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Viaggio in Italia

Da sempre, l’Italia è una delle mete maggiormente prese di mira dai viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Lo stesso concetto moderno di turismo nasce in relazione alla penisola italiana. Affonda le proprie radici nella pratica settecentesca del Grand Tour, un lungo viaggio che i rampolli delle ricche famiglie europee compivano alla scoperta dei luoghi di maggior bellezza e cultura del mondo, luoghi che in gran parte appartenevano proprio all’Italia. Questi giovani ragazzi dunque partivano da ogni angolo d’Europa e visitavano le più belle città d’arte e cultura italiane, col duplice obiettivo di arricchire il proprio bagaglio di conoscenze e di esperienze e di vivere gli ultimi anni della leggerezza giovanile, prima di iniziare a fare i conti con le incombenze dell’età adulta.

Tra le fila di questi giovanissimi viaggiatori c’è anche una figura di spicco nella cultura mondiale come Johann Wolfgang Goethe. Il leggendario scrittore tedesco compie il Grand Tour tra il settembre 1786 e il giugno 1788 e ripercorre poi, a distanza di parecchi anni, il suo itinerario nella penisola scrivendo, tra il 1813 e il 1817, Viaggio in Italia, un resoconto in forma diaristica del cammino che ha compiuto da giovane. L’opera va la stampa in due volumi tra il 1816 e il 1817, con l’aggiunta poi di un terzo nel 1829, incentrato solo sul viaggio di Goethe a Roma.

Viaggio in Italia, oltre a offrire squarci di incantevole descrizione del nostro paese ad opera di una delle penne più autorevoli dell’intera storia della letteratura mondiale, illustra anche l’importanza del Grand Tour come prototipo di ciò che diventerà poi il viaggio turistico. Quello compiuto da Goethe è considerabile a tutti gli effetti come una “protovacanza”, alla base poi anche di esperienze tipiche del ventunesimo secolo come possono essere gli scambi culturali o gli Erasmus studenteschi. Tutte formule di viaggio che in fondo traggono linfa proprio dal Grand Tour, che coniuga al massimo i due fini ultimi del viaggiare: l’intrattenimento e l’arricchimento culturale.

Johann Goethe è forse il più autorevole tedesco ad aver compiuto un viaggio formativo in Italia e ad averne lasciato una testimonianza tangibile, ma non è l’unico. Quella che potremmo considerare metaforicamente una versione aggiornata del Grand Tour ha spopolato nel calcio tedesco tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, prendendo come meta Milano, nello specifico la sponda nerazzurra dei Navigli, e portando alcuni dei più grandi rappresentati del fussball a contaminarsi con lo splendore del campionato italiano in uno dei suoi apici, arricchendosi e arricchendolo a loro volta.

Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala

La tradizione straniera è una delle componenti fondamentali della storia dell’Inter. Come suggerisce il nome d’origine, la squadra nerazzurra ha sempre avuto un’anima internazionale molto proficua e un gran numero degli artefici dei momenti d’oro del club sono stati stranieri. Da Helenio Herrera a José Mourinho, da Luis Suarez e Diego Milito:  i nerazzurri hanno sempre saputo cogliere il meglio dal mondo che circonda l’Italia, facendo di questa componente globalizzata il proprio tratto distintivo. In tal senso, un momento specifico della storia dell’Inter è legato a una forte tradizione tedesca e si tratta del periodo che va dagli anni ’80 ai primissimi ’90.

Il culmine dell’epopea dell’Inter dei tedeschi arriva alla fine del decennio, ma questa contaminazione mitteleuropea ha inizio ufficialmente nel 1982, quando arriva a Milano il primo calciatore di questa nascente tradizione teutonica: Hansi Müller. L’Italia aveva riaperto le frontiere ai calciatori stranieri nel 1980 e il colpo dell’estate 1982 in casa Inter è proprio l’attaccante proveniente dallo Stoccarda.

Müller in patria aveva messo in mostra grandissime doti, ma il suo arrivo a Milano è ricco di controversie. Innanzitutto, il tedesco è reduce da un infortunio al ginocchio che alimenta i dubbi intorno alle sue condizioni fisiche. Inoltre, il nuovo arrivato viene immediatamente considerato una sorta di doppione di Evaristo Beccalossi, un mito intoccabile nella Milano nerazzurra. Con l’incedere della stagione, spunta anche la notizia che l’obiettivo forte dell’Inter era in realtà Michel Platini e che Müller è arrivato solo come ripiego del francese, accasatosi alla Juventus. Insomma, non le migliori delle premesse per un’avventura che si rivela infatti molto deludente. Müller effettivamente patisce i troppi infortuni temuti e accusa l’annunciato dualismo con Beccalossi, lasciando Milano senza aver lasciato la minima impronta del suo passaggio nel 1984.

Via un tedesco, dentro un altro. Nell’estate 1984 Hansi Müller si accasa al Como e l’Inter piazza il colpo da novanta prelevando dal Bayern Monaco Karl-Heinz Rummenigge. Kalle è un giocatore fenomenale, nei dieci anni in Baviera ha vinto per ben due volte il pallone d’oro, ma arriva a Milano all’inizio della fase calante della sua carriera.

Il deludente rendimento a Euro 84 fa scattare qualche campanello d’allarme e la prima stagione in nerazzurro viene salvata solo dalle ottime prestazioni in Coppa UEFA. Nella stagione 1985-1986 si rivedono lampi del grande Rummenigge, autore di ben 13 gol in campionato, non sufficienti però a guidare l’Inter verso la vetta della classifica. La terza annata all’ombra della Madonnina per Kalle è da dimenticare: solo 3 gol in 14 presenze. Nell’estate 1987 la sua avventura a Milano finisce: Rummenigge passa al Servette, ma L’inter è ancora pronta a pescare ancora in Germania.

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Hansi Müller in azione con la maglia della Germania
(Photo by Duncan Raban/Allsport/Getty Images – One Football)

Come raggiungere un traguardo? Senza fretta ma senza sosta

I primi due tedeschi arrivati a Milano hanno deluso, ma i nerazzurri non demordono e nell’estate 1988 tornano a pescare dal Bayern Monaco: per 8 miliardi di lire arrivano Andreas Brehme e Lothar Matthäus. Andy ha disputato solo due stagioni in Baviera, vincendo un campionato, mentre il centrocampista viene da ben tre titoli vinti con i biancorossi. Due colpi da novanta, che hanno un impatto devastante sul calcio italiano

La Serie A a cavallo degli anni ’80 e ’90 è un campionato di assoluto prestigio, con tantissime squadre molto attrezzate e una concorrenza spietata. All’alba della stagione 1988-1989, Milan e Napoli sono le due regine d’Italia, ma alle loro spalle c’è tutta una schiera di grandi club pronti a dare battaglia. Sono anni in cui gli scudetti sono molto combattuti, in cui regnano equilibrio e spettacolo. In tal senso, la stagione 1988-1989 rappresenta un unicum, perché risulta indirizzata sin dalle sue prime battute.

È riduttivo dire che l’Inter di Trapattoni domina quel campionato. In realtà lo uccide, lo cannibalizza. La cavalcata dei nerazzurri è inarrestabile, con un esito scontato che si palesa subito in avvio di stagione. La beneamata conquista immediatamente la vetta della classifica. Si libera del Milan già l’11 dicembre, quando una rete di Aldo Serena regala il derby ai nerazzurri e spegne clamorosamente in anticipo le speranze scudetto dei cugini.

L’unica squadra a provare a seguire la marcia dell’Inter è il Napoli di Maradona, che però riesce al massimo ad arrivare a tre punti di distanza dai nerazzurri alla fine del girone d’andata, quando l’armata del Trap incappa in una delle due sconfitte stagionali: un pirotecnico 4-3 a Firenze. Da lì, i nerazzurri collezionano otto vittorie consecutive e lo scudetto arriva ufficialmente il 28 maggio 2019, quando l’Inter sconfigge proprio il Napoli a San Siro. L’uomo decisivo è Lothar Matthäus, che dopo il vantaggio partenopeo di Careca e l’autogol di Fusi che ristabilisce la parità, con una magnifica punizione a una decina di minuti dalla fine del match segna quello che, di fatto, è il gol scudetto.

L’Inter torna a vincere il campionato a distanza di nove anni dall’ultima volta, quando in panchina c’era Eugenio Bersellini e in attacco Spillo Altobelli. Lo fa infrangendo una sfilza di record impressionante. I 58 punti conquistati sono la cifra più alta mai toccata nell’epoca dei due punti. I nerazzurri perdono appena dieci punti nella loro marcia, cadendo solo contro Torino e Fiorentina. L’unica squadra a uscire imbattuta dal doppio confronto con la corazzata del Trap è la Juventus, che colleziona due pareggi. Numeri impressionanti, per una stagione entrata nella storia del calcio italiano.

Tra i grandi protagonisti di quella marcia inarrestabile ci sono proprio i due tedeschi Brehme e Matthäus. Al loro primo anno in Italia si affermano subito come due colonne dell’Inter dei record, diventando tra gli artefici principali dello scudetto nerazzurro. L’anima tedesca dell’Inter nasce con loro e si rafforza subito dopo aver cucito sul petto il tricolore, con l’arrivo di un altro grande calciatore teutonico a Milano.

Lothar Matthäus in azione contro l’Italia (Foto; Allsport UK /Getty Images – One Football)

Si deve Essere qualcosa, per essere capaci di Fare qualcosa

Subito dopo la conquista dello scudetto, l’Inter arricchisce il proprio roster con l’innesto di Jürgen Klinsmann. Il bomber tedesco viene prelevato dallo Stoccarda, con cui nella stagione appena conclusa era arrivato a un passo dalla conquista di una storica Coppa UEFA, arrendendosi solo in finale al Napoli del Pibe de oro. L’arrivo di Klinsmann rappresenta una sorta di chiusura del cerchio, perché si tratta dell’ultimo grande tedesco a sbarcare a Milano in questi anni e proviene dalla stessa squadra da dove è arrivato il capostipite di questa tradizione: Hansi Muller.

La stagione 1989-1990 si rivela però deludente per l’Inter, che abbandona prematuramente la Coppa dei Campioni uscendo col Malmö e chiude il campionato al terzo posto, mancando dunque la conferma del tricolore. Dopo la vittoria di quello scudetto dei record, la convinzione generale era che i nerazzurri potessero aprire un ciclo importante, ma la stagione successiva frena quelle enormi aspettative, anche se l’Inter dei tedeschi ha un ultimo importante capitolo della sua storia da scrivere, prima di esaurirsi definitivamente.

L’estate del 1990 regala alla Germania la vittoria del Mondiale, proprio in Italia. I teutonici superano in finale l’Argentina grazie proprio a un gol del nerazzurro Brehme nel finale di gara. In campo ci sono anche gli altri due “milanesi” Klinsmann e Matthäus e alla fine dell’anno Lothar vincerà il pallone d’oro, con Andy piazzato al terzo posto e Jürgen che chiude in sesta posizione.

Insomma, l’Inter ha tra le mani tre dei giocatori più forti del mondo, una spina dorsale tutta tedesca, fresca di titolo mondiale, pronta a regalare altri successi ai nerazzurri nella stagione che sta per cominciare.

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Lothar Matthäus festeggia la vittoria del Mondiale col compagno Pierre Littbarski (Foto: AFP via Getty Images – One football)

Le cose migliori si ottengono solo con il massimo della passione

Stavolta l’impresa non arriva in campionato, bensì in Europa. Il cammino in Coppa UEFA dell’Inter in realtà parte male, con i milanesi che vengono sconfitti nell’andata dei trentaduesimi a Vienna dal Rapid, ma riescono a pareggiare il 2-1 nella gara di ritorno e poi ai supplementari è proprio Klinsmann a regalare il passaggio del turno.

I brividi non finiscono qui però, perché nell’andata dei sedicesimi di finale i nerazzurri incappano in un nuova sconfitta, stavolta ancora più pesante, subendo due reti in casa dell’Aston Villa e restando a secco. Il ritorno a Milano è ancora decisivo per la rimonta. Gli uomini del Trap confezionano un 3-0 che elimina gli inglesi, con la rete iniziale ancora di Klinsmann e Berti e Bianchi a completare l’opera.

Due turni superati con tanta difficoltà, ma a partire dagli ottavi la musica cambia. L’Inter archivia la pratica Partizan già all’andata, con un 3-0 che porta la firma inaugurale di Matthäus. Dopo l’1-1 del ritorno, col gol ancora dell’imminente pallone d’oro, l’Inter è impegnata nei quarti del derby italiano con l’Atalanta. A Bergamo finisce 0-0, ma a Milano l’Inter confeziona ancora la propria qualificazione superando la dea 2-0 con un altro gol di Matthäus, che bissa la rete iniziale di Serena.

In semifinale il copione è lo stesso: l’Inter pareggia 0-0 a Lisbona contro lo Sporting, chiudendo di fatto la Coppa UEFA senza mai vincere fuori casa. A San Siro però la squadra del Trap vince ancora 2-0, facendo cinque su cinque nelle gare interne europee. La vittoria è tutta teutonica, col rigore di Matthäus al 15’ e la firma di Klinsmann al 35’ che regala ai meneghini la finalissima.

L’atto conclusivo della Coppa UEFA 1990/1991 mette di fronte una sfida tutta italiana tra Inter e Roma. Il copione della finale è prevedibile: i nerazzurri vincono ancora in casa, con l’ennesima rete di Matthäus in questa competizione e il raddoppio di Berti. Nel ritorno dell’Olimpico Rizzitelli prova a spaventare i nerazzurri portando avanti i giallorossi, ma i meneghini resistono e tornano a vincere un trofeo europeo a quasi trent’anni dall’ultima volta.

La Coppa dei Campioni del 1965 conquistata dalla leggendaria Inter di Herrera è, fino a quel momento, l’ultimo trionfo europeo dei nerazzurri. Dopo aver messo fine a un digiuno di nove anni in campionato con la vittoria dello scudetto, Trapattoni spezza anche la maledizione europea lunga ben 26 anni, mettendo in bacheca la Coppa UEFA. Un successo che porta la firma di quel magico trio tedesco che sta scrivendo la storia dell’Inter, ma che rappresenta anche il canto del cigno di quella tradizione teutonica all’ombra della Madonnina.

La gioia dei tifosi dell’Inter (Foto: Allsport UK /Getty Images – One Football)

Chi vive deve essere sempre pronto ai mutamenti

L’Inter dei tedeschi si esaurisce di fatto allo stadio Olimpico di Roma. Un campo per che Andy, Lothar e Jürgen rappresenta veramente l’apoteosi calcistica, tra il trionfo mondiale e quella Coppa UEFA vinta con la maglia dell’Inter. Dopo la finale di Roma, Trapattoni lascia l’Inter, facendo ritorno alla Juventus e venendo sostituito da Orrico. L’annata successiva si rivela un fallimento su tutta la linea per i nerazzurri, che in Coppa UEFA si arrendono al primo turno ai portoghesi del Boavista e in campionato non vanno oltre un deludentissimo ottavo posto.

A fine anno si compie una rivoluzione epocale, con l’addio di quei tre tedeschi così decisivi per gli ultimi successi della squadra. Matthäus, che aveva già terminato con anticipo la stagione a causa di un infortunio, fa ritorno al Bayern Monaco. Mete più esotiche per Klinsmann e Brehme, che si accasano rispettivamente al Monaco e al Real Saragozza. Termina così la grande saga dell’Inter dei tedeschi.

Come Goethe ha vissuto e raccontato uno degli ultimi periodi di primato culturale dell’Italia sul resto dell’Occidente, allo stesso modo Matthäus, Brehme e Klinsmann hanno messo la propria firma decisiva in uno dei momenti di massimo splendore del calcio italiano. L’ottocento, tra i moti rivoluzionari e il Risorgimento, farà scivolare definitivamente l’Italia alle spalle delle altre potenze europee per prestigio. L’avvento degli anni duemila imprimerà all’Italia del calcio una dura botta, che rallenterà di parecchio la sua espansione rispetto ad altri movimenti calcistici. In nome della ciclicità della storia, il moto s’invertirà e il flusso sarà maggiormente indirizzato dall’Italia verso la Germania, ribaltando completamente i rapporti gerarchici.

Viaggio in Italia di Goethe resta una delle più ricche testimonianze di sempre del patrimonio italiano visto con gli occhi di uno straniero. L’epopea dei tedeschi all’Inter tra gli anni ’80 e ’90 rimane uno dei capitoli più interessanti e memorabili della storia del calcio italiano, che ha lasciato agli annali una delle squadre più forti mai viste nella Penisola. Due capolavori compiuti grazie all’arrivo di geni tedeschi in Italia.

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Autore

Romano, follemente innamorato della città eterna. Cresciuto col pallone in testa, da che ho memoria ho cercato di raccontarlo in tutte le sue sfaccettature.

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