Quel lunedì mattina di luglio sta iniziando una nuova settimana per milioni di italiani. Altri sette giorni di lavoro, di vacanze estive per i ragazzini, un’ulteriore trepidante attesa per il prossimo weekend, per un pranzo in famiglia o per una gita in campagna o al mare. Quel lunedì mattina, però, è molto diverso dagli altri: è contrassegnato da una leggerezza del tutto nuova, da una freschezza inaspettata. Nemmeno sembra lunedì, per molti in effetti non lo è. Pare una semplice appendice di una lunghissima domenica, di una nottata insonne passata a festeggiare. A celebrare una vittoria, un successo liberatorio, una giornata storica.
Quel lunedì mattina a Ciampino atterra un aereo. Proviene dalla Spagna ed è atteso da una folla incredibile di persone. Il mezzo si poggia sulla pista, il portellone viene aperto e s’intravede la sagoma di un uomo. Esce festante, orgoglioso, visibilmente emozionato. Dietro a lui un altro uomo, tra le mani tiene un oggetto che luccica, è il centro focale dell’attenzione di quella folla. Quell’uomo innalza al cielo quell’oggetto, poi lo passa a un altro uomo dietro di lui, e così via finché non scendono tutti dall’aereo.
Quell’oggetto che luccica è la Coppa del Mondo, quell’uomo che per primo la innalza al cielo è Enzo Bearzot. Dietro a lui Dino Zoff, e a seguire tutti gli eroi di quella spedizione mondiale in Spagna che quel lunedì mattina fanno ritorno a Roma, da Campioni del Mondo. Quella Coppa non passa mai però dalle mani del primo uomo che è sceso dall’aereo.
No, no, io la Coppa non la tocco, l’hanno vinta loro, è soltanto la loro.
Sandro Pertini, Presidente della Repubblica Italiana, non alza mai al cielo quella Coppa, ma diventa il simbolo del successo azzurro in Spagna. Perché la vittoria del Mondiale nel 1982 va ben oltre un rettangolo verde per l’Italia: è un nuovo inizio, il sole che splende dopo una lunghissima tempesta. La suggestione di oggi parte proprio da qui, da una Nazionale che contro ogni pronostico vince la Coppa del Mondo e da un Presidente che festeggia serenamente, consapevole che quel successo costituisce l’alba di un giorno nuovo per il suo paese.
La corruzione è una nemica della Repubblica
L’Italia arriva al Mondiale del 1982 al culmine di anni a dir poco bui. Dal 1968 il mondo intero è continuamente scosso dai fermenti rivoluzionari, dalla contestazione giovanile e operaia e dall’esplosione della violenza di piazza. L’Italia è uno dei centri gravitazionali di questo disagio, culminato nei cosiddetti anni di piombo, etichetta presa in prestito dal celebre film tedesco di Margarethe von Trotta del 1981, una pellicola che descrive ciò che è accaduto negli anni ’70 nella Germania Ovest.
Gli anni di piombo iniziano convenzionalmente nel 1968 e si protraggono per tutto il decennio successivo. Sono anni segnati da una continua tensione politica e sociale, che sfocia spessissimo in atti terroristici che flagellano il paese. Dalla strage di Piazza Fontana nel dicembre 1969 alle bombe della stazione di Bologna nel 1980. Sono anni durissimi, dominati dalla strategia della tensione esasperata e da un’estremizzazione della dialettica politica, riflesso di ciò che accade nel resto del mondo con la Guerra Fredda.
Nell’estate 1982 l’Italia è un paese disilluso, sull’orlo di una crisi di nervi. Anni e anni di lotte, di paura e di violenza hanno cristallizzato un clima costantemente sul filo dell’equilibrio. Il boom economico degli anni ’50 e ’60, il cosiddetto miracolo italiano, è ormai un pallido ricordo. Quel benessere è sfumato via, travolto dalla sua labilità. Sono rimaste le armi, la rabbia e la violenza.
In un clima del genere serve una scintilla che riaccenda la speranza. Come spesso accade, soprattutto in Italia, il motore dell’animo popolare può essere il calcio, consolazione preferita di milioni di persone. Il calcio italiano però non se la passa meglio in quegli anni: sul finire di quel decennio maledetto scoppia lo scandalo del Totonero, il primo vero dramma sportivo della penisola.
Nella stagione 1979/1980 viene scoperta una rete di illeciti sportivi facente capo a un giro criminale di scommesse. Partite combinate, flussi di denaro impressionanti, la mano della malavita sempre opprimente. Il Totonero è il primo grande scandalo che travolge il calcio italiano. Rimangono coinvolte tantissime personalità, molte squadre. Il sistema calcio viene rovesciato, colpito a morte dallo shock di scoprire che quell’ingenua passione, la preferita di tantissime persone, non ha nulla di pulito.
Gli italiani si sentono traditi. Il calcio in Italia è sempre stato il riparo dalle beghe politiche, una sorta di oasi immacolata. Il Totonero squarcia questo velo, demolisce questa illusione. Anche il calcio si scopre un sistema corrotto.
In questo clima di assoluta instabilità si arriva al Mondiale spagnolo del 1982. Con un carico di tensioni, speranze tradite in partenza, disillusioni. Una Nazionale che per la prima volta non gode del consenso popolare, il simbolo di un tradimento troppo grande da perdonare. Il 1982 è uno dei più bassi per l’Italia, ma dal fondo si può risalire, e l’alba di un giorno nuovo è tremendamente vicina.
Chi cammina talvolta cade. Solo chi sta seduto non cade mai
L’Italia arriva al Mondiale senza grosse aspirazioni. Il girone mette gli azzurri di fronte a Polonia, Camerun e Perù. Un raggruppamento non semplicissimo, ma nemmeno troppo impegnativo. La qualificazione è d’obbligo per gli uomini di Enzo Bearzot, commissario tecnico di quella spedizione in terra iberica.
Il clima intorno alla Nazionale al principio dell’avventura spagnola non è dei migliori. L’aria è già carica di tensioni, interne ed esterne a una squadra che non convince e non gode dei favori del pronostico. L’inizio inoltre è complesso, pone l’Italia contro la temibilissima Polonia del neo-juventino Boniek. A Vigo finisce 0-0 un match sul filo dell’equilibrio, senza grossi sussulti, in cui gli azzurri controllano i polacchi e rischiano anche di vincere.
Il buon inizio viene oscurato dal prosieguo del girone. Contro il Perù arriva un deludente pareggio, con gli azzurri che vanno avanti nel primo tempo con un gol di Conti, ma nel secondo tempo proprio non scendono in campo. I sudamericani si vedono negare un rigore abbastanza limpido, premono e riescono a trovare il pareggio all’84’ con un tiro di Diaz deviato da Collovati.
Nell’ultimo match del girone arriva un altro pareggio, contro il Camerun. Graziani sblocca nella ripresa sfruttando un cross di Rossi, ma appena un minuto dopo M’Bida pareggia i conti. L’Italia resiste, porta a casa un punto che alla fine vale la qualificazione per la differenza reti rispetto agli africani.
L’Italia passa il girone, ma scoppia il putiferio. Inizia a circolare la voce circa la presenza di ingenti premi qualificazione, riscossi da una squadra che ha passato il primo turno senza vincere nemmeno una partita. Il gruppo si chiude a riccio, Bearzot proclama un controverso silenzio stampa, eleggendo Zoff a portavoce ufficiale della selezione.
A complicare la situazione ci si mette il calendario. Nel secondo turno, un nuovo girone: l’Italia dovrà incrociare i campioni in carica dell’Argentina e lo stra-favorito Brasile. Solo una squadra avrà accesso alle semifinali. Un’impresa impossibile per gli azzurri, soprattutto se sono quelli visti nel primo turno.
Nella vita talvolta è necessario saper lottare anche senza speranza
La musica però cambia nettamente nella fase successiva di questo Mondiale. Nel primo match del secondo turno, l’Italia affronta l’Argentina, trionfante quattro anni prima a Buenos Aires tra tantissime polemiche derivanti dal clima oppressivo che si respirava nello stato argentino, contrassegnato da un ferreo regime dittatoriale. Quattro anni dopo, la formazione dell’Albiceleste ricalca quella che ha vinto il Mondiale, con l’aggiunta di un giovane Diego Armando Maradona che dominerà i Mondiali successivi, ma per fortuna degli azzurri non incide in Spagna.
Primo tempo senza grandi emozioni: i sudamericani fanno la partita e gli uomini di Bearzot si compattano. Gentile oscura il giovane fenomeno Maradona e l’Italia aumenta il proprio ritmo, cominciando a orchestrare intraprendenti ripartenze. La fiducia diventa consapevolezza e al 56′ Tardelli raccoglie un suggerimento di Antognoni e sigla la rete del vantaggio.
Gli azzurri vanno incredibilmente avanti e dopo dodici minuti raddoppiano con Cabrini che gira in rete una palla raccolta da Conti. All’83’ Passarella accorcia le distanze su punizione, ma la rete argentina non serve a nulla. L’Italia ottiene la sua prima vittoria nel Mondiale del 1982, batte a sorpresa l’Argentina e ritrova una parvenza di entusiasmo, anche se all’orizzonte l’ostacolo Brasile sembra insormontabile.
La storia dei Mondiali è piena di quelle vicende ai limiti del credibile, di quei segni del destino che sembrano far ricondurre tutto sempre a un disegno più ampio. Illuminazioni dettate da chissà quale consapevolezza interiore, mosse inspiegabili che poi ripagano, uomini giusti al momento giusto. C’è di tutto nella storia dei Mondiali, e per quello del 1982 la vicenda più emozionante e incredibile è quella di Pablito Rossi.
Lo scandalo del Totonero di tre anni prima aveva travolto tantissime persone, tra cui proprio il centravanti della Nazionale. Due anni di squalifica, l’onta della condanna, la connivenza col più grande tradimento inflitto ai tifosi. Poi un Mondiale a dir poco deludente, in cui Rossi paga i due anni di inattività e non ne combina una giusta. Spaesato, fuori forma, visibilmente annebbiato. Paolo Rossi è l’uomo più criticato della selezione di Bearzot, i tifosi lo vogliono fuori, ma il mister continua a dagli fiducia.
Vedendo le prestazioni precedenti, la scelta di confermare Rossi titolare anche nel delicato match col Brasile sembra inspiegabile. Ma il Mondiale è una narrazione di predestinati, premia le storie più belle da raccontare. Allora Bearzot contro l’imbattibile Brasile di Zico, Falcao e Socrates sceglie ancora Rossi, e ha ragione.
Pablito contro i verdeoro sboccia, esplode letteralmente. È una stella che brucia e consuma tutto ciò che si trova sulla sua strada. Chissà se i brasiliani hanno capito di aver giocato contro forze che sono andate ben al di là delle loro possibilità. Per battere una squadra del genere serviva una prova eccezionale, una forza che andasse fuori dall’ordinario. Paolo Rossi in quella calda estate spagnola è stato quel lampo distruttivo che ha regalato all’Italia una vittoria indimenticabile.
Tre gol, Paolo Rossi travolge il Brasile e porta l’Italia in semifinale nell’incredulità generale. Gli azzurri vivono novanta minuti perfetti, reggono l’urto della potenza verdeoro, vincono e ottengono la qualificazione. Italia-Brasile è la partita di mille storie, del riscatto di Rossi, del battesimo di fuoco del giovanissimo Bergomi. È soprattuto, però, la storia della rinascita di un Paese intero, che quel giorno si riscopre consapevole di sé stesso.
Giunti in semifinale, gli azzurri sono ora la squadra favorita per il successo. Ad un passo dalla gara decisiva c’è di nuovo la Polonia, liquidata con un secco 2-0 firmato da una doppietta di un ormai inarrestabile Paolo Rossi. In finale c’è poi la Germania, in un match che sa di esecuzione annunciata.
La finalissima di Madrid è uno show azzurro, iniziato però con un brivido. Dopo pochi minuti Conti viene steso in area, ma Cabrini fallisce il calcio di rigore. Riemergono le ansie di un decennio intero, la paura di fallire una volta accarezzato l’obiettivo. Sensazioni negative che vengono spazzate via nella ripresa, prima da un colpo di testa di Rossi, poi dall’urlo liberatorio di Tardelli e infine dalla serpentina di Altobelli. A Madrid finisce 3-1: l’Italia è Campione del Mondo per la terza volta nella sua storia.
Io credo nel popolo italiano
In tribuna ad assistere al trionfo italiano sulla Germania c’è Sandro Pertini, l’uomo di questo racconto. Il Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini deve restare a Roma per non lasciare il paese in un momenti di fortissima instabilità politica. Il Presidente della Repubblica però non ci pensa due volte e parte per Madrid.
Assiste allo show, si gusta la vittoria, e sa che quel giorno la festa va ben oltre il successo sportivo. In serata viene organizzato un ricevimento all’ambasciata italiana nella Capitale spagnola, ma il Presidente non si trova. Un atteggiamento inspiegabile, un Capo di Stato ha il dovere di rispettare determinati riti. Ma in quel momento Pertini prima che il presidente della Repubblica Italiana è un uomo che vuole solo festeggiare il successo della propria Nazione, che vuole godersi finalmente una boccata di serenità.
I dignitari lo trovano poi in un tablao madrileno, a cenare e godersi uno spettacolo di flamenco. Calmo, rilassato, consapevole. Il giorno dopo torna a Roma con gli eroi azzurri, ammira quella Coppa, ma non vuole toccarla. Non è necessario. Ciò che l’Italia ha vinto va oltre quel bellissimo oggetto e Pertini lo sa. È pienamente conscio del significato latente di quel trionfo azzurro in Spagna. Sa il valore della redenzione, e non lo rivela.
La vittoria del mondiale in Spagna è un nuovo inizio. Per il calcio italiano naturalmente, che può mettersi alle spalle gli scandali e le tensioni e fiondarsi nei dolcissimi anni ’80, un decennio d’oro per il pallone nostrano. Soprattutto, è un nuovo inizio per il popolo italiano. Un popolo ripagato di quel tradimento, di quella disillusione che ha dovuto vivere. Un popolo che può tornare a credere nel calcio.
Dal 1982 le cose andranno meglio, la violenza piano piano si allenterà, lascerà un po’ di respiro. Ansia, tensione, paura: negli anni ’80 questi sentimenti si affievoliranno, per poi tornare con potenza nel decennio successivo, ma questa è un’altra storia. È naturale che il pallone c’entri poco con cambiamenti così grandi a livello politico e sociale, ma è bello trovare un collegamento, anche simbolico.
La calda estate del 1982 porta con se un nuovo inizio. Quel lunedì, 12 luglio 1982, è l’alba di un giorno nuovo e ancora una volta ci hanno pensato undici giocatori e un pallone che inesorabilmente rotola, e sempre lo farà, a dare la svolta. Pertini sapeva che a Madrid il successo italiano sarebbe andato ben oltre quella Coppa che non ha mai voluto toccare.