Che volino oltre la barriera o che la beffino rasoterra, che siano delle bordate pazzesche o dei tocchi morbidi morbidi, tutti amiamo i calci di punizione. Dopo ore e ore passate davanti alla sagoma in allenamento capiamo che sono tanto belli quanto difficili. Delle opere d’arte che, in quanto tali, richiedono l’intervento di veri e propri artisti. Juninho Pernambucano è uno di loro: dipingeva parabole paradisiache con il suo personalissimo pennello, lo scarpino destro taglia 40 ⅔ griffato Adidas.
Perché Juninho è un’icona? Sarebbe facile rispondere “perché è il re delle punizioni“, quindi lasciamo che sia la sua storia ad incoronarlo.
La prima volta non si scorda mai
Ho giocato a futsal fino a quando avevo 13 anni. Non ero uno che segnava molto. Sono sempre stato bravo a tirare e mi facevo lasciare il pallone per battere le punizioni, ma da bambino non avevo abbastanza potenza per riuscire a fare gol.
Queste poche parole ci fanno capire che il talento balistico del brasiliano è innato. Non perché non segnasse, ovviamente, ma per il fatto che nella sua testa ci fossero certe soluzioni ancor prima che il suo fisico gli permettesse di attuarle. Già le pensava, già le sognava, quelle perle che di lì a poco avrebbero portato il suo nome in giro per il mondo. Quando il 30 gennaio 2014 annuncia il suo ritiro il pallottoliere si ferma a 75 reti su calcio di punizione, meglio di chiunque altro da quando calcio è calcio. Eppure c’è chi sostiene ne abbia segnati 77, due in più, e se la prima volta non si scorda mai allora perché non parlarne?
Era la stagione 1993/94, Juninho vestiva la maglia dello Sport Recife e giocava nel campionato Pernambucano. Lui condivide il nome con questo torneo. A San Paolo, infatti, si sta facendo conoscere un suo omonimo e c’è bisogno di distinguerli: nascono Juninho Pernambucano e Juninho Paulista. Quest’ultimo prenoterà ben presto un volo per l’Inghilterra e la Premier League, mentre il primo se la prenderà un po’ più comoda. In fondo ci sono trofei da mettere in bacheca anche in Brasile, partendo proprio da quel titolo statale da vincere con la squadra della sua città.
Contribuisce al trionfo rossonero con due reti, guarda caso entrambe su piazzato. La prima arriva nella sfida al Santa Cruz, quando con la sfrontatezza di un diciottenne decide di calciare in porta nonostante il punto di battuta fosse defilato sulla sinistra. Per quel che riguarda la seconda, c’è l’innegabile complicità del portiere del Gremio che prima interviene in maniera maldestra e poi devia in rete con la schiena. Due gol che pochi conteggiano visto il livello della competizione, ma che di fatto portano la sua firma.
A scanso di equivoci, dopo essere passato al Vasco da Gama arriva anche quella che i più identificano come la sua prima rete ufficiale da calcio di punizione. I bianconeri sono in vantaggio per 1-0 sul Fluminense, quando l’arbitro fischia un fallo in loro favore. Siamo distanti dall’area di rigore, ma Juninho sistema la palla con la sola idea di cercare il gol. Qualche compagno si lascia scappare qualche smorfia, “non penserà mica di riuscire a segnare!?“. Lo pensa e lo fa. La palla vola alta sopra la barriera, poi giù in picchiata quando ormai il portiere non può arrivarci: 2-0. Per festeggiare quasi si schianta contro la recinzione della pista di atletica. Non sta più in sé. Sa di essersi regalato una serata speciale in quel di Rio de Janeiro.
Colpite e affondate
La sua prima parentesi in Brasile ha due facce. Da una parte c’è la sua irrefrenabile ascesa, che gli costa il soprannome di Reizinho (in portoghese significa “piccolo re”), e la vittoria della Coppa Libertadores 1998. Dall’altra c’è lo scontro con il Vasco in tribunale. Per tutti i sei mesi della sua durata Juninho viene escluso dal gruppo squadra, ma a tirarlo fuori da quella situazione spinosa arriva il salvagente lanciato da Jacques Santini. Una stretta di mano ed è subito un nuovo giocatore dell’Olympique Lione. Era gennaio 2001 e si apriva il capitolo più affascinante della sua carriera.
Prima di firmare per il Lione non sapevo nemmeno esistesse questo club. Del campionato francese in Brasile conoscevamo solo il Paris Saint-Germain e l’Olympique Marsiglia.
Con l’OL fa registrare numeri pazzeschi: al di là delle 343 presenze e dei 14 trofei conquistati, ci sono i 100 gol che fanno di lui il secondo miglior marcatore all-time del club dopo Alexandre Lacazette (129) che però, va ricordato, è una punta e non un centrocampista. I tifosi hanno ricordi dorati di quegli anni, anche perché in ambito europeo pur non arrivando mai alla vittoria della Champions League hanno fatto vittime illustri. Immancabile lo zampino di Juninho.
In un Bayern Monaco-Lione del 2003, il brasiliano apre le danze già al 6′ di gioco con una punizione delle sue: destro potentissimo bacia il palo e finisce in rete. Anche il povero Oliver Kahn avrebbe preferito baciare il legno, ma vi finisce contro goffamente nel tentativo di intercettare il tiro. Al triplice fischio è 1-2, l’Olympiastadion di Monaco è stato espugnato e il gigante Kahn è al tappeto.
Solo due edizioni dopo, nel 2005, è la volta dei Blancos di Vanderlei Luxemburgo. Il primo tempo di quel Lione-Real Madrid è una mattanza: dal 21′ al 31′ prende forma il 3-0 finale in favore dei francesi. Juninho segna il secondo gol del match con la sua specialità. Questa volta è Iker Casillas a pagare dazio, e non potrebbe essere stato altrimenti visto che il tiro di Reizinho viaggiava a 126km/h. Probabilmente anche se avesse aspettato quel pallone nell’angolino in basso alla sua destra – dove poi si è insaccato -, avrebbe fatto fatica a trattenerlo.
Menzione d’onore anche per il pezzo da novanta che Juninho regala allo Stade de Gerland in occasione di Lione-Barcellona del 2009, andata degli ottavi di finale della coppa dalle grandi orecchie. Pronti, via ed ecco subito l’occasione giusta per sbloccarla: un calcio di punizione defilatissimo sulla sinistra, distante 43 metri dalla porta di Victor Valdes.
Salgono le torri ma Juninho non crossa. La sfera danza in aria, sembra dirigersi verso l’area piccola poi vira bruscamente sotto l’incrocio. L’estremo difensore catalano è visibilmente confuso e finisce per incastrarsi nella rete. Il Barça poi pareggerà (1-1) e passerà il turno grazie al 5-2 del Camp Nou, ma questo resta uno dei gol più belli di quella stagione.
Insegnare al Maestro, parola di Juninho
Le punizioni di Juninho hanno fatto scuola, e che scuola! Andrea Pirlo, altro maestro dei calci piazzati, non ha nascosto la sua ammirazione per il brasiliano e la sua capacità di colpire il pallone. Nel suo libro Penso quindi gioco parla di una vera e propria ossessione: si chiedeva come, dove e con quanta forza dovesse calciare per arrivare ad avere quei risultati.
Il problema non è tanto il punto in cui avviene il contatto con il pallone, ma la qualità dell’impatto stesso: Juninho non la prendeva con tutto il piede, bensì con le famose tre dita. Tenendo il più possibile il piede dritto e la caviglia tesa, la traiettoria sarebbe stata imprevedibile per i portieri. Inoltre, la distanza dalla porta è direttamente proporzionale all’effetto che si riesce ad imprimere, quindi ben vengano i calci di punizione da distanze improponibili. Ecco la “maledetta“, marchio di fabbrica di Pirlo.
Le punizioni le tiro alla Pirlo, portano il mio nome come se fossero tutte figlie mie. La fonte d’ispirazione però è Juninho Pernambucano.
Il rapporto di stima non è unidirezionale. Anche il brasiliano ha avuto parole al miele per la leggenda del calcio italiano e, nonostante le statistiche lo vedano avanti di una trentina di gol su punizione, ha confessato che avrebbe fatto un po’ per uno con lui per calciare se mai avessero giocato nella stessa squadra:
Chi è il migliore tra noi due sulle punizioni? Ce le dividiamo: io credo di superarlo dalla lunga distanza, ma lui è più bravo di me quando la palla è vicino l’area di rigore.
Ma se Pirlo si è ispirato a Juninho, lui a chi si è ispirato? Chi è stato il suo Juninho? Ipse dixit:
Ho iniziato copiando i calci di punizione di Marcelinho Carioca, ex Flamengo e Corinthians. Mi piaceva come il pallone librava in aria dopo che l’aveva colpito. In realtà quella tecnica non è nemmeno sua, la usava anche Didi che vinse la Coppa del Mondo nel 1958 e nel 1962. Lui non ha fatto altro che prenderla e modificarla, ed è quello che ho fatto anch’io.
Potremmo dire, dunque, che le sue esecuzioni siano il frutto di un doppio studio su questi due suoi connazionali. Una piccola percentuale di ogni suo gol se la portano a casa Marcelinho e Didi, ma firma e controfirma recitano Antonio Augusto Ribeiro Reis Junior o, per farla semplice, Juninho Pernambucano. E ci piace pensare che ancora oggi, nelle vesti di direttore sportivo dell’OL, di tanto in tanto scenda in campo durante gli allenamenti per far vedere a tutti come si calcia.