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CALCIO ITALIANO

Locatelli sta resistendo alla tempesta

L’acquisto di Manuel Locatelli è stato accolto dalla tifoseria juventina all’unanimità con grandissimo entusiasmo. C’erano dubbi sul tipo di compiti per i quali Allegri potesse vederlo nel suo sistema, ma il valore e le dichiarazioni fatte dal classe ’98 erano abbastanza per il matrimonio con la causa bianconera. Sono, quindi, profonde le radici del desiderio juventino su un centrocampista che, quantomeno, aspira al livello del top player.

Dalla stagione 2017-2018 in poi, sui social, ma anche più semplicemente nei gruppi WhatsApp o nei bar in giro per tutta Italia, circola l’immagine della formazione tipo della Juventus 2014-2015, con un grosso cerchio rosso sul centrocampo. Quella Juve annoverava nella zona nevralgica del campo calciatori del livello di Vidal, Pirlo e Pogba e, per giustificare i risultati non più all’altezza del primo triennio di Allegri, molti tifosi (un po’ semplicisticamente) accusavano la società di non aver investito abbastanza sul centrocampo.

In realtà gli investimenti in quella zona di campo ci sono stati. Nel post-Pogba (l’ultimo ad andare via di quella triade) la Juventus ha speso quasi quaranta milioni di euro per comprare Pjanic; ha bloccato Bentancur – che al Boca Juniors si era messo in mostra come nuovo astro nascente della scuola uruguagia di centrocampisti – ha colto la gigantesca occasione di puntare su Khedira, lasciato andare in maniera alquanto rocambolesca dalla dirigenza del Real Madrid e, infine, ha preso Arthur grazie ad uno scambio piuttosto bizzarro con il Barcellona. Il problema è che il livello di perfomance dei calciatori arrivati si è dimostrato spesso altalenante per i motivi più svariati.

L’arrivo del calciatore scuola Milan ha quindi rappresentato una vera e propria svolta emotiva per i tifosi bianconeri, che hanno visto questo acquisto come un possibile ritorno ad avere un centrocampo ricco di talento e in grado di decidere le partite.

Locatelli in azione a Sassuolo
Locatelli durante la sua esperienza a Sassuolo, sotto la guida di Roberto De Zerbi (Foto: Alessandro Sabattini/Getty Images-One Football)

L’apprendistato con De Zerbi

E’ stata la scorsa annata a portare Manuel Locatelli a diventare prima obiettivo, poi promesso sposo e, infine, un calciatore della Juventus, quando al Sassuolo è risultato tra i migliori centrocampisti della Serie A. Ceduto dal Milan nell’estate del 2018, dalla disgraziata sessione di mercato firmata Leonardo, andare al Mapei Stadium sembrava a tutti un passo indietro. Un’ammissione che l’ennesimo con la nomea del predestinato non sarebbe diventato altro che un medio giocatore di una buona squadra di Serie A, che veleggia verso tranquille salvezze. Tutt’altro. In Emilia l’ex calciatore del Milan ha trovato l’ambiente tecnico ideale per far crescere e sviluppare il suo talento, unito ad una grande dose di fiducia dell’ambiente che non ha praticamente mai messo in discussione la sua titolarità.

Due ingredienti che Roberto De Zerbi è riuscito a garantirgli. Il Sassuolo era un macchina da JuegoDePosicion e, all’interno del suo 4-2-3-1, Locatelli era uno dei due perni di centrocampo, quello con più galloni di titolarità. In quel sistema di gioco così proattivo, il calciatore scuola Milan era perfettamente a suo agio in entrambe le fasi; una vera svolta per lui, che, nella sua esperienza milanista, non era riuscito a integrarsi bene con il sistema di Gattuso (e prima ancora di Montella). In rossonero è facile ricordarlo come un veneziano incline a giocate ricercate e barocche, che molto spesso erano o fini a sé stesse o addirittura dannose per la squadra.

All’interno del doble-pivote (ultima evoluzione del modulo dezerbiano neroverde), invece, i picchi toccati da Locatelli sono stati altissimi e sono andati a riverberarsi su tutto il modo di giocare della squadra. Nella fase di possesso la sua vocazione di grande passatore era già evidente al Milan. Il gioco corto-lungo è (sempre stato) il suo prediletto e, con una squadra (più) proattiva come il Sassuolo, è sbocciato definitivamente. Ma non solo: il dribbling difensivo è il miglioramento più netto che si è evidenziato nel triennio neroverde. Per indole le squadre di De Zerbi amano farsi pressare per trovare spazi dietro le linee avversarie e, per giocare con profitto e continuità, la crescita di Locatelli nell’elusione del pressing avversario è stata esponenziale.

Nella fase di non-possesso l’ex Milan è riuscito finalmente a trovare un sistema dove poter esaltare le sue doti di riconquista alta. Quando l’avversario ha poco tempo e poco spazio per decidere cosa fare, Locatelli va letteralmente a nozze: lo aggredisce, lo anticipa e cerca subito la verticalizzazione per creare un’occasione pulita.

Locatelli con la maglia della Juventus
L’esordio da titolare contro l’Empoli.(Foto: Giorgio Perottino/Getty Images-One Football)

La sintonia con Allegri

Da quando l’ex Sassuolo è arrivato in bianconero la sua titolarità non è mai stata neanche in discussione. È primo per presenze e minuti giocati, non c’è dubbio nel dire che Massimiliano Allegri lo reputi imprescindibile. Questa totale e incondizionata fiducia, cozza a tutti gli effetti con il sistema di gioco imposto dal tecnico livornese. Da quando è tornato in bianconero Allegri ha voluto giocare un calcio estremamente reattivo, a tratti rinunciatario. Ha totalmente trascurato la vocazione di interpreti di livello già assoluto e affermato come Dybala o De Ligt; ha creato un habitat tattico molto rigido in fase di costruzione; non ha quasi mai mostrato minimamente la volontà di pressare con un baricentro altro.

Questo ha molto modificato anche il modo di giocare di Locatelli. È passato da avere la media di quasi 86 passaggi per 90′ dello scorso anno, ai meno di 50 per 90′ di questo. Non ha più quella fluidità posizionale con cui riusciva a smarcarsi in zona palla per moltiplicare le linee di passaggio possibili per i suoi compagni. Nonostante tutto ciò, Locatelli pur essendo spesso l’unico deputato della linea mediana a far risalire il pallone, è rimasto sempre a galla. Anche nella partite più difficili, dove la Juventus ha obiettivamente dato il peggio di sé, non ha fornito prestazioni insufficienti, ma anzi è sembrato la luce della speranza in mezzo ad un mare agitato e senza grandi punti di riferimento.

L’essere praticamente l’unico centrocampista a cui Allegri concede(va?) l’onore ed onere di imbastire una trama di gioco, coadiuvato dai difensori, ha responsabilizzato molto Locatelli. Ha usato poco il suo dribbling difensivo, ma per soddisfare la voglia di tensione verticale derivanti dalla panchina, ha fatto valere tutta la sua qualità di passatore. Uno dei pattern che Allegri richiede di più, infatti, è proprio quello di lanciare (sul lato cieco o più centralmente) per le corse di Chiesa o Morata, od ancora per la testa di Rabiot. L’accuratezza con cui l’ex calciatore del Sassuolo ha innescato questi pattern è ben testimoniata dalla statistica dei passaggi progressivi. All’interno delle top5 leghe Locatelli è nell’élite di questa specifica, davanti a gente come De Bruyne, Modric o Frank De Jong.

Locatelli in azione contro la Salernitana
L’uso del corpo migliorato per eludere il pressing, è ora una delle sue caratteristiche migliori.(Foto: Francesco Pecoraro/Getty Images-One Football)

Come Locatelli sta partecipando ad una nuova sintesi di Allegri

Da qualche partita a questa parte però, la squadra bianconera sembra aver leggermente cambiato spartito. La prima partita in cui si è notato un cambio di rotta è stata quella contro lo Zenit. In quella partita Allegri ha cercato di scardinare la (debole) resistenza russa con un gioco molto più fluido posizionalmente, affiancando stabilmente a Locatelli o un terzino (creando un 3+2) o il suo ipotetico compagno di reparto. Questo ha permesso di mettere da parte un po’ di lanci lunghi ed enormi transizioni offensive, per lasciare spazio ad una circolazione fluida, continua e palleggiata. Forse è ridondante dirlo, ma per il numero 27 questo è stato un vero ritorno ad una comfort zone.

Infatti è all’interno di un doble pivote puro che, nell’impostazione (e non), può sprigionare tutta la sua bravura nel taglia-e-cuci o nei posizionamenti fatti ad hoc per aiutare compagni in difficoltà. Non è un caso che anche prima della partita contro lo Zenit, la migliore prestazione, condita dal gol decisivo, sia arrivata nel derby contro il Torino. Negli ultimi venti minuti della contesa Allegri ha scelto di far giocare Rabiot stabilmente al fianco di Locatelli. Grazie alla maggiore libertà, tecnica quanto di movimento, concessa al numero 27, la Juventus è riuscita a fare sua una partita molto ingarbugliata con un tiro da fuori area dell’ex metodista del Sassuolo.

Per i primi due mesi di stagione la Juventus è sempre sembrata in balia della partita per scelta. Domenica sera contro il Genoa, invece ha mostrato (nuovamente) di essere perfettamente in grado di dominare l’avversario: ha stravinto la partita chiudendo con dodici tiri nello specchio e 3,5 xG creati. Locatelli si può dire abbia rubato la scena a tutti: ha cucito trame importanti per la prima costruzione; si è smarcato in avanti (questo grazie all’aiuto di Bentancur) creando nuovi corridoi per ricevere il pallone; è riuscito a rifinire quando poteva attaccare fronte la porta.

Ma le prestazioni contro Zenit e Genoa (o Salernitana) hanno tutte due minimi comuni denominatori: l’avversario sulla carta più debole e lo stile di gioco proattivo imposto da Allegri per queste sfide. Il cruccio che quindi (probabilmente) affligge il tecnico livornese è proprio questo. Mettere Locatelli (ma non solo lui) a suo agio nel 4-2-3-1 è qualcosa che ci si può permettere anche contro squadre sulla carta più blasonate – o semplicemente con attacchi più temibili – oppure la Juventus è destinata a temere le partite (sulla carta) più prestigiose e giocare di rimessa?

In entrambi gli scenari paventati la certezza è che a Torino non si può più immaginare una squadra senza Manuel Locatelli. Per un ragazzo che solo due anni e mezzo fa sembrava destinato ad una grigia middle-class italica, non è affatto poco.

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