C’erano tutti i presupposti per vedere finalmente l’Atalanta sollevare un trofeo, coronare anni e anni di lavoro e mettere la ciliegina sulla torta che Gian Piero Gasperini ha saputo assemblare magistralmente. E invece la ciliegina è finita su quella che più che un dolce sembrava un pasticcio, la Juventus di Andrea Pirlo. Il Maestro ne ha di motivi per brindare: ha conquistato la Coppa Italia, lo ha fatto nel giorno del suo 42° compleanno e ha messo a tacere – almeno momentaneamente – le critiche sul suo conto.
Calici alti anche per Federico Chiesa e Dejan Kulusevski, protagonisti del trionfo bianconero. Nella notte in cui Cristiano Ronaldo ha aggiunto l’ennesimo trofeo alla sua collezione, sono stati l’italiano e lo svedese a trascinare la squadra. Un messaggio chiaro alla società: la nuova Juve riparte da loro.
DNA Juventus
L’ultimo atto della Coppa Italia 2020/21 coincide con la prima partita aperta al pubblico in Italia. Dopo aver visto i tifosi a Wembley per l’FA Cup, aspettavamo con ansia questo giorno. Erano solo 4000 spettatori, ma si sono fatti sentire: i cori delle due curve hanno accompagnato l’intero incontro e hanno restituito agli italiani un pizzico di quella normalità che manca da troppo tempo ormai. Sugli spalti vincono gli atalantini ai punti, ma sul campo le cose vanno diversamente.
È vero che alla fine l’ha spuntata la Juventus, ma la finalissima di Reggio Emilia era iniziata con tutt’altro copione. Pronti, via e l’Atalanta preme subito sull’acceleratore: pressing alto, giro palla e predominio territoriale. Insomma, il classico avvio della banda del Gasp. Con Duván Zapata in stato di grazia, poi, pare essere la notte del fato per la Dea. La squadra di Pirlo invece soffre i ritmi alti e rischia di concedere un calcio di rigore per un intervento dubbio su Pessina. Tra l’altro questa azione è nata da un errore in fase di disimpegno da parte di McKennie, solo il primo di quattro nel giro di dieci minuti (dal 13′ al 23′, gli altri portano la firma di De Ligt, Rabiot e Cuadrado). Ecco i fantasmi che accompagnano la Juve dalla sfida di Porto e che si sono ingigantiti dopo la débâcle con il Benevento all’Allianz Stadium. Qualcuno dovrà pur scacciarli.
Ci pensa il sinistro magico di Kulusevski, che pennella un tiro a giro impeccabile al termine di un contropiede: 1-0. Quello è il suo asso nella manica. In bianconero l’ha sfoderato meno del previsto, ma se lo fa in finale di Coppa Italia allora può permettersi di esultare col dito davanti alla bocca.
Così, alla mezz’ora, la Vecchia Signora mette inaspettatamente la testa avanti. Non può però bastare per domare un’Atalanta che crede nel suo sogno e infatti Malinovskyi trova il pari con la sua settima perla nelle ultime 11 presenze. Tutto rimandato alla ripresa.
Dopo un primo tempo del genere, non giocato bene – per usare un eufemismo – da CR7 e compagni, l’ago della bilancia pende dalla parte dell’Atalanta: anche il fatto di aver agguantato l’1-1 giusto qualche giro d’orologio prima del riposo può essere di grande aiuto psicologico per i nerazzurri. Cosa resta alla Juventus? Il suo DNA vincente. È abituata alla pressione, alle grandi partite, sa come portarle a casa. Non importa se la stagione è andata storta o se gli avversari sono tre posizioni sopra in Serie A, quando la Juve fa la Juve è difficile che fallisca.
Nei secondi 45′ non ci sono scorribande dalle parti di Buffon e, al contrario, i bianconeri prendono campo fino a soffocare il gioco atalantino e a farsi pericolosi. Prima Chiesa serve Kulusevski che impegna Gollini, poi lo stesso Chiesa centra il palo su assist di tacco di Ronaldo. Minuto 73′: Dybala è già pronto a bordocampo per sostituire Federico Chiesa, ma l’ex viola duetta con Kulusevski e trova il gol all’ultimo pallone giocabile della sua gara. L’abbraccio tra Pirlo e Dybala dopo il gol del 2-1 è quello di chi ha capito di aver messo la partita sui binari giusti. Ci sarebbe una vita a disposizione dell’Atalanta per andare a riprenderla, ma la Juve non glielo permette. I minuti volano, tiri non ne arrivano. Pirlo c’è l’ha fatta.
Passaggio di consegne
Quante volte nel corso di questa stagione si è parlato di “ciclo chiuso” alla Juventus? Lo hanno detto tutti, anche i membri della squadra: capitan Chiellini nel post partita di Inter-Juventus, Cuadrado dopo che si è visto scucire ufficialmente lo Scudetto dal petto e per ultimo anche Buffon al momento di annunciare il suo secondo addio al club.
Quest’anno si chiuderà in maniera definitiva questa bellissima e lunghissima esperienza con la Juve. Penso di aver dato e ricevuto tutto, più di così non si può fare. Siamo arrivati alla fine di un ciclo ed è giusto che uno tolga il disturbo.
Non si sbagliano. Dopo nove anni di onnipotenza calcistica, la Juventus sembra aver ceduto il passo. Non illuda la vittoria in Coppa Italia: qualora non venisse raggiunta la qualificazione alla prossima Champions League si parlerebbe di fallimento epocale, nessuna obiezione, e a quel punto verrebbe attuata una rivoluzione su più piani. Ci sarebbe da mettere in preventivo la partenza di alcuni pezzi pregiati che rimarrebbero scontenti, senza la possibilità di ascoltare le note dell’inno della massima competizione europea il martedì e il mercoledì. Uno su tutti, neanche a dirlo, Cristiano Ronaldo. Non servono le dichiarazioni della madre o del vicino di casa per prevedere il suo addio a fine stagione. Pro: le casse ritrovano quei 31 milioni di euro netti che il portoghese prende ogni stagione. Contro: dici addio al cinque volte Pallone d’Oro, in grado di risolvere partite e mettere a referto 36 gol anche in una stagione piuttosto anonima.
Quali sono allora le certezze, le colonne portanti su cui la Juventus rifondata potrà poggiarsi? La panchina di Andrea Pirlo? No. Il trio Agnelli-Nedved-Paratici? Nemmeno, anche loro sembrano un’incognita al momento. Per rispondere a questo quesito basta leggere il tabellino di Atalanta-Juventus alla voce “marcatori”: Federico Chiesa e Dejan Kulusevski. Entrambi giovani, con orizzonti di livello e di grande personalità. Su di loro è stato fatto un investimento importante (50 milioni più 10 di bonus il primo, 35 il secondo) e, dopo questa prima stagione di rodaggio con tanto di due titoli conquistati, toccherà a loro prendere le redini della squadra.
L’italiano è già pronto, come testimonia la partecipazione attiva a 23 dei 98 gol che la Juventus ha messo ha segno da quando è stato prelevato dalla Fiorentina. Non è sembrato limitarlo nemmeno la figura ingombrante di Ronaldo. Senza troppi giri di parole, Chiesa è stato tra le note più lievi di quest’annata.
Lo stesso non si può dire di Kulusevski, in affanno in più di un’occasione. Da lui ci si aspettavano più di 7 reti, ma a sua discolpa potremmo dire che è stato spesso spostato di ruolo (attaccante, trequartista, esterno di centrocampo a destra e a sinistra, interno di centrocampo) e questo potrebbe aver contribuito al suo smarrimento. Nessuno però oserebbe mettere in discussione la sua classe e per questo, molto probabilmente, la società continuerà ad insistere e puntare su di lui.
Il periodo di ambientamento è ufficialmente finito. Quei due si godono il successo, ma stanno già preparando i fuochi d’artificio per la Juventus del futuro.