Quest’estate, nel pieno della telenovela che vedeva Luis Suarez in procinto di vestire la maglia della Juventus, sul web ha iniziato a circolare un video nel quale l’attaccante al tempo del Barcellona, evidentemente appesantito, ciondolava goffamente durante una sessione di allenamento. Se quel corpo impacciato non avesse avuto un volto, difficilmente avremmo potuto dire che si trattasse di un calciatore professionista, ma il processo mediatico a cui l’uruguaiano è stato sottoposto è risultato un tantino esagerato.
Per vicende burocratiche poi sfociate in un’indagine ancora in corso, la trattativa che lo avrebbe dovuto portare in Italia si è arenata, spingendo la Juventus a riabbracciare Alvaro Morata e Suarez a restare in Spagna, sposando la causa dell’Atletico Madrid. Il modo in cui il Barcellona si è sbarazzato di uno degli attaccanti più importanti della sua storia ha stupito tutti, gettando ulteriori ombre sulla gestione societaria dei catalani.
Suarez all’Atletico: nuovo 9, nuovo stile
Facendo un paio di passi indietro, il Suarez delle ultime due stagioni in blaugrana aveva comunque dato l’impressione di essere un giocatore a fine corsa, complice una condizione fisica sempre approssimativa a causa dei ripetuti problemi al ginocchio e di un naturale decadimento atletico. Conseguentemente, il suo approdo all’Atletico Madrid – una squadra abituata a stressare molto i suoi attaccanti in ambo le fasi – era stato accolto con un po’ di scetticismo.
L’Atletico di Simeone si presentava ai nastri di partenza della stagione 2020/2021 con alle spalle una stagione anonima, culminata con la netta eliminazione in Champions League per mano del brillante Lipsia di Nagelsmann. Il Cholo, nonostante i segnali inequivocabili della necessità di dare una rinfrescata all’impalcatura della squadra, apparentemente non sembrava avere intenzione di apportare modifiche sostanziali, tanto che nei primi mesi ha confermato il canonico 4-4-2.
È apparso evidente sin da subito che Suarez faticasse a digerire questo impianto di gioco. L’ex attaccante del Liverpool, rispetto al passato, ha visto ridursi sensibilmente la sua autosufficienza: da un paio d’anni fatica ad attaccare la profondità con continuità e non possiede più una lucidità tale da permettergli di essere impiegato in più fasi di gioco. Insomma, da Suarez non ci si poteva aspettare una versione di attaccante stile Diego Costa 2012-2014, ossia un trattore cingolato in grado di risalire il campo caricandosi letteralmente sulle spalle gli avversari.
Questa incompatibilità, unita ad una serie di intuizioni interessanti, ha convinto Simeone e il suo staff a rivoluzionare lo scheletro tattico dell’Atletico. La difesa a 4 dal baricentro bassissimo si è trasformata in una difesa a 3 aggressiva e con la chiara intenzione di mantenere la linea più alta. Conseguentemente, la squadra ha cambiato anche il suo modo di attaccare, dovendo sostenere più fasi di attacco posizionale. Il terzetto difensivo, composto da marcatori ruvidi come Felipe, Gimenez o Savic, è completato sul centro-sinistra da Mario Hermoso, elemento imprescindibile per la prima costruzione dei Colchoneros.
Le sventagliate mancine dello spagnolo azionano i propulsori della manovra offensiva dell’Atleti: i quinti di centrocampo. Da una parte il più conservativo Trippier, sempre coinvolto quando si cerca di risalire il campo attraverso un palleggio ragionato. Dall’altra Yannick Carrasco, che dopo un paio di stagioni a svernare in Cina è tornato mettendo in luce una condizione atletica sorprendente e adattandosi in un ruolo che non sembrava essere nelle sue corde. Il centrocampo è invece composto dall’immarcescibile Koke e dai vari Lemar – reinventato mezzala con più che discreti risultati -, il jolly Saul e Marcos Llorente. Quest’ultimo è l’anima della nuova wave dell’Atletico Madrid: trasformato in un centrocampista d’assalto da Simeone, l’ex prodotto del Real Madrid, grazie alle sue corse verticali, è una delle fonti creative più affidabili della squadra.
“L’area di rigore è casa mia”
Tutti questi tasselli ben incastrati nel mosaico tattico da Simeone si sono trasformati in rifornimenti per Suarez. All’uruguaiano non viene richiesto niente di diverso dallo sfruttare l’indole da finalizzatore che lo contraddistingue, per farsi trovare nel posto giusto al momento giusto. Il suo apporto al giro palla è ridotto ad eleganti appoggi spalle alla porta per far fluire la manovra. I dati di Whoscored parlano di 17 tocchi di media a partita, il minimo storico in carriera. Il coinvolgimento cala ulteriormente quando si parla di fase di non possesso, dove Suarez si limita a fare numero. Secondo i dati di fbref.com, nei top 5 campionati europei è l’attaccante che effettua meno azioni di pressing (5,88 p90 min). Per intenderci, Cristiano Ronaldo e Messi, esentati in tutto e per tutto dalla fase difensiva delle proprie squadre, ne portano rispettivamente 6,63 e 9,60.
La fatica risparmiata nelle azioni in cui il pallone è tra i piedi degli avversari, lo porta a concentrare tutte le energie psicofisiche negli ultimi metri di campo. Con la doppietta al Celta Vigo della settimana scorsa, ha raggiunto quota 16 gol in Liga in 18 partite disputate, a fronte di 9,3 xG creati, quindi con una netta overperformance. Non sono numeri che stupiscono se guardiamo il curriculum di Suarez, ma come detto le indicazioni che davano i suoi ultimi anni in Catalogna non facevano presuppore una seconda vita in terra spagnola così fruttuosa.
I 16 gol di Suarez sono l’epitome del dizionario di un finalizzatore. Si passa dal gol di testa alla punizione sotto il sette, dal diagonale sul palo lontano al tap-in di rapina. In questa enciclopedia l’unico fil rouge che si può cogliere è l’attacco al secondo palo. Secondo Hernan Crespo, un’eminenza quando si parla di centravanti, è il primo palo a dar da mangiare al numero 9, mentre Suarez sta ribaltando questo assunto.
L’ex Liverpool gioca a nascondino con i centrali: non ha più l’esplosività per bruciarli in situazioni statiche o l’elevazione per vincere un duello aereo, quindi deve basare tutto sull’astuzia e la capacità di leggere prima degli altri il viaggio del pallone. In questo senso, avere partner d’attacco con la sensibilità tattica e tecnica di Marcos Llorente e, soprattutto, Joao Felix rappresenta un lusso. 6 dei 16 gol di Suarez sono arrivati tramite assist dei due sopracitati, 3 a testa.
Ciò che invece lo scorrere del tempo non gli sta portando via è la tecnica di tiro. L’uruguaiano resta un cecchino quasi infallibile quando si tratta di centrare lo specchio della porta. Sempre secondo i dati di fbref, il 40% dei suoi tiri totali hanno centrato la porta. Un dato di rilievo, se consideriamo che Suarez ha una media di 3,27 tiri per 90 minuti. Il modo in cui calcia, in cui toglie il tempo a difensori e portiere è ciò che in questo momento gli permette di restare aggrappato al treno dei migliori numeri 9 in circolazione. Ogni volta che il pallone vaga in area di rigore, il suo istinto gli permette di processare ed eseguire in pochissimi movimenti la soluzione più rapida per andare a segno.
Un solo obiettivo
Immaginare che Suarez e l’Atletico Madrid possano mantenere gli standard qualitativi e quantitativi di questi ultimi mesi da qui fino al termine della stagione è impensabile. Nelle ultime settimane la squadra, sfibrata dal Coronavirus, è apparsa meno brillante del solito, soprattutto in fase difensiva, tanto che dei 13 gol concessi fino ad ora in campionato 7 sono arrivati nelle ultime 5 uscite.
Lo stesso Suarez, dopo la doppietta da rapace d’area di rigore nel pareggio casalingo contro il Celta, a Granada si è preso una giornata di pausa, risparmiando il portiere avversario in un paio di occasioni tutto sommato semplici per uno come lui. In questo senso, l’acquisto di Moussa Dembele potrebbe diventare utilissimo, in quanto permetterà a Simeone di centellinare le energie del suo numero 9.
Suarez, che dopo aver ricevuto il premio di giocatore del mese ha dichiarato di nutrire le stesse ambizioni di quando era un ragazzino, da quando veste la maglia dell’Atleti sembra un uomo in missione. Il modo in cui ha dato una nuova dimensione ad una squadra che sembrava esser diventata schiava della sua stessa anima è sicuramente una delle storie più affascinanti di questa stagione.
Se per l’Atletico Madrid il Pistolero incarna la figura giusta per spogliarsi dell’etichetta di perenne underdog, per Suarez portare i Colchoneros sul tetto di Spagna rappresenterebbe la rivincita perfetta verso chi lo aveva dato per finito troppo in fretta.