Sessantuno anni oggi per Jorge Luis Antonio Sampaoli Moya, meglio noto a tutti come Jorge Sampaoli. Un’intera carriera passata da una costa all’altra del Sudamerica, dai campi di provincia ai grandi palcoscenici continentali, fino alla consacrazione a livello globale grazie ai trionfi conseguiti con la nazionale cilena e alla meno fortunata esperienza con l’Albiceleste. Nel mezzo la traversata oltreoceano per approdare per la prima volta in Europa, un matrimonio iniziato per il verso giusto e poi conclusosi in tutt’altra maniera, anche per via dell’opportunità Argentina.
Una vita vissuta senza mai tradire i propri principi, i propri ideali. Tenendo sempre fede alle proprie idee, senza mai perdere quell’identità che lo ha sempre contraddistinto dal resto della massa. El Hombrecito è da pochi giorni tornato nel vecchio mondo, sulle coste marsigliesi, dove dovrà cercare ancora una volta di imporre il proprio pensiero anche ai più scettici, in quella che sarà una tra le sfide più difficili affrontate sino ad ora.
Sampaoli: idee, passione, abnegazione
Mettermi qui a dilungare sui vari aspetti della figura di Sampaoli sarebbe errato. Troppo il tempo e lo spazio che ruberebbe una personalità così complessa e affascinante come quella del tecnico argentino. Cosa che oltretutto farebbe passare in secondo piano il discorso principale, quello riguardo le possibilità del suo impatto dalle parti del Velodrome. Tuttavia, non si può parlare dell’allenatore distaccandosi dall’uomo.
Due semplici immagini sono in grado di introdurci perfettamente al tipo di personaggio che stiamo per indagare. Scattate a distanza di oltre 25 anni l’una dall’altra, rappresentano una prima perfetta sintesi dell’uomo Sampaoli. La prima risale all’ottobre 1995, quando Jorge era solo agli albori della sua carriera ed era l’allenatore dell’Alumni de Casilda, dove in seguito ad un’espulsione, pur di continuare a seguire la squadra, decise di arrampicarsi su un albero. La seconda, invece, è di poche settimane fa, e lo ritrae mentre è aggrappato, questa volta, alla recinzione delle tribune. Il motivo potete immaginarlo: un’altra espulsione.
Questo per dire cosa? Innanzitutto per confermare quanto detto in apertura. Che in circa trent’anni di attività l’attitudine dell’argentino nei confronti del calcio non è cambiata di una virgola. Certo, anche quei pochi capelli presenti a Casilda sono scomparsi, gli occhialini in stile anni ’60 idem e la pancia è forse cresciuta leggermente. Il volto si è fatto più duro, anche più cupo, segnato indelebilmente dal passare del tempo e delle esperienze vissute. Ma le mutazioni sono solo esteriori. Dentro non è variato niente. La passione è rimasta la stessa, com’è facile accorgersi.
Il primo moto a spingere Sampaoli è proprio quello generato dalla passione. Il nativo di Casilda è prima di tutto un tifoso, un innamorato di questo sport. Lo si capisce bene, ad esempio, sentendo il modo in cui è solito parlare di Bielsa, suo modello da sempre. Un’ammirazione trasfiguratasi quasi in idolatria, e spesso costata più di qualche spiacevole paragone al nuovo tecnico del Marsiglia.
Una passione che va di pari passo con l’abnegazione che ha verso il proprio ruolo. Per lui essere allenatore vuol dire vivere di calcio a 360 gradi. Lo fa con naturalezza, con estremo piacere, perché il calcio è la sua vita: non esiste cosa più importante al mondo. Due sentimenti che poi, ovviamente, porta in campo. Ad ogni incontro, quella di Sampaoli diventa una partita nella partita. L’atteggiamento, le movenze, gli sguardi, sono quelli di chi in quel momento sta combattendo una battaglia.
Suda, corre, urla, si arrabbia. Le vene si gonfiano e ogni muscolo del suo corpo è teso all’incitamento dei propri giocatori. In quei novanta minuti di battaglia, per loro non deve esistere nient’altro, il mondo deve scomparire. Un focus completo sull’obiettivo che invece per lui dura oltre quell’ora e mezza. Già, perché se il calciatore può quantomeno rilassarsi dopo una vittoria, ciò per lui non è possibile secondo l’ideale che possiede della figura dell’allenatore. Gli attimi dopo la partita sono quelli in cui le sensazioni vissute nel mentre sono ancora vivide, dove iniziare a capire cosa è andato bene e cosa meno, per poi analizzarlo nel complesso con la lucidità del giorno dopo, e su cui lavorare in quelli ancora successivi. Una mente, la sua, che non smette mai di lavorare, sempre focalizzata sullo stesso punto, il campo.
Una vera e propria ossessione verso l’amore della propria vita, il calcio, che poi si ripercuote naturalmente anche nel modo di esprimere e attuare le proprie idee. Spesso paurosamente custodite, preoccupato che l’avversario possa venire a conoscenza anche del più piccolo dei dettagli – guai a pensarlo insignificante – e che a tanti episodi di celamento e spionaggio ha portato, sulla stessa scia del suo idolo d’altronde.
Idee a cui l’ex allenatore della nazionale cilena non è mai venuto meno, al di là di qualsivoglia condizionamento esterno. Completa dedizione e massimo coinvolgimento sono l’unica strada percorribile per poter avere un ruolo in una delle sue squadre. Fondamenti che Sampaoli dovrà cercare di infondere nel più breve tempo possibile sulle coste marsigliesi.
La situazione al Marsiglia
Il Marsiglia non sta vivendo un buon momento. Non solo nella stagione in corso, bensì a livello storico. I successi del passato che avevano contribuito a rendere la squadra provenzale una big del calcio europeo sono ormai lontani, e altrettanto distanti sono anche gli ultimi trofei aggiunti alla bacheca. In una situazione che come se non bastasse alle difficoltà sportive associa un caos societario capace di creare non pochi danni all’immagine del club negli ultimi anni.
Ultimo fra tutti l’addio proprio l’addio di Villas-Boas, avvenuto poco più di un mese fa, con la consegna delle dimissioni arrivata dopo l’acquisto da parte della società di Ntcham, su cui l’allenatore aveva invece espresso il proprio dissenso. E dire che proprio con il tecnico portoghese la squadra aveva ritrovato un po’ di luce, chiudendo lo scorso campionato al 2° posto e raggiungendo una partecipazione alla Champions League – spedizione europea poi conclusasi con esito disastroso – che mancava dalla stagione 13/14.
Come detto, la stagione corrente sta assumendo connotati catastrofici, ma inizialmente, in fin dei conti, non stava andando poi così male – alla 18esima giornata il Marsiglia era 4° a -5 dalla vetta, con soli due punti di ritardo rispetto al secondo posto conquistato l’anno scorso -, salvo poi prendere una brutta piega con l’avvento del nuovo anno, forse proprio per la coincidenza con i primi dissidi tra allenatore e dirigenza.
Da quel momento in poi, in nove partite, prima con Villas-Boas e poi con Larguet – tecnico ad interim in attesa che Sampaoli completasse la stagione con l’Atletico Mineiro – l’OM è riuscito a racimolare solo 5 punti. Al momento occupa la sesta piazza con 42 punti (grazie al primo successo del nuovo tecnico nel recupero della 22esima giornata vinto in uno sporco e scialbo 1-0 contro il Rennes), scivolato difatti a -20 dalla vetta e -17 dalla zona Champions.
Sampaoli, dunque, si troverà alle prese con uno scenario piuttosto intricato, oltretutto in una delle piazze più infervorate ma allo stesso tempo più esigenti del calcio europeo. Una sfida che di certo non spaventa il tecnico, che anzi ha sempre saputo esaltarsi in situazioni di difficoltà o da ambienti comunque sfiduciati.
Il Marsiglia di Sampaoli
Nella sua prima uscita in veste di allenatore del Marsiglia, il tecnico argentino ha messo in campo una sorta di 3-5-2 che variava in base alla porzione di campo che andava ad occupare Thauvin nelle due fasi di gioco, in linea con la mediana in fase difensiva e più alto in fase di costruzione, durante le quali andava a formare una sorta di coppia sulla trequarti insieme a Payet e con Milik davanti a far da punta, ricreando quel 3-4-2-1 (o 3-4-1-2 in base alle situazioni) che ha dato diverse soddisfazioni al tecnico argentino, soprattutto sulla panchina della Roja.
Ma il modulo nella testa di Sampaoli, alla fin fine, poco conta. Nell’arco della sua carriera ha spesso variato sistema, usando a più riprese sia la difesa a tre che quella a quattro (in particolare con il 4-3-3), spesso alternandole in diversi periodi della stessa annata e se necessario, in base all’avversario. Quello che davvero conta, invece, è che i principi del suo gioco siano applicati alla lettera, al di là dei numeri in campo.
Da questo punto di vista, come del resto già intuitosi, l’ex CT dell’Argentina è molto esigente. Prima di qualsiasi cosa viene l’intensità. Sampaoli ha ottenuto gran parte dei suoi successi grazie ad un atteggiamento aggressivo e ad una pressione molto alta. L’idea è quella di aggredire l’avversario ancora prima che se ne accorga, anche rompendo le linee se necessario, purché il tutto sia fatto con le giuste tempistiche, onde evitare esiti disastrosi. Come ad esempio accaduto in occasione del 6-1 subito dalla Spagna mentre sedeva sulla panchina dell’Albiceleste.
Una predisposizione all’aggressione che diviene ancora più intensa nel caso di palla persa, soprattutto in zone laterali del campo, dove i giocatori partono praticamente all’assalto del nemico, cercando di mettere in diretta difficoltà il portatore palla e chiudendo allo stesso tempo tutte le linee di passaggio disponibili.
Ed è proprio in questa direzione che Sampaoli potrebbe trovare le maggiori difficoltà. Convincere giocatori come gli stessi Payet, Thauvin e Milik a fare un tale lavoro senza palla potrebbe rappresentare ardua impresa, motivo per il quale potrebbero salire le quotazioni di giocatori più dinamici come Benedetto ad una maglia da titolare. Ma senza dimenticare che il tecnico argentino può divenire decisamente persuasivo all’occorrenza.
Una pressione in cui avranno un ruolo determinante anche gli esterni, pedine fondamentali per il sistema di gioco non solo in fase di non possesso, ma anche in fase di costruzione. Le squadre di Sampaoli si sono sempre contraddistinte per un gioco veloce, con pochi tocchi, che puntasse subito alla verticalizzazione, con una forte prevalenza per le fasce laterali. Con necessità di avere esterni qualitativi, ma soprattutto di gran corsa e dalla fisicità dirompente. Requisiti che, se soddisfatti, portano inoltre il giocatore ad essere enormemente valorizzato dal modo di giocare della squadra.
Ma anche in questo caso i papabili titolari (Lirola e Nagatomo) non si ritrovano in tali caratteristiche. Il che ci porta al problema principale: il Marsiglia, nel complesso, è una squadra sulla carta poco adatta al modo di giocare del proprio allenatore. Qualcosa di comprensibile, viste le circostanze dell’arrivo del nuovo tecnico, ma che di certo crea diffidenze nell’ambiente, oltre alla possibilità di un esito potenzialmente disastroso nel prossimo futuro. Un fattore che non in pochi hanno fatto notare.
Sampaoli si è presentato dicendo che avrebbe parlato la lingua del calcio. Anche se in accezione diversa rispetto a quella a cui si riferiva il tecnico, sarà davvero fondamentale per tutti che squadra e allenatore si sintonizzino sulla stessa frequenza e che parlino la stessa lingua. Quello dell’argentino è un calcio bello, divertente ma molto dispendioso, che necessita di una gran dose di energie sia fisiche che mentali per essere applicato al meglio. E non è scontato che tutti siano in grado o disposti a metterle in campo.
Cosa aspettarsi, dunque?
Far peggio di quanto abbia fatto il Marsiglia negli ultimi mesi è pressoché impossibile, certo è che alla squadra serve più di una qualche semplice correzione in corsa d’opera. E c’è da dire che la scelta di Sampaoli va in direzione decisamente opposta al calcio proposto da un tecnico come Villas-Boas. Allo stesso modo, la rosa ha sicuramente un valore molto più elevato che l’attuale momento non rispecchia.
Ho parlato degli aspetti che caratterizzano il gioco del nuovo allenatore, che sono soprattutto l’intensità in ogni fase e la capacità nel saper verticalizzare velocemente il gioco, le quali però necessitano comunque di essere associate ad una buona circolazione di palla e in particolare ad una precisa gestione dei tempi di gioco. Ed almeno in questo senso, il lavoro del suo predecessore dovrebbe aver lasciato un terreno abbastanza fertile.
La rosa non si sposa di certo con i nuovi ideali che Sampaoli porterà, ma il calcio ci ha da sempre insegnato che con il lavoro e la giusta dedizione anche le lacune più grandi possono essere colmate. E da questo punto di vista i giocatori dell’OM non potrebbero sperare in miglior guida. Sarà l’ennesima sfida nella carriera de El Hombrecito, a cui la convinzione di poter superare qualsiasi ostacolo non è mai mancata, e che dovrà cercare di plasmare la squadra a sua immagine e somiglianza nel minor tempo possibile. Ai tifosi e agli amanti del calcio non resta che aspettare, ci sarà da divertirsi.