuali titolari della nazionale qatariota come Almoez Ali e Assim Madibo. Nello stesso anno, con l’arrivo del già citato Markus Egger al LASK, iniziava anche la collaborazione con la squadra austriaca, dove Almoez Ali ha realizzato il suo primo gol in un campionato europeo. Oltre a queste partnership più strette, l’Aspire Academy ha o ha avuto rapporti con molti club europei, come il Real Madrid o il Leeds, nell’ambito dell’European Experience Project. Questo progetto permette all’accademia di inviare giocatori ad allenarsi in Europa, con l’obiettivo di fargli guadagnare esperienza in un contesto differente da quello di Doha.
Il Qatar gioca ovunque
Il Qatar dall’inizio del 2019 ad oggi ha giocato 47 partite ufficiali. Per fare un confronto l’Italia ne ha giocate 39, e ha disputato un intero percorso di qualificazione in più rispetto ai qatarioti. In questo lasso di tempo la nazionale del Golfo ha disputato, oltre alla Coppa d’Asia vinta, una Gold Cup, una Copa America (più una da cui si è ritirata), le qualificazioni AFC al Mondiale che ospiterà e ha fatto da “squadra fantasma” nel gruppo del Portogallo alle qualificazioni UEFA per la Coppa del Mondo. Inoltre la federazione qatariota ha rispolverato dopo 9 anni la Coppa Araba, ottenendo addirittura il patrocinio della FIFA, in una sorta di prova generale del Mondiale.
L’obiettivo, neanche troppo nascosto, è far disputare più partite possibili al gruppo di giocatori che potenzialmente sarà convocato per la Coppa del Mondo del prossimo novembre, affinando il più possibile l’intesa tra i componenti della squadra. Allo stesso tempo giocare in altri continenti permette di affrontare squadre maggiormente competitive rispetto a molte selezioni asiatiche, abituandosi così al livello di impegno che sarà richiesto ai Mondiali. Per raggiungere questo obiettivo, il Qatar ha fatto ricorso al suo soft power, detenuto in virtù dei programmi di cooperazione tra federazioni e degli accordi di sponsorizzazione che Qatar Airways ha concluso in varie parti del mondo.
Il caso più esemplificativo è quello dei rapporti tra Qatar e CONCACAF, che hanno permesso alla nazionale del Golfo di essere invitata alla Gold Cup 2021, in cui ha raggiunto le semifinali. La collaborazione tra le due federazioni ha origine dall’accordo di cooperazione che lega la CONCACAF e l’AFC, in essere dal 2018, e si è sviluppata oltre alla semplice partecipazione del Qatar alla Gold Cup. Infatti, nel 2021 è stato presentato un progetto che vedrà la federazione qatariota finanziare le basi del sistema calcistico di tutte le federazioni nordamericane. Allo stesso tempo, Qatar Airways è diventata sponsor della stessa Gold Cup e della CONCACAF Nations League, fornendo supporto per i viaggi alle nazioni più piccole e guadagnando terreno nel mercato statunitense e messicano.
Le sapienti mani di Félix Sánchez
In questo complesso meccanismo, fino al 2017 mancava un tassello fondamentale per raggiungere i risultati auspicati: il commissario tecnico. Fino a quel momento la federazione qatariota si era affidata ad esperti allenatori giramondo, come spesso accade in Asia e in Africa, e sulla panchina della nazionale si erano alternati personaggi come Sebastiao Lazaroni, Jorge Fossati o il compianto Bruno Metsu. L’unica pecora nera in questa lista di c.t. era il qatariota Fahad Thani, che ha guidato il Qatar tra il 2013 e il 2014. Thani, infatti, si era formato tra la Aspire Academy e le nazionali giovanili del suo Paese, rappresentando un profilo completamente nuovo per la nazionale del Golfo. Bisognerà però attendere proprio il 2017 per vedere la federazione puntare con decisione su una figura di questo tipo, ovvero Félix Sánchez.
L’allenatore spagnolo, classe 1975, fin dall’età di 21 anni ha allenato le giovanili del Barcellona, restando alla Masia dal 1996 al 2006. Nello stesso anno è stato chiamato in Qatar, entrando così nella folta schiera di allenatori spagnoli reclutati dalla Aspire Academy. Da quel momento ha iniziato a scalare le gerarchie, allenando prima la nazionale U-19, che ha portato alla vittoria della Coppa d’Asia di categoria, e poi l’U-23, Nel 2017 ha poi sostituito Jorge Fossati sulla panchina della nazionale maggiore, con cui ha vinto la Coppa d’Asia. Un percorso lineare, che ha fatto sì che molti degli attuali membri della nazionale abbiano condiviso con Sánchez tutto il loro percorso calcistico.
Félix Sánchez è nato e cresciuto in un ambiente come quello del Barcellona permeato da una determinata idea di calcio, diretto discendente di Cruyff e Guardiola. Questa identità fa parte del bagaglio di esperienza che l’allenatore spagnolo ha messo a disposizione del Qatar, ed infatti la sua prima nazionale si disponeva con un 4-3-3 dal sicuro sapore catalano. Poi dalla Coppa d’Asia vinta il Qatar ha dimostrato di essere una squadra che sa soffrire, aggredire l’avversario e ripartire in fretta, scegliendo il 5-3-2 come schieramento tipo. La svolta è stata favorita anche dall’aumento di livello degli avversari da affrontare, ma ha portato con sé un’identità forte e originale per la nazionale del Qatar.
Almoez Ali, il prototipo
Tra le mani di Félix Sánchez, ai tempi delle giovanili, sono passati la maggior parte di coloro che ora compongono la sua nazionale maggiore. Tra questi Almoez Ali, forse il giocatore più interessante del Qatar in questo momento. Classe 1996, ha già realizzato 36 gol in nazionale, vincendo il titolo di capocannoniere della Coppa d’Asia 2019 e della Gold Cup 2021. Lo stesso Ali è il perfetto prototipo del calciatore prodotto dalla strategia della federazione qatariota, e l’esempio più brillante di giocatore lanciato dal sistema Aspire.
Nato in Sudan, Almoez Ali si è trasferito da bambino in Qatar con la famiglia, entrando nella Aspire Academy a 10 anni. Lì ha studiato e si è formato come calciatore; finito il suo percorso nell’accademia, si è trasferito al KAS Eupen. Non ancora ventenne ha quindi fatto il giro delle squadre legate all’Aspire, finendo prima al LASK e poi alla Cultural Leonesa. Ormai di passaporto qatariota (non senza qualche dubbio) ha nel frattempo fatto il suo esordio in nazionale, affiancando gli altri ragazzi di origini africane presenti tra i convocati. Dal 2016 è tornato a giocare in Qatar, dove ha vinto tre campionati con l’Al-Duhail.
Come Ali sono molti altri i calciatori della nazionale che hanno seguito un percorso simile, ma il numero 9 del Qatar è il vero trascinatore della sua squadra. La sua carriera è un vero e proprio spot per il vivaio creato dalla Aspire, ma allo stesso tempo mostra tutte le contraddizioni di un sistema che si affida alle naturalizzazioni e all’uso di squadre europee, con una loro storia e tradizione, come semplici propaggini del vivaio di Doha. Sarà solo il tempo, assieme alla Coppa del Mondo del prossimo inverno, a mostrare se l’approccio qatariota sia vincente. In quel caso sarà necessario interrogarsi sul funzionamento dell’intero sistema calcio.