Consulente aziendale, ex arbitro di Serie A e B, appassionato di calcio, tifoso dell’Olimpia Milano, opinionista televisivo. Così si descrive Luca Marelli sul suo omonimo blog.
Ci hanno abituato a giudicare una partita dagli episodi, dai gol, dagli assist, dai moduli di gioco, dalle sostituzioni messe in atto dall’allenatore e dagli errori arbitrali. Dimenticate le polemiche sterili e soprattutto questo approccio, approfondite il regolamento e capite perché farlo con questa nostra intervista a Luca Marelli.
RdL: Ciao Luca. Partiamo dall’inizio. Siamo abituati a conoscere i sogni dei giovani calciatori, gli aneddoti legati all’avvio della loro attività agonistica, ma difficilmente ci capita di poter fare questa domanda ad un (ex)arbitro: quando hai deciso di voler fare il direttore di gara?
M: Avevo 19 anni. Era domenica ed ero a casa a guardare la tv quando mio zio, venuto a trovarci all’improvviso, mi disse: “Perché non fai qualcosa di utile invece di startene qui, davanti la televisione? Sai, domani inizia il corso arbitri…”. Il giorno dopo ci sono andato a quel corso, per curiosità soprattutto, poi però non l’ho più abbandonato.
RdL: Ogni prima volta non si scorda mai, che ricordi hai del tuo esordio?
M: Il mio esordio in Serie A è avvenuto molti anni dopo quel primo giorno di corso. È stato il coronamento di un sogno e lo ricordo molto bene: Roma, Lazio-Siena finita 3-2.
RdL: Ti andrebbe di raccontarci qual è stata la partita più difficile da arbitrare? Vuoi per l’emozione, per gli episodi o semplicemente per il fattore campo.
M: Avellino-Napoli, 2-1. Finale di ritorno del girone B di Serie C1 nella stagione 2004-2005. È stata la partita che ho sentito di più in assoluto. Una finale è sempre difficile da arbitrare, a qualunque livello, ma questa aveva un qualcosa in più: era anche un derby campano, con tutta la rivalità tipica di un derby. Uno stadio completamente esaurito per quella che era l’ultima partita di campionato e di Serie C per una delle due squadre… è stata una partita davvero molto complessa da gestire e arbitrare sotto ogni punto di vista.
RdL: Quando eri in attività ti hanno anche chiamato “ribelle Marelli”. Secondo te perché ti hanno dato questo soprannome? Ti sentivi un arbitro fuori dagli schemi?
M: No, non sono mai stato un ribelle, anzi. Questa definizione è venuta fuori dopo che ho smesso, ma non mi sono mai sentito così e non mi ci sento neanche ora.
RdL: “Non mi piace dover dire solo se l’arbitro ha sbagliato o meno, bisognerebbe spiegare perché”, è questo il motivo che ti ha portato a dare vita e forma al tuo blog?
M: L’idea del blog è nata per fare qualcosa di diverso. Il ruolo di opinionista, per definizione, non mi è mai piaciuto e mi è sempre andato molto stretto. Spesso si giudica un errore o una valutazione dell’arbitro sulla base di parametri molto superficiali, invece che sui numerosi motivi che possono portare all’errore. È questo che mi piace evidenziare in una prestazione: capire il motivo per cui si è arrivati a tale decisione, giusta o sbagliata che sia. Non si può difendere qualsiasi decisione, perché gli errori ci sono, e ci mancherebbe altro, bisogna però capire e cercare di comprendere quello che è l’oggetto della disputa, senza mai perdere di vista il regolamento. Bisogna stare alla larga dalle interpretazioni grossolane. Ecco, cerco di spiegare gli episodi partendo sempre e comunque dal regolamento. Semplice – altrimenti non parleremmo del calcio come il gioco più diffuso al mondo – ma con le sue particolarità e con i suoi termini specifici, anche poco conosciuti (ad esempio, “danno procurato” non esiste). Cerco di educare alla giusta terminologia e alle giuste riflessioni.
RdL: La caccia all’arbitro è una certezza di giornata. Ora che non arbitri più potresti risparmiarti commenti (a volte vergognosi) sui tuoi canali, ma cosa ti spinge ancora oggi a darci la tua analisi post gara?
M: Noto che tanti tifosi cercano di discutere con me in maniera appropriata, creando una discussione argomentando la loro tesi. Tanti hanno voglia di capire e di comprendere qualcosa di più sul regolamento e sugli episodi perché, anche grazie ai miei articoli, si sono resi conto di aver valutato finora con troppa superficialità.
RdL: Abbiamo (quasi tutti) metabolizzato il VAR, ma secondo te è ancora migliorabile? Se sì, come?
M: Ho dei dubbi sul fatto che la tecnologia possa essere migliorabile perché siamo arrivati a un livello molto elevato e con un margine di errore basso, a differenza del suo utilizzo. Quest’anno si sta cercando di ridurre l’invasività della tecnologia nel gioco, a differenza dell’anno scorso dove abbiamo assistito a un campionato che sembrava più essere un videogioco, con tutte quelle continue interruzioni, anche per episodi banali. Questo andava contro il principio per cui la tecnologia è stata creata e messa in campo, ecco perché quest’anno si sta fischiando molto meno in area di rigore. Si stanno evitando tutti quei “rigorini” che sono invece semplice contatto di gioco. Presto i giocatori si renderanno conto che i contatti marginali non verranno più fischiati e che ci saranno molte meno cadute in area di rigore. Nessuno cercherà più il contatto ma si varcherà l’area solo ed esclusivamente per cercare di mettere la palla in rete.
RdL: Pensi che possa esserci spazio nel calcio per un arbitraggio alla NFL?
M: Sono sicuro di sì, sono evoluzioni naturali. È un passaggio che però richiede tempo, ci vorranno almeno due tre anni prima che ciò sia possibile. In NFL la comunicazione tra arbitro e grande pubblico non è arrivata all’improvviso, negli anni ’70 hanno iniziato la sperimentazione con i primi microfoni senza fili, ma ci hanno messo 20 anni a mettere in pratica la comunicazione con il pubblico. Non è sbagliato copiare la NFL, sono stati pionieri in questo e hanno fatto un ottimo lavoro, poi io sono appassionato e sono anche un po’ di parte.
RdL: Che voto daresti al sistema arbitrale italiano?
M: Voti non ne do mai. Stiamo attraversando un periodo di basso livello rispetto al passato, dovuto ad errori di programmazione. La divisione per anni di A e B ha portato ad uno scadimento del livello tecnico della qualità arbitrale mai registrato in precedenza. È stato abbandonato un sistema che funzionava, quello della Can A e B. Oggi si è tornati al passato, con le due categorie riunite, ammettendo quindi il fallimento tecnico. Ciò che conta è che ora, con l’unione, Rizzoli sta dando la possibilità ai giovani di fare esperienza senza essere buttati nella gola della Serie A privi della preparazione necessaria. I risultati di questa evoluzione, che poi è un passo indietro, li vedremo tra qualche anno. Abbiamo professionisti validi, al di là di Orsato a livello internazionale, ci sono arbitri che mi stanno piacendo molto: Guida, Maresca, Mariani che ha arbitrato il suo primo derby, ed altri che devono essere rilanciati (come Massa). Poi ci sono tanti giovani che avranno l’opportunità di affermarsi e dimostrare il loro valore.
RdL: Siamo arrivati alla fine. Che consiglio ti senti di dare a chi vorrebbe provare a percorrere la carriera arbitrale?
M: Di mettere da parte qualsiasi remora, paura, titubanza. Di iscriversi alla sezione più vicina, seguire il corso, le indicazioni del proprio istruttore e provare. Poi un ragazzo che prova, che scende in campo, raramente torna indietro. Il problema è iniziare, anche perché l’attività arbitrale è circondata da un’aura di sospetto. Per provare quant’è bello e divertente questo mondo bisogna sapersi buttare.
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