Come è apparso ancora più evidente negli ultimi mesi, Bologna può essere il posto giusto per passare il Capodanno. Un posto, una città dove l’attaccante del momento, Joshua Zirkzee, si sta condannando a fare simpatia a tutti quanti.
Si tratta di Bologna che, a inizio gennaio, nel periodo delle feste, rimane sempre con i soliti tortellini e con i portici che conoscono tutti, insieme ad un turismo dai tratti ordinati. Una città che se ne sta con una temperatura tutto sommato sopportabile, dove ancora una volta in inverno c’è stato appena un accenno di neve, di fuori. Ma soprattutto, laggiù c’è un mondo tutto nuovo quest’anno perché, al primo giorno dell’anno, i felsinei erano quinti in campionato come non accadeva da davvero tanto. A Capodanno, in 18 partite avevano già accumulato 31 punti.
Attualmente, i rossoblù di Motta hanno dimostrato di detenere la terza difesa della Serie A per gol subiti, composta da liete sorprese come la rivelazione Calafiori e il fidatissimo Beukema. A centrocampo, hanno giurato fedeltà a Ferguson e a qualcun altro, ed un aspetto davvero fondamentale è stato rappresentato dalle tutte quelle soluzioni oltre la mediana, tutte quelle promesse giovani ed acerbe ma sempre utili, finora. Poi, sono rimasti funzionali alla causa anche in avanti dove, tra una grande turnazione di esterni di ruolo, è finalmente spiccato il suggestivo nove Joshua Zirkzee, alla grande.
Così, se Bologna può essere per molti passionali, ora, il capoluogo giusto dove passare il Capodanno, è perché il calcio cresce in coralità dentro un ambiente così paziente. E certamente, Thiago Motta è sembrato trovarsi in sintonia con tutta la squadra fino ai fuochi d’artificio del primo gennaio, e non solo, siccome è pronto a fare anche di più, in perfetto spirito natalizio. Di gruppo.
D’altronde, nel calcio non c’è nulla di meglio di un posto dove tutti si stringono e dove tutto prosegue bene, in sincera amicizia, oltre le aspettative della maggior parte dei tifosi. Perché infatti, nel capoluogo emiliano, si è capito che poco importa se le ultime due partite terminano meno bene. Dopo una sconfitta qualsiasi, a Bologna esiste sempre tanta fiducia, e per fortuna è così che funzionano le grandi stagioni.
Capelli. Estetica. Stile. Falsità. Joshua Zirkzee
Il prisma di Joshua Zirkzee è per tutti avvinghiante, impossibile da resistere. Dall’estetica fino allo stile. Deciso in tutto ciò che fa. Un modello votato a dei principi concettuali, d’artista e d’autore. Un portatore d’idee che dovrebbero essere molto astratte, ma che si risolvono con trovate molto vere. Spesso di un’apparenza semplicemente elegante.
Uno direbbe che tutto questo sia impossibile, ma la realtà è che dietro a quei capelli, a tutta quella matassa di capelli di Joshua Zirkzee, a quanto pare si nasconde una delle menti migliori della nostra generazione. Un attaccante che per componenti dovrebbe essere così antimoderno e paradossale, ma che invece sopravvive al peso di questa realtà; e non pago, impone le sue regole ai difensori. Se esiste una certezza, è che finora l’olandese ha adottato il suo gioco senza mezze misure. E c’è anche che sono stati gli altri a dover seguire il suo calcio, non viceversa.
Un giocatore che, pur apparendo tremendamente adattabile e odiosamente bello, è capace di risolvere qualsiasi situazione in qualsiasi zona di campo. E lo fa rendendosi al servizio dei compagni di squadra. Così giovane e pronto a piegarsi per gli altri nella manovra, a tornare indietro. Naturalmente ancora così lontano dal consacrarsi a queste altitudini. Così terribilmente incapace di separarsi dalla sua natura dandy, e così tanto diverso dal cinismo dei classici numeri nove. Uno spaccato nella tradizione delle punte di ruolo.
Da fuori, Zirkzee non ha fiammate e non ha progressioni accentuate, non ha scatti particolari, non gioca palloni che siano davvero rapidi. Mette in moto però dei pensieri velocissimi, gli piace giocare sul corto e – quando sembra un genio – spesso è soltanto perché ha avuto dei tempi che hanno anticipato gli istanti d’azione degli altri. Adesso non è di certo un top player, ma sa passare la palla e adotta le soluzioni più facili, adora attirare gli avversari su di sé per liberare i compagni dal pressing. Gli piace scalare indietro e servire i compagni che intanto si buttano a rete, sui suoi suggerimenti. Splende a fare lo specchietto per le allodole ed a prendersi il peso di tutti i fraseggi, più che per i suoi rari inserimenti.
E poi c’è l’altro lato di Zirkzee, dominante. Quello delle giocate ad effetto che fingono di essere in riff, con la palla che scorre in un flusso così regolare, e che ogni volta sorprende tutti. Quella parte ipocrita, una percentuale che semplicemente si sforza di sembrare così quotidiana e comune, così spicciola e rudimentale, ma che invece è intrisa di una raffinatezza accademica. Un’eleganza d’élite.
Infatti, Zirkzee sa usare benissimo il tacco. Lo utilizza per passare la palla ai compagni, addirittura per dribblare (a volte più di un solo avversario), qualche volta anche per controllare la sfera. C’è un discorso simile che si può fare per l’impiego della suola del piede. Comunque, si tratta di operazioni che non sono terra-terra, come lui prova a simulare con un’immediata semplicità nei movimenti del corpo.
Zirkzee è anche malizia
Per qualche ragione, l’inganno che riesce a combinare ogni volta Zirkzee quest’anno è di far credere che stia per accadere qualcosa di particolare, ad esempio un affondo, e invece finisce per avanzare poco alla volta ad ogni occasione. Non lo raggiungono spesso perché, quando la sua natura minimalista fa credere che sia il momento di un suo fiasco, è allora che l’olandese se ne esce con una soluzione davvero spontanea e istintiva e per qualche ragione anche improvvisa, come uno slalom o un tunnel o magari qualcosa di ancora più piccolo e sorprendente. Alla sua velocità.
Questa frazione di talento si sforza di fare compassione chissà perché, per i difensori non si capisce bene, ma vuole far credere a tutti che Zirkzee sia solo semplicità, e ogni volta il risultato è che finisce per impietosire tutti gli avversari. In realtà è il lato malizioso, ma che non direste mai, dell’olandese che, poi, adora farsi sottovalutare. Farsi credere tenero, per poi dare il meglio di sé. Uno stratagemma che funziona.
Infatti, l’ex Bayern Monaco e Parma ha alzato anche il numero del suo bottino gol, nel confronto con l’andamento della scorsa annata. Eppure, nel frattempo, continua a non sembrarci veramente un bomber di razza (anche perché, secondo understat.com, ha dalla sua appena 4,78 expected goals in Serie A) nonostante si trovi già a quota sette reti. Nella classifica marcatori di Serie A è fin qui dietro soltanto ai pochi top di ruolo. Un po’ perché oltretutto e oltre tutti, Zirkzee sa anche segnare. Ed è qualcosa che in genere non è da dimenticare.
Nel Joshua Zirkzee di quest’anno resta la leggenda di un giocatore purissimo costretto a farsi credere morto ad ogni possesso. All’infuori un’apparenza così schietta e normale, ma che invece sa sfruttare tutta l’estetica che si è creato, tutto intorno, a proprio piacimento. Anche perché, con quella strategia che si vuole portare addosso, fa in modo che nessuno possa dubitare della sua sincerità. All’alba dei suoi ventidue anni e con quei capelli un po’ così.
Alla fine, però, l’imbroglio di Zirkzee su cui cadiamo ogni volta ci lascia credere che lui, così semplicistico e un po’ troppo teoretico, non possa andare poi tanto lontano. Ed è dal suo gioco invece, da cui può uscire vincitore in ogni duello, che non riesce a fingere soltanto un aspetto: una velocità modesta. Almeno per i mezzi atletici che ha. Tutto il resto che ci fa vedere nel suo gioco, tutto quello è illusione.
Joshua Zirkzee gioca sulle impressioni e sulle apparenze, sulle immagini che produce crudelmente negli occhi degli altri, soltanto per fargli perdere le misure. Ed è la storia di un nove elegante che si sforza di sembrare schietto a tutti i costi ma che, almeno, è sicuramente speciale.
Zirkzee fa le feste lontano da Chateau Marmont
Dopotutto però, è anche vero che, agli altri, Joshua Zirkzee riesce a far vedere tutta la sua esasperata nudità, l’espressione del suo calcio, senza mentire. In quel modo malevolo, intacca l’umanità e la genuinità di chi lo guarda, causando la misericordia degli altri, dispiaciuti per il suo evidente stato di “alienazione”. È un centravanti immerso in un mondo così lontano dalla bellezza assoluta, un universo che dimentica la grazia alla ricerca di un’efficace meccanica.
Perché, ripetiamo, si pone come esponente di un calcio lindo e puro, ma è anche tormentato. Così si mostra, con suo gusto, come la pausa in ogni momento di esagerazione, la riflessione in mezzo agli eccessi degli altri giocatori in campo. Il suo calcio è un attimo dove tutto frena e lui va più a rilento degli altri, e si respira. In effetti, l’olandese ricorda un tipo di cinema della Nuova Hollywood e sembra uscito da Cinque Pezzi Facili di Rafaelson o da una pellicola diretta da Mike Nichols. Tutti film fatti di protagonisti estraniati, dove si riflette.
Il numero nove lo fa distanziandosi dall’intensità e dalla freneticità di compagni e avversari, che corrono e si lanciano e vogliono arrivare sul fondo, come fanno tutti modernamente. Così, si comporta come se ne avesse già viste tante di partite così, come quella che giocano gli altri ora, o almeno questa è l’impressione che può concedere. Ma, soprattutto, non vuole fare parte delle consuetudini calcistiche, e non vuole essere omologato nel gioco.
È come se Zirkzee rappresentasse l’immancabile solitudine di chi non sa cosa farsene di tutto quello che c’è intorno, di chi non sa soddisfarsi, e sembra non capire come esaltarsi. Si sforza di fare il profeta perché, suo compito, deve cercare di dare un senso a tutto.
Zirkzee, per come gioca, è il prototipo che non saprebbe sorprendersi tanto davanti a cento celebrità, ma che si interesserebbe ai ricami di un piccolo tovagliolo o alla forma di una vecchia prugnetta, come dentro una poesia del minimalista William Carlos Williams. La sua è la patina dell’attaccante minimalista e genuino, che vede intorno i piccoli fallimenti della vita che devono avere un significato.
Dopo si sforza di trovare il lato più interessante, più microscopico, perché tutto l’immenso valore di tutto fa noia, e non significa nulla. E le giocate appariscenti, ne ha viste così tante, che ora non lo smuovono più di un centimetro, e l’eccessività o l’esagerazione sono affari che sembrano una vana maniera per riempire la vuotezza del campo. Così il rossoblù si dedica ai suoi piccoli sospiri, brevi e profondissimi, con i piedi e non dà spazio a nulla di sproporzionato. Come se dopotutto non gli piacesse nulla, e cercasse di più. Profondamente, lo annoia tutto. Cerca nuovi stimoli, ma non li trova, e continua a cercare.
Davvero, Joshua Zirkzee è l’identità che non possiamo fare a meno di vedere incastonata in un film di Sofia Coppola, più di tutti forse “Somewhere“. Film vincitore del Leone d’Oro 2010 ma poi accantonato dal grande schermo, e Zirkzee ne è un po’ il protagonista ed è un po’ impresso nel carattere dell’attore Stephen Dorff.
Allo stesso modo dà rilievo ai più piccoli sospiri più che ai grandi gesti, e proietta intimità e pensieri sospesi e disillusi. Così, compone il suo gioco di pause, tutte volute, di poche notevoli posture a cui assegnare per forza un’enorme importanza, perché siano le uniche note del suo gioco. Solo allora aggiunge degli spunti appena accennati, più estrosi e personali e sgargianti, che devono significare tanto, mentre il resto di campo più pomposo deve apparire effimero e irrilevante. Mentre tutti si sbattono qua e là alla ricerca delle grandi passioni, questo è il suo piano.
Lui è proprio Somewhere, perché Stephen Dorff sta al celebre hotel Chateau Marmont a Los Angeles, dove si fanno le feste pazze di Quentin Tarantino e di Jim Belushi e di David Bowie e di Eric Clapton e di tutti gli altri, e si vede di tutto e lì è tutto esagerato, ma Dorff si annoia.
Dorff ha intorno massaggi, donne, cibo, ballerine gemelle di lap dance, elicotteri, ma niente lo smuove e, con la Coppola, sono le esitazioni ed i fiati a contare. C’è Dorff che invece si sente esaudito solo a guardare la figlia che nuota in piscina o a sentire un giro di accordi sempliciotto di un chitarrista accampato alla meglio. Per il resto, lui si annoia da morire e detesta questo Chateau Marmont.
È esattamente così che Joshua Zirkzee soffre del disagio dei grandi spettacoli quando gioca, e prova a essere così genuino e naturale, che si vota alle grandi pause piuttosto che ai grandi atti, in avanti. È per questo che è così di rottura con lo stile del calcio esibizionista degli ultimi anni. Perciò tutto il suo gioco diventa un’immensa strategia, soltanto per imbrogliare gli avversari in una modalità così maliziosa. È così che si fa vedere di buon cuore, così come appare. Solamente per scappare della noia di tutto quello che si vede tutti i giorni, ogni volta, ad ogni angolo, a modo suo.
È tremendamente riflessivo nei modi, conta tutti i respiri, e davvero è così minimalista che, veramente, è il cinema di Sofia Coppola.