23 febbraio 2021. Una data che i tifosi biancocelesti attendevano trepidamente ormai da mesi. Una partita su di un palcoscenico che bramavano da anni, vogliosi di riviverne le emozioni. Stasera gli uomini di Inzaghi si apprestano ad affrontare il Bayern Monaco campione in carica, con la Lazio che torna a giocare la seconda fase della Champions League a vent’anni di distanza dall’ultima volta. Anni in cui i capitolini ne hanno vissute tante, alternando momenti belli e brutti, ma che hanno inevitabilmente scritto pagine importanti della storia laziale. Doveroso volgere uno sguardo al percorso che ha portato i biancocelesti a raggiungere questo traguardo.
Lazio, come cambia il mondo
Vent’anni fa, il mondo era decisamente differente da quello in cui ci troviamo a vivere oggi. Il nuovo millennio ha cambiato le nostre vite più di quanto avremmo mai potuto immaginare, e non sempre il cambiamento ha avuto risvolti positivi. Una serie di stravolgimenti a cui non ha fatto di certo eccezione il mondo dello sport, e in particolare del calcio, da sempre specchio in scala minore di quanto accade nel mondo.
Tante cose son cambiate anche per la Lazio, nell’ultimo ventennio. Nel 2001 ci trovavamo ancora nel periodo delle sette sorelle, della Serie A come modello di riferimento a cui guardava con fervore tutta Europa. Era il tempo di un calcio diverso, meno frenetico e più pensato. Un calcio con le maglie dalle taglie abbondanti, dai giocatori da collezionare sulle schede telefoniche e dai risultati da controllare sul televideo.
La Lazio dal canto suo era nel pieno di quello che senza ombra di dubbio è stato il periodo d’oro della propria storia, che esattamente in quel 2001 portava in bella mostra cucito sulla maglia lo scudetto vinto un anno prima. Nel 1992 al timone societario si era insediato Sergio Cragnotti, che nel giro di qualche anno avrebbe trasformato una squadra abituata nel decennio precedente al suo arrivo a fare da spola tra la Serie A e la B, in una delle formazioni più importanti sia a livello nazionale che continentale.
Dal suo arrivo, i biancocelesti si innestano stabilmente nelle piazze nobili della classifica, ed iniziano a farsi valere anche in ambito europeo. Tra il ’98 e il 2000 arrivano a vincere due Coppe Italia (1998 e 2000), due Supercoppe Italiane (sempre ’98 e ’00), la Coppa delle Coppe del ’99 e conseguentemente la Supercoppa Uefa, oltre al già citato secondo storico campionato conquistato nel 2000. Il tutto sotto la guida del mitico “rettore di Torsby”, Sven-Goran Eriksson.
Sono oltretutto le annate dei colpi da cifre record della Lazio, che con l’acquisto di Crespo, pagato 53 milioni di euro, arriva anche a sfondare il tetto per il trasferimento più oneroso della storia fino ad allora. Sono gli anni di Mendieta (48 milioni), Veron (30 milioni), Vieri (quasi 29 milioni), oltre che dei vari Stam, Fiore, Lopez, Salas, Mihaijlovic, Stankovic e compagnia bella.
Un trend interrottosi con l’insorgere dei problemi finanziari del presidente Cragnotti che quasi rischiarono di far cadere la Lazio in bancarotta nel 2004. Ed è in quel momento entra in scena per la prima volta la figura di Claudio Lotito, che subentra alla vecchia amministrazione. Uno che di certo negli anni a venire non si distinguerà per alti indici di gradimento nei riscontri tra i tifosi – anche a Salerno ne sanno qualcosa -, ma che nel bene o nel male ha condotto i capitolini fino agli ottimi risultati delle ultime annate.
Quasi 17 anni di presidenza, in cui la squadra ha vissuto parecchi alti e bassi dovendo, soprattutto nella prima metà di questo arco temporale, far fronte agli ingenti debiti da risanare. Un andamento che nel corso degli anni ha assunto sempre più le sembianze di un atteggiamento volto ad accrescere il proprio portafoglio vista la tendenza, anche nei momenti migliori, ad incassare il maggior profitto possibile. Anziché cercare di rinforzare la squadra e renderla competitiva a quei stessi livelli cui i tifosi erano abituati sotto l’egida di Cragnotti.
Impossibile viste le due linee di pensiero completamente differenti da parte dei due magnati, molto più appassionato e tifoso il primo, decisamente più freddo ed economista il secondo. Ma in fin dei conti quello della Lazio è stato comunque un percorso graduale verso l’alto che ha sì subito senza dubbio qualche frenata, ma che dal momento dell’approdo di Simone Inzaghi sulla panchina dell’Olimpico ha definitivamente ingranato una marcia in più, decretando una disposizione diversa da parte della società anche sul mercato.
Lazio-Inzaghi, un imprevisto fortunato
Oggi Simone Inzaghi è uno dei tecnici più apprezzati del nostro campionato e viene considerato come uno di quelli che in futuro di trofei potrebbero collezionarne davvero tanti. Essendo lui il principale fautore di quel fenomeno Lazio che ormai da diverse stagioni a questa parte continua a stupire di anno in anno. Eppure le cose sarebbero potute andare in maniera decisamente diversa, non fosse stato per qualche “loco” atteggiamento di troppo.
Il 3 aprile del 2016, Inzaghi viene ufficializzato come nuovo allenatore della Lazio dopo l’esonero di Pioli, capace l’anno prima di portare i biancocelesti addirittura al terzo posto in classifica – con relativa qualificazione ai preliminari di Champions poi persi con il Leverkusen – ma che nella stagione attuale sta faticando fin troppo, trovandosi alla 30esima giornata in ottava posizione e a -18 dal piazzamento conquistato poco meno di un anno prima.
L’attuale tecnico della Lazio avrebbe dovuto fungere solo da traghettatore. Difatti la società in estate trova l’accordo con El Loco Marcelo Bielsa, un’intesa che viene ufficializzata il 6 luglio di quell’anno. La notizia crea scalpore e grande entusiasmo nell’ambiente, non fosse che, appena due giorni dopo l’annuncio, il club comunica sul proprio sito le dimissioni del tecnico argentino. A quanto sembrerebbe dovute – provate ad indovinare – proprio a delle divergenze su quello che sarebbe dovuto essere il calciomercato della squadra. Viene dunque richiamato Inzaghi, probabilmente con discreto rammarico, sulla panchina della Lazio. Viste come sono andate poi le cose, tanto di guadagnato.
Un’ascesa progressiva
Le diverse stagioni passate dal tecnico piacentino all’Olimpico possono essere analizzate come un unico continuum. Un percorso in cui l’asticella del rendimento si è costantemente alzata di anno in anno, nonostante la flessione apparente della stagione 2018/2019 terminata all’ottavo posto in campionato, ma che vide comunque i biancocelesti portare a casa la loro settima Coppa Italia.
Ed è proprio la continuità alla base dello status ora raggiunto dagli Aquilotti. In primis, dal punto di vista delle idee. Sin dal suo arrivo, Inzaghi ha portato un’impostazione che la squadra ancora oggi conserva, che con il tempo ha ovviamente integrato migliorie. Il modulo della squadra è lo stesso da anni, e gli interpreti anche, un fattore che ha finito ovviamente per caratterizzare positivamente il rendimento della squadra.
Cerchiamo di prendere in considerazione come la disposizione della Lazio sia cambiata nel tempo. Il modulo è quello che tutti conosciamo. Difesa a 3, centrocampo a 5 con un vertice basso e due mezzali. Davanti i due attaccanti, di cui una punta di riferimento e un altro dedito a ruotargli intorno e spaziare su tutta la trequarti, fungendo da seconda punta/trequartista. Salvo rare eccezioni, lo schema è sempre stato questo nel corso delle stagioni.
All’interno di questo sistema, alcune pedine svolgono un ruolo fondamentale, in cui è necessaria la presenza di un determinato giocatore, mentre in altre porzioni di campo è più facile sopperire ad eventuali assenze. In primis, la catena centrale composta dal centrale difensivo e dal vertice basso davanti alla difesa, due pedine imprescindibili per guidare i tempi della squadra in entrambe le fasi. Basti vedere le corrispondenze tra gli interpreti che si sono succeduti in quel ruolo, de Vrij/Acerbi come centrale difensivo, Biglia/Lucas Leiva come vertice basso. Elementi dall’alto quoziente intellettivo, in grado di leggere le varie situazioni della partita in anticipo, e soprattutto con un’ottima padronanza dei tempi di gioco.
Dunque viene il turno delle mezzali. Posizione che nel corso del tempo ha subito variazioni. Se da un lato la presenza di Milinkovic-Savic è stata indiscutibile quasi sin dal momento del suo arrivo – un giocatore in grado di fare praticamente tutto -, dall’altro lato il ruolo ha cambiato volto nelle stagioni. Inizialmente affidato ad un giocatore meno creativo e più sostanzioso come Lulic o Parolo, nelle ultime stagioni la posizione è stata presa da Luis Alberto, che precedentemente occupava quella di trequartista/seconda punta. Un cambiamento che ha aumentato vertiginosamente il livello qualitativo della squadra, oltre ad allargare lo spettro delle scelte in fase di costruzione.
Infine viene la prima punta, posizione che dal momento del suo arrivo nel 2017 ha occupato stabilmente quello ch’è l’attuale detentore della Scarpa d’Oro, Ciro Immobile. Il lavoro dell’attaccante azzurro è indispensabile alla squadra. Perfettamente in grado di giocare negli spazi stretti e di muoversi fra le linee quando c’è bisogno di fraseggiare con i compagni, altrettanto capace di attaccare la profondità all’occorrenza. Rappresenta una delle armi principali che permettono ad Inzaghi di attaccare l’avversario attraverso diverse varianti di gioco.
Le diverse armi a disposizione del tecnico gli permettono di variare in base alle situazioni di gioco. La Lazio predilige – come del resto ormai la stragrande maggioranza delle squadre – impostare dal basso, in modo da poter far rendere al massimo la qualità dei propri giocatori, avendo la possibilità sia di sfruttare la velocità sugli esterni, sia di poter trovare l’uomo smarcato tra le linee ed attaccare per vie centrali.
Allo stesso modo la fisicità di alcuni giocatori, in particolar modo di Milinkovic – calamita in grado di gestire qualsiasi pallone alto – ma anche di Immobile e Caicedo (quando presente), permettono alla squadra di potersi appoggiare sugli avanti qualora riscontri troppe difficoltà nell’evadere il pressing degli avversari.
Non che gli altri ruoli non siano un fattore, ma sono decisamente più malleabili rispetto a queste cinque pedine che rappresentano la chiave del gioco laziale. E guardano ai nomi citati, controllando da quanto tempo vestono la maglia capitolina, e quale sia il loro valore di mercato, si capisce quanto molto sia cambiato a livello societario.
Spesso, e non a torto, ai vertici societari è stato additata la colpa di voler fare cassa ogni qualvolta ve ne fosse l’opportunità. Negli ultimi anni, invece, giocatori come Milinkovic, Luis Alberto e Immobile, che avrebbero potuto portare potenziali plusvalenze monstre nelle casse laziali, sono stati trattenuti. Un fattore che, anche in mancanza di investimenti da copertina, indica che qualcosa ai piani alti è cambiato.
Oltretutto, viste le cifre delle cessioni di prezzi pregiati come Keita o Felipe Anderson – rispettivamente a 30 e 38 milioni di euro -, per fare due esempi, e a quello ch’è stato il proseguo della carriera di entrambi, dimostrano una certa lungimiranza da parte della dirigenza tecnica capeggiata da Tare nel capire quali elementi potessero essere davvero importanti per il futuro della squadra e quali no. Oltre ad avere un servizio di scouting da far gola a chiunque, in grado di trovare gemme nascoste poi diventati calciatori di livello assoluto.
La stagione del raccolto
Quello fatto dalla Lazio e da Inzaghi negli ultimi anni è un lavoro straordinario, forse passato troppo in sordina dagli impressionanti risultati raggiunti dall’Atalanta, che ha inevitabilmente finito per mettere in secondo piano altre attrici del nostro calcio. Le prestazioni messe in mostra nella scorsa stagione – dove a lungo è rimasta tra le candidate alla vittoria finale – oltre a quelle sfoderate in campo europeo in quella attuale, hanno dato un’ulteriore riprova dello status ormai raggiunto dalla squadra.
Il tecnico piacentino sta raccogliendo tutti i frutti di quanto seminato in precedenza – senza dimenticare le vittorie già ottenute in Coppa e Supercoppa – cresciuti grazie ad unione d’intenti e ad una visione ben chiara di quello che era il progetto da portare avanti. Il risultato è una squadra che si conosce a memoria, capace di giocare a tratti un calcio meraviglioso, tra i più belli in circolazione, e soprattutto consapevole dei propri mezzi, ormai in grado di imporre le proprie idee su ogni palcoscenico.
La sfida di stasera risulta un traguardo importantissimo, oltre a rappresentare anche un ulteriore banco di prova per capire il livello raggiunto dalla squadra, e quanto la distanza si sia accorciata dall’élite del calcio europeo. Davanti troverà i detentori del titolo, i campioni di tutto. Quale migliore occasione per testare se stessi?