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Icone: Jari Litmanen, il Kuningas

Il campione del mondo in carica di scacchi, Magnus Carlsen, è norvegese. Con lui i Paesi dell’Europa Settentrionale hanno raggiunto per la prima volta i vertici di questo gioco, che tra le nevi e le aurore del Nord ha trovato terreno fertile. Eccezion fatta per la Finlandia, che ha sempre dato l’idea di avere il re sotto scacco. Anche se a dirla tutta, un Kuningas – come lo chiamano da quelle parti – i finlandesi l’avevano trovato: Jari Litmanen. Peccato che la sua scacchiera fosse un campo da calcio.

Per intelligenza tattica, Litmanen potrebbe essere paragonato ad uno scacchista, calcolatore e impulsivo allo stesso tempo. Studiava gli avversari, prevedeva le loro mosse e faceva sempre la scelta giusta. Senza ombra di dubbio uno dei calciatori più forti che si siano mai visti in Scandinavia.

L’eredità di Bergkamp

La maggior parte dei successi di Litmanen arrivano su suolo olandese. Nell’estate del 1992, l’Ajax fa un affarone prelevandolo ancora ventunenne dal MyPa per soli 14 mila euro. In patria il ragazzo si era fatto un nome vincendo sia il campionato che la coppa nazionale (due volte), ma in Olanda è come ripartire da zero: il posto da titolare si conquista convincendo sul campo. Jari questo lo sa benissimo, ma “buona l’idea, tantomeno la realizzazione” direbbe Fabio Caressa. Nel match d’esordio contro il Go Ahead Eagles, Louis van Gaal gli concede giusto una manciata di minuti più recupero, eppure la sua prestazione equivale ad un vero e proprio un disastro.

Nella prima partita l’ho schierato a centrocampo, perché era quella la posizione che ricopriva in Finlandia, però la sua non è stata una buona prestazione. Per fortuna il giorno dopo abbiamo fatto un’esercitazione in allenamento e ho capito che uno così, con quella visione di gioco, deve stare dietro le punte. Non a caso quello stesso giorno in partitella fece quattro gol.

Quel ruolo, però, aveva già un proprietario: Dennis Bergkamp. È più grande, più maturo, più esperto. Per farla breve è più tutto e Jari non può che finire nella sua ombra. In quella prima stagione è il suo rincalzo, gioca a malapena 709 minuti e mette a segno un solo gol. Un supplizio destinato a finire ben presto, visto che l’olandese non volante lascia il club insieme a Wim Jonk per accasarsi all’Inter. Con un vuoto in formazione e la maglia numero 10 vacante, van Gaal ha due possibilità: buttarsi in fretta e furia sul mercato per trovare un degno sostituto, oppure consegnare le chiavi della squadra a quel Litmanen che di luce propria ne ha eccome, ma che fino a quel momento non aveva brillato. Sceglie la seconda, che sia benedetto.

Con un carico di responsabilità non indifferente sulle spalle, Jari dimostra a tutti di essere stato sottovalutato. Non gli mancavano le qualità, bensì solo lo spazio necessario per metterle in mostra. La doppietta nel Johan Cruijff Schaal è l’antipasto dell’exploit della stagione 1993/94: segna 34 gol in 38 presenze, 26 dei quali arrivano in PTT Telecompetitie (l’attuale Eredivisie) e gli valgono il titolo di capocannoniere. Dopo tre anni di digiuno, con PSV e Feyenoord a banchettare, l’Ajax è di nuovo campione d’Olanda grazie al suo finlandese di fiducia. Niente briciole per gli avversari neanche nelle due stagioni successive, quando i lancieri strizzano l’occhio all’Europa.

Ajax campione d'Olanda 1995-96 - Foto Imago OneFootball
L’Ajax campione d’Olanda (Foto: Imago – OneFootball)

Ajax e Litmanen, the Champions

Amsterdam torna ad ospitare la massima competizione europea a distanza di nove anni dall’ultima volta. Allora si chiamava Coppa dei Campioni, ma la sostanza non cambia. Litmanen ne aveva avuto un piccolo assaggio quando vestiva la maglia dell’HJK Helsinki, uscendo già al primo turno con un aggregate di 0-4 con la Dinamo Kiev. Questa volta niente turni preliminari, l’Ajax parte dal gruppo D con AEK Atene, Salisburgo e il Milan di Fabio Capello detentore del titolo. Contro ogni pronostico arrivano due successi in due gare contro i rossoneri, 2-0 sia in casa che in trasferta. Primo posto blindato.

Nella fase a eliminazione diretta, la squadra di van Gaal si dimostra compatta lontano dalle mura amiche e schiacciasassi allo Stadion De Meer: 0-0 a Spalato, 3-0 al ritorno; 0-0 a Monaco di Baviera, 5-2 al ritorno. Con estrema disinvoltura, arriva all’ultimo atto. Contro chi? Proprio il Milan, cresciuto durante il corso dell’edizione e intenzionato a riprendersi la coppa. Non meno motivato il Kuningas, trascinatore con 6 gol e 1 assist. Che poi lui è uno che sa assistere anche senza toccare il pallone, un dettaglio che sfugge a ogni conteggio statistico ma che incide sul risultato.

La finale di Vienna non è come Jari se l’aspettava: tra la linea difensiva e quella mediana del Milan c’è poco spazio, Desailly e Albertini schermano meglio di quanto abbiano fatto nelle due gare del girone messe insieme. Il 10 appare solo una volta negli highlights del match, in un siparietto divertente con van Gaal che, imitando un intervento a gamba tesa subito dal suo giocatore, arriva a non molto dall’attentare alla vita del quarto uomo.

Nel bene o nel male è decisivo, perché dopo 70 minuti incolori esce per far spazio a Patrick Kluivert, che a pochi giri d’orologio dal termine spezzerà l’equilibrio con un inserimento dei suoi. Finisce 1-0, en plein nelle tre sfide al Diavolo. Litmanen diventa il primo calciatore finlandese ad alzare la coppa dalle grandi orecchie. Solo Sami Hyypiä riuscirà ad eguagliarlo.

Litmanen e van der Sar - Foto Imago OneFootball
Jari Litmanen ed Edwin van der Sar scherzano a Vienna dopo il successo in finale sul Milan (Foto: Imago – OneFootball)

Kuningas e compagni torneranno alla carica anche nella Champions 1995/96, forti del titolo di campioni del mondo conquistato a Tokyo. Ancora una volta, cammino perfetto: primo posto nel girone davanti al Real Madrid, doppio successo sul Borussia Dortmund ai quarti di finale e rimonta al Panathinaikos in semifinale. In finale trovano per la seconda volta un’italiana, la Juventus di Marcello Lippi. Tutto un altro Litmanen rispetto a quello di Vienna, in gol sia nei 90′ regolamentari che nella lotteria dei rigori, eppure non basta per bissare il trionfo. La palma di miglior giocatore e capocannoniere (9 reti) possono consolarlo solo in parte.

Jari boom

Il calcio è passione, brucia nei cuori. Senza che ce ne accorgiamo, entra a far parte delle nostre vite. In questo forse riesce meglio di qualunque altro sport. Pensiamo alla città di Napoli, stravolta dal passaggio di Diego Armando Maradona. Da quel 5 luglio 1984, data della presentazione del Pibe de Oro al San Paolo, il nome Diego si è fatto cultura. Una cosa simile è successa ad Amsterdam.

L’Ajax, si sa, è un culto da quelle parti. E dal 1992 al 1999 si scriveva Ajax ma si leggeva Jari Litmanen. Jari è un nome tradizionalmente finlandese, non del tutto inutilizzato nei Paesi Bassi ma di sicuro di immensa rarità. Il calcio però ha contribuito a olandesizzarlo, con quello che potremmo definire un baby boom degli Jari che ha seguito le sue imprese con la maglia dei lancieri. Il Dutch Meertens Instituut, istituto per la ricerca linguistica e culturale della Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences, ha condotto uno studio sulla diffusione di questo nome: a metà anni ’90 il picco con oltre 200 neonati battezzati Jari in un anno.

Meertens Institute - Jari in Olanda
Una ricerca condotta dal Meertens Instituut mostra l’impennata della scelta del nome Jari per i neonati olandesi nel “post-Litmanen”.

Jari Litmanen ha lasciato una firma indelebile ad Amsterdam e la città l’ha voluto ringraziare così. La dinastia Jari sta crescendo nel suo mito, altri ne verranno. Il suo nome sarà tramandato di generazione in generazione. D’altronde è questo il destino delle icone.

Autore

Viterbese classe ’99, muove i primi passi con ai piedi un pallone e, neanche a dirlo, se ne innamora. Quando il calcio giocato smette di dare speranze, ci pensa giornalismo sportivo a farlo sognare. E se si fosse trattato di campo, essere riserva di lusso lo avrebbe fatto rosicare… alla tastiera non potrà che essere un valore aggiunto.

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