Più di 6500 morti per la costruzione degli stadi. Omosessualità illegale. Stupri che spesso conducono a una condanna della donna che denuncia la violenza per adulterio (reato Zina, che nel diritto islamico riguarda le relazioni sessuali illecite), punito con fustigazione o incarcerazione. Sfruttamento disumano della manodopera da India, Nepal, Bangladesh, Pakistan e Sri Lanka. L’incarcerazione durata due giorni di Halor Ekeland e Lokman Ghorbani, giornalisti danesi che indagavano sulle condizioni in cui si trovavano a lavorare i migranti nel paese. L’app di tracciamento “Hayya”, obbligatoria per chiunque solcherà i confini del Qatar, che consente una sorveglianza “orwelliana” da parte del governo e un controllo senza limiti dei dispositivi su cui viene scaricata. I dubbi sulla logistica: tra alloggi non pronti, mancanza di personale, e la necessità di ospitare un milione di tifosi da tutto il mondo in uno stato che vanta una popolazione indigena di soli duecento mila qatarini. I climatizzatori interni agli stadi -costruiti per ovviare al cima torrido- che produrranno un enorme costo ambientale.
Sulle nefandezze che si celano dietro all’edizione dei mondiali pronta a partire il 20 Novembre, vengono scritti articoli d’inchiesta e libri dal 2010, anno in cui, in una tempesta di polemiche, il torneo è stato assegnato al Qatar. Il fatto che la Fifa, sempre pronta ad innalzare bandiere arcobaleno in nome di un comodo progressismo di facciata, abbia acconsentito a interrompere la stagione sportiva -sovraccaricando all’inverosimile il calendario – per garantire lo svolgimento dei mondiali in un paese strutturalmente non attrezzato ed ideologicamente incompatibile al suo statuto, rivela lo stato dell’arte del sistema calcio.
Gli oltre seimilacinquecento morti annunciati dal Guardian in un’inchiesta del Febbraio 2021 sono stati insabbiati in un modo che, a confronto, l’operazione guidata da Logan Roy per soffocare lo scandalo delle crociere in “Succession” appare una formalità. Di recente, organizzazioni umanitarie come Humans Right Watch, Amnesty International e Fair Square, le quali avevano richiesto alla FIFA un risarcimento di 400 milioni per le morti e gli infortuni provocati sul lavoro, hanno rivelato che l’ente guidato da Infantino non ha dato alcuna risposta all’appello. Intanto, tutto procede verso lo svolgimento della competizione, nell’inesorabilità tipica di questi anni, contraddistinti da un attivismo performativo abbinato alla totale indifferenza nei fatti. Tanto si sa: al primo doppio passo di Neymar, saremo tutti pronti a dimenticare, e lo scandalo lascerà spazio a uno spettacolo che odorerà di morte.
Sia chiaro: qui, il problema, non riguarda tanto – o solo – il Qatar, paese giovanissimo (indipendente dal 1971, più giovane di tanti allenatori di nazionali partecipanti), con un’identità culturale tanto distante dalla visione occidentale quanto legittimata da un impianto religioso – quello musulmano sunnita – rigido e severamente ereditato di generazione in generazione. Pensare che sia semplice stravolgere la tradizione di un paese medio-orientale, semplicemente sulla base della convinzione di una superiorità culturale occidentalo-centrica, denota solo notevole ingenuità antropologica. Il vero tema è la decisione presa dalla FIFA, istituzione sovrana che avrebbe dovuto preservare l’integrità della competizione, nonché prima responsabile delle barbarie che si sono fin qui consumate. Il comitato di organizzazione del mondiale in Qatar, interpellato, ha più volte ribadito che il paese non tenterà di adattare norme giuridiche e tradizioni ai visitatori in arrivo, ma non nutrire dubbi in merito risulta impossibile.
Gli eventi che si stanno consumando in Iran sono il sintomo di una frattura irriducibile tra due visioni del mondo che, mai come oggi, faticano a conciliarsi. Da una parte la propulsione liberale – in termini di diritti – del mondo occidentale, che fa dell’emancipazione e della libertà individuale i suoi pilastri fondamentali; dall’altra il mondo medio-orientale, ancora permeato di una religione che, è bene sottolinearlo, è di sette secoli più giovane di quella cristiana; un mondo fortemente conservatore, reazionario e, secondo le nostre categorie culturali, illiberale. Nel momento in cui queste due visioni del mondo si incontrano, complici la globalizzazione e l’esplosione di internet, lo scontro è inevitabile. Il presente è tempo forse propizio per delle lotte che, come quelle coraggiosamente condotte dalle donne in Iran, si auspica porteranno a un avvicinamento al modello di emancipazione occidentale; ma il terreno non era probabilmente fertile per ospitare l’evento calcistico più importante al mondo in un paese controverso come il Qatar. La decisione della Fifa, che non ha evidentemente nulla a che vedere con un’operazione di sportwashing (strategia utilizzata dai governi per oscurare illeciti attraverso lo sport), bensì con accordi di forniture belliche – come ben spiegato da un articolo del Guardian – mette in pericolo migliaia di persone. Dagli omosessuali, costretti a fare i conti con un paese radicalmente contrario alle rivendicazioni del movimento LGBT+ (Al Khelaifi ha dichiarato di recente che “i gay sono benvenuti in Qatar, ma dovranno evitare effusioni amorose”), fino alle donne, preoccupate per l’applicazione del codice islamico, passando per i giornalisti, che sentiranno l’occhio del “Big Brother qatarino” incombere sulle loro penne come una spada di Damocle.
Alla luce di tutto ciò, è impossibile non porsi una domanda: cosa accadrebbe a una donna occidentale che dovesse denunciare un episodio di violenza sessuale alla polizia qatarina? Uno studio condotto dalla redazione di The Athletic, relativo all’ultima edizione dei mondiali, ha evidenziato una correlazione tra i grandi eventi sportivi e l’aumento di denunce per violenze sessuali. Nel mese di Giugno, durante il quale si si sono giocate cinque partite a Wembley, l’Unità di North West BCU ha ricevuto segnalazioni per 188 casi di violenza sessuale, più di qualunque altro mese. Ecco perché, porsi il problema, è doveroso. Se accadesse in Qatar, verrebbe applicato il codice Zina, e quindi si interpellerebbe l’autorità dell’uomo denunciato, il quale, dichiarando il rapporto consensuale, porterebbe alla condanna della donna, oppure la donna potrebbe beneficiare dello stesso supporto psicologico e legale che riceverebbe nel suo paese d’origine? Le istituzioni rassicurano sulla tutela dei visitatori, ma dubitare della loro trasparenza è cosa buona e giusta. L’unica certezza è che la FIFA, in tutta la sua ipocrisia, per pura avidità, per interessi che la legano alle famiglie più ricche degli emirati, proporzionali al disinteresse nei confronti delle categorie più fragili, ha creato un terreno pericolosissimo su cui verrà disputata la competizione calcistica più importante del mondo. Se De Andrè cantava che “dal letame nascono i fiori”, oggi, nel sistema neo-liberale che domina qualunque strato della nostra società, anche da un Mondiale, il fiore più luminoso della flora calcistica, può nascere tanto letame.
Come di fronte a ogni manifestazione sportiva che assuma contorni politici controversi, di recente si è sollevato il tema sull’utilità del boicottaggio. Oltre agli striscioni anti-Qatar dei tifosi del Borussia Dortmund e alle magliette pro-diritti civili della nazionale norvegese, il paese più attivo è, come la storia insegna, la Francia: Parigi si è aggiunta ad altre sette città francesi nell’appello per boicottare i Mondiali in Qatar per motivi umanitari ed ecologici; le città in questione non trasmetteranno le partite dei campioni in carica sui consueti maxischermi. “Questa competizione si è gradualmente trasformata in un disastro umano e ambientale, incompatibile con i valori che vogliamo vedere trasmessi attraverso lo sport e in particolare il calcio“, ha affermato in una nota Benoît Payan, sindaco di Marsiglia e capo di una coalizione ambientalista.
Dunque, è tempo di porre la domanda alle nostre coscienze: è eticamente giusto guardare i mondiali in Qatar? Noi italiani, da sempre furbi e imbroglioni, abbiamo deciso di eludere il dilemma etico autoescludendoci dalla competizione. Ma quando ci troveremo in astinenza da calcio, avrà un senso boicottare il mondiale, resistendo alla tentazione del Brasile di Neymar e Vinicius, o dell’Argentina di Messi e Lautaro? In termini pratici probabilmente no, e la motivazione è semplice: i fondi destinati al Qatar sono già stati assegnati tra diritti TV, turismo, e finanziamenti esterni. Ne consegue che, l’astensionismo televisivo non danneggerebbe in modo diretto il paese ospitante, bensì solo l’emittente del paese in cui ci si trova. Qualora invece il boicottaggio avesse un’origine interna alla competizione, o ai vertici delle federazioni delle nazionali, la situazione cambierebbe, ma sembra ormai tardi.
Del resto, quando il sistema è malato nella sua totalità, le singole patologie che lo affliggono appaiono irriconoscibili. Quando ammiriamo l’armonia cosmica del City di Guardiola, l’ascesa in Premier del Newcastle (di cui è proprietario il fondo sovrano degli emirati arabi) o le combinazioni stellari del tridente Neymar-Messi-Mbappè nel PSG, la bellezza a cui assistiamo, in termini morali, è solo un velo illusorio che occulta un fondo corrotto, fatto di terrore e morte. L’improvvisa presa di coscienza di fronte ai mondiali in Qatar, nelle atrocità del quale si ripropongono delle dinamiche che dominano il calcio – o meglio il mondo intero – ormai da decenni, mi ricorda le parole di David Foster Wallace nel suo discorso di congratulazioni ai laureati del prestigioso Kenyon College:
Ci sono due giovani pesci che nuotano uno vicino all’altro e incontrano un pesce più anziano che, nuotando in direzione opposta, fa loro un cenno di saluto e poi dice “Buongiorno ragazzi. Com’è l’acqua?” I due giovani pesci continuano a nuotare per un po’, e poi uno dei due guarda l’altro e gli chiede “ma cosa diavolo è l’acqua?”.
Se tutto è corrotto, la corruzione diventa la norma, e si è assuefatti alla corruzione. Se tuto è corrotto, nulla è corrotto. Il calcio ha abbandonato un orizzonte morale ormai da tempo, il mondiale in Qatar non rappresenta certo il casus belli, ma potrebbe essere l’evento che ne rivela l’essenza malata. Se si è arrivati fin qui, è perché per decenni, pur di non abbandonarlo ci siamo adattati a un sistema marcio, e ne abbiamo accettato passivamente il degrado. Come spiega Chomsky nel principio della rana bollita, “...Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.” Ora, la rana, è morta bollita.